Spettacolo
Provaci ancora Bogey!
Roma, 14 gennaio 2017- Esattamente sessant’anni fa morì a Westwood, distretto di Los Angeles, uno dei miti più fulgidi della cinematografia mondiale, Humphrey Bogart.
Parecchi critici sostennero che da quel momento era ufficialmente nato il “mito” di Bogart, ma altrettanti addetti ai lavori dichiararono che già da quando era in vita Bogey, così soprannominato, era già un mito.
Devo confessare di essere di parte perché sin da bambino avevo un debole per questo attore che emanava un fascino particolare, un magnetismo che non era quello dei Gary Cooper o dei Clark Gable che avevano dalla loro qualità fisiche, di presenza scenica, invidiabili.
Il carisma di Bogart era quello di un uomo normale, tant’è che, a mio avviso, la sua forza è stata proprio quella di saper e di aver interpretato ruoli di vita comune, come il buono, lo spietato, il gangster, il romantico e così via.
Il film che me lo fece conoscere per la prima volta fu “Una pallottola per Roy” del 1941, dove recitava il ruolo di un fuorilegge dall’animo romantico che si lascia uccidere sul finire della storia per amore di una donna; probabilmente la pellicola che gli consentì un deciso salto di qualità verso quella versatilità di interpretazione.
Di li a poco “Il mistero del falco” dove impersona il detective Sam Spade, doppiato da uno straordinario Paolo Ferrari, e poi l’esplosione mondiale di “Casablanca” del 1942 diretto da Michael Curtiz, con al fianco una languidissima Ingrid Bergman.
In età ormai matura, il nostro nacque il giorno di Natale del 1899, Bogart ormai è lanciato verso una carriera straordinaria e lavora con registi di grande spessore come appunto Curtiz, Walsh, Houston, Wyler, Hawks, ma soprattutto da una svolta alla sua vita sentimentale quando nel ’44 incontra sul set di “Acque del sud” una splendida ed ammaliante diciannovenne, Lauren Bacall, di cui si innamora e con la quale arriverà fino alla fine dei suoi giorni, dopo ben tre matrimoni falliti.
Oltre alla vita privata, con la Bacall Bogey reciterà in pellicole di grande successo come “Il grande sonno”, dove impersona il poliziotto Marlowe che verrà ripreso trent’anni dopo da un magistrale Robert Mitchum, “L’isola di corallo” e “La fuga”.
Come detto la professionalità di Bogart, molto scrupoloso nello studio dei personaggi, lo portò a rimanere sulla cresta dell’onda nonostante qualche “licenza” privata dovuta ad una forte attrazione verso l’alcool ed il fumo. Su tutti ricordo, naturalmente per averli visti in seguito, due interpretazioni straordinarie come quella ne “L’ammutinamento del Caine”,dove recita la parte di un Comandante di Marina affetto da paranoia e “Il colosso d’argilla”, dove interpreta un cinico giornalista sportivo inserito nel mondo corrotto della boxe americana, che trova nel finale del film il modo di riscattarsi aiutando un povero pugile ad uscire dal giro.
Questa pellicola fu l’ultima di Bogart, a cui fu conferito l’unico Oscar nel ’52 ne “La regina d’Africa” dopo due nominations assolute.
La sua figura con l’impermeabile beige, l’immancabile sigaretta accesa, il fisico di un uomo normale, tenebroso, con quel leggero ghigno che teneva quando incalzava i suoi antagonisti, rimarranno scolpiti nel ricordo di una delle più grandi stelle del firmamento hollywoodiano.
Come sapientemente illustrato da Woody Allen nell’irresistibile “Provaci ancora Sam”, “provaci ancora Bogey!”