Juve, non ho l’età – Grazie Viola
Roma, 16 gennaio 2017 – Dice bene Massimiliano Allegri: “Il problema è che contro la Juve le squadre disputano tutte la partita della vita!”
Verissimo. Ultime testimonianze: l’Atalanta in Coppa Italia e la Fiorentina nel posticipo domenicale. Sosteneva qualcuno nel Novecento: “Tanti nemici tanto onore”. E la Juventus ha tanti nemici, ma anche tantissimi amici, fedeli, sparsi in tutta Italia.
Ma il vero problema della Juve non è questo. Il vulnus che è emerso in maniera prepotente a Firenze è quello della difesa Juventina, la tanta decantata difesa bianconera.
Assente il prode 23enne Daniele Rugani, la Juve ha schierato la famosa difesa penta-scudettata e della Nazionale: Gianluigi BUFFON, classe 1978, 39 anni; Andrea BARZAGLI, 1981, 36 anni; Leonardo BONUCCI,1984, 30 anni; Giorgio CHIELLINI, 1984, 33 anni. Età media 34 anni!
Troppi, francamente. Inevitabile il crollo di fronte alla freschezza di elementi motivatissimi brillanti come il diciannovenne sconosciuto Chiesa e l’altro virgulto fiorentino Bernardeschi. Il pack senior bianconero ha subito un Uno-due che, alla luce di come sono andate le cose sul campo, avrebbe potuto essere anche un tondo quattro-uno.
Ciò considerato, lungi da noi voler sostenere che i Quattro Moschettieri juventini dovrebbero essere pensionati. Siamo, al contrario, assolutamente contrari alla rottamazione di atleti che hanno ancora molto da dire sul piano sportivo. Per conto nostro saremmo, anzi pronti a sostenere la fondazione di un sorta di Lega per la Tutela dell’Atleta Stagionato, dove inserire tutti quei campioni che la eccessiva fretta di novità vorrebbe rottamare mentre ancora hanno tantissimo da dire: dalla Pellegrini alla Cagnotto, dallo stesso Totti a Buffon, per fare qualche esempio.
Il Campione ha tutto il diritto di continuare a scendere in lizza fintanto che se la sente e vince… Non deve spiegazioni a nessuno. Lo smalto che avrebbe potuto perdere per via dell’usura, trova abbondante compensazione nella maggiore conoscenza del gesto tecnico e nella capacità di amministrarsi e gestire le energie fisiche e mentali. E, soprattutto nel saper condurre uno stile di vita consono ad un atleta, allenandosi con maggior scrupolo.
Perciò lunghissima vita ed onore per Buffon, Barzagli, Chiellini e Bonucci, e per lo stesso Allegri che li gestisce con il rispetto dovuto ai grandi.
In fondo, con questi soggetti, sostiene con lucidità il coach bianconero la Juve è prima in campionato con un punto di distacco sulla Roma ed una partita da recuperare. È negli ottavi; nella Champions e così in Coppa Italia. E che si vuole di più?
Forse sarebbe opportuno ricordare dettagli quali la sconfitta in Supercoppa a Dubai contro il Milan dei giovani italiani di Montella!
Manteniamoci, dunque, lucidi.
Nulla da obiettare perciò nei confronti degli Over Trenta e passa. Anzi, diciamo che la loro presenza calcistica, specie in difesa, appare necessaria. Pensiamo a ciò che rappresenti per la Fiorentina Davide Astori, o per il Milan Gabriel Paletta, per rimanere alla stretta attualità. Sono il vero caposaldo delle importanti imprese di Fiorentina e Milan.
Il problema arriva quando sono troppi (come nel caso della Juventus) e riguardano un intero reparto, più di un terzo della squadra! Allora la ruggine fisico-mentale, può produrre seri scompensi, tant’è che Allegri sta cercando di ovviare affiancando a protezione un altro elemento, Sturaro. Ma il risultato è quello di una coperta troppo corta: la tiri da una parte e rimane scoperta dall’altra. Ovvero il povero Higuain si trova isolatissimo davanti.
