Spettacolo
Accademia di Santa Cecilia – Temirkanov dirige Cajkovskij e Rachmaninov
Francesca e Odette
La passione ribollente di uno spirito romantico, la sua essenza più leggibile, le sfumature della sua anima, la ricchezza del suo universo melodico, come anche la sua emotività a fior di pelle e il suo virtuosismo strumentale al servizio dello straziante connubio di Amore e Morte, sono le caratteristiche più evidenti della Fantasia Sinfonica, op.32, “Francesca Da Rimini” di Cajkovskij, brano d’apertura del programma settimanale dell’Accademia di Santa Cecilia con il quale il sovrintendente saluta e ringrazia con un sentito applauso i suoi spettatori a chiusura della stagione invernale.
Il brano segue fedelmente la vicenda della giovane narrata nel V° canto dell’Inferno di Dante, mettendo al servizio del tragico destino dei due amanti romagnoli, una grandissima ricchezza di colori e di immagini, riproducendo i suoi accenti disperati, i languori d’amore, mentre l’orchestra si scatena in drammatici colori o scivola in teneri lirismi pieni di struggimento. La fantasia, ma in questo caso si può proprio parlare di Poema Sinfonico, è distinta in tre parti, dalla descrizione angosciante dell’Inferno dove “Stavvi Minòs orribilmente e ringhia”, alla bufera infernale che trascina Paolo e Francesca nella loro pena eterna, ispirata alle suggestioni delle celebri illustrazioni di Gustave Doré, al finale dove torna prepotente il tema d’inizio con la sua febbrile tensione romantica. Già di per sé particolarmente emozionante, l’opera del compositore russo rivive con un suo carisma per merito del direttore Juri Temirkanov, con il quale l’Orchestra ceciliana ha instaurato da tempo un rapporto privilegiato che si traduce sempre in una grande esibizione.
A calmare gli effetti drammatici, ecco “Tre Canti Russi” op. 41, di Sergej Rachmaninov, lavoro del 1926 con il quale si concludeva un decennio di aridità creativa del compositore. Tre canzoni dal tema ingenuo e popolare che cantano il distacco, la lontananza e il rimpianto. Nella prima, “All’altra sponda” un anatro piange la fuga impaurita della compagna. “O Vania, Testa sventata” è il lamento di una sposina lasciata a vivere con il suocero. Nell’ultima, invece, “Mie rosee gioie e candide”, una giovane sposa teme il ritorno del marito geloso sapendo già che vuole picchiarla. Le canzoni sono affidate al coro ceciliano abilmente istruito da Ciro Visco.
Il finale del programma permette di ascoltare ancora Cajkovskij, la Suite op. 20 a e IV° atto de “Il lago dei cigni”, uno dei tre balletti narrativi musicati dal compositore. Emozione, libera fantasia, melodie purissime, espresse con un fitta e lussureggiante strumentazione al servizio di un linguaggio sonoro magistrale. Questo balletto, giunto tardi al pieno successo, nato per volere del celebre coreografo Marius Petipa, si inserisce nel ciclo delle leggende nordiche e dei miti delle acque. L’anima della principessa Odette, morta per amore anzitempo, condivide con altre fanciulle la sorte di essere imprigionata dal crudele Mago Rothbart nel corpo di un cigno. Solo a mezzanotte per poche ore riesce a riassumere fattezze umane. Ed è così che si innamora di lei il principe Siegfried, ma il mago fa in modo che il giovane offra il pegno di fidanzamento che avrebbe liberato Odette alla propria figlia Odile, vestita da cigno nero. Disperata ,Odette fugge verso il lago e la sua fine.
Difficile sfuggire alla malia delle melodie di questo balletto, considerato il punto d’inizio della grande tradizione di musicisti prestati al genere, sulle quali svetta la stupenda pagina dove l’oboe (il tema di Odette), sostenuto dall’arpa poggia il suo suono malinconico e struggente sul fremito sfumato degli archi.