La problematica juventina (che rilancia l’interesse del campionato) appare esattamente questa. Anche per la confusione che ingenera nelle stesse scelte (non sempre azzeccate) del tecnico toscano – che in molti danno prematuramente già ingaggiato a Londra!- Per esempio quella di tenere in panchina Pianic. Ovvero l’elemento che, con i suoi calci da fermo, fino a ieri è spesso riuscito (direttamente e con assist) a mandare in rete la formidabile batteria di saltatori: Mandzukic, Bonucci, Chiellini, Barzagli, Khedira, Higuain.
Insomma pare proprio che Allegri debba proprio rimboccarsi le maniche. Non è comodo il ruolo dei primi della classe. La difesa è quello che è, pregi e difetti. Il centrocampo è quello che è – più difetti che pregi. L’attacco è quello che è – pregi in sovrabbondanza.
Non è sul mercato che la problematica si aggiusta, ma nelle teste.
Cosa stanno evidenziando le attuali vicende calcistiche?
Che il football è fatto sì di risorse tecniche individuali che si possono anche rappresentare in milioni di euro. Ma anche che un ruolo importante, ai livelli più alti sicuramente decisivo, è l’aspetto motivazionale. Ci sarà una ragione per cui la Juventus ha perso 4 partite lontano dal suo Stadium? Perché le squadre quando affrontano i bianconeri producono il 20 per cento in più? Perché la Fiorentina domenica ha giocato una partita perfetta ( tutti i giocatori impiegati da Paulo Souza sempre lucidi e concentrati)? Perché, nonostante le legnate subite dai possenti difensori bianconeri, un ragazzino del vivaio viola di diciannove anni, Federico Chiesa – noto soprattutto per essere figlio d’arte (di Enrico) – è protagonista di una super partita conclusa con una rete in acrobazia che lascia di stucco perfino un portiere navigato come Buffon?
Tutti questi perché hanno sempre la stessa risposta. Perché la motivazione è in grado di migliorare la prestazione sportiva in maniera incredibile. Il calcio, nonostante la mercificazione imperante, rimane sempre uno sport, come qualsiasi altro, come l’atletica leggera. Ci sono negli individui riserve di energie nervose che non vengono alla luce se non attraverso motivazioni superiori. Non è il denaro che può essere lo stimolo giusto per “grattare il barile”. Sono altre le fonti da cui si può attingere, per superare sé stessi e “conquistare il record”. Nello sport sono soprattutto orgoglio, spirito di appartenenza e superego che ti fanno andare ben oltre i propri limiti. A volte lasciando tracce inequivocabili come crampi e strappi muscolare.
Accade così che fra equipe il cui valore contabile sulla carta presenti un netto squilibrio il campo dia ragione alla formazione più povera, ma in grado di sublimarsi agonisticamente. Il valore dell’allenatore conta relativamente. La differenza in più od in meno la fa la sommatoria dei singoli giocatori. Giocatori piovuti da chissadove, motivati soltanto dall’ingaggio saranno sicuramente meno motivati da chi ha legami appartenenza con l’ambiente. I primi avranno sicuramente come maggiore preoccupazione quella di evitare di infortunarsi. I secondi faranno qualsiasi cosa per difendere la propria bandiera.
Insomma una società di calcio, un football club, non è un pollaio asettico in cui si allevano gallinacei di varia provenienza e di più o meno valore. È un luogo, sono dirigenti, sono sostenitori che devono suscitare senso di appartenenza in cui riconoscersi. Solo in questo caso la squadra in campo sarà in grado di offrire regolarmente il meglio si sé.
Il calciatore questo lo intuisce. Sa di averne bisogno. Più che dall’allenatore questo senso di appartenenza nasce nella figura del Presidente. È lui il punto di riferimento, l’immagine quasi paterna che il calciatore, un giovane come un altro, ricerca per non sentirsi un estraneo, pur se imbottito di milioni.
Non vogliamo fare classifiche in questo senso, ma sicuramente ci sono molte squadre che il meglio di sé non lo raggiungeranno mai. Destinate ad inevitabili su e giù. Altre, Juventus compresa, potranno incorrere in incidenti di percorso, ma disponendo di una barra ben ferma, finiscono per trovare in sé le forze per superare ogni bufera. Almeno fino a quando non arrivi qualcuno migliore a tutti i livelli.
Ma, francamente, non lo vediamo.