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Racconti di sport. Aldair: “Non è vero che a Roma c’è un ambiente difficile. Chi è forte gioca bene ovunque”

calcio aldair romaIntervista con il grande campione brasiliano, che ci parla della “sua” Roma con un occhio al passato e uno al presente.

Roma, 2 settembre 2017 – Aldair è tra i grandi della storia del calcio. Campione del Mondo con il Brasile nel 1994, Campione d’Italia con la Roma nel 2001 (poi vincitore della Supercoppa Italiana dello stesso anno), Campione in Patria con il Flamengo (la squadra per cui tifava da piccolo), ma soprattutto difensore tra i più forti del football moderno. Lo abbiamo incontrato nella sede dell’Unione Tifosi Romanisti in occasione della presentazione dell’amichevole a scopo di beneficienza tra la Roma e la Chapeocense su invito del presidente dell’UTR Fabrizio Grassetti, che con l’occasione ringraziamo.

Ne è venuta fuori una bella chiacchierata pubblica, nella quale il campione brasiliano ha parlato della sua Roma, con la quale ha giocato 13 stagioni.

“Non è vero che qui c’è un brutto ambiente, che rende difficile la vita dei calciatori e per colpa del quale si vince così poco – ci dice – io ci sono stato benissimo per 13 anni e ho anche vinto. Dunque… Se uno è forte gioca bene e vince ovunque. Roma e la Roma le porto nel cuore”.

Con Di Francesco sei stato compagno di squadra. Ti aspettavi che sarebbe diventato allenatore e, poi, allenatore della Roma?

“No, non pensavo. Anche se lui aveva già una forte personalità quando giocavamo insieme. Mi ha stupito, però, perché un bravo allenatore e penso che alla Roma potrà fare davvero bene. A patto che venga supportato da tutti (società, pubblico, giocatori) anche nei momenti di difficoltà”.

 

Come giudichi la Roma di oggi?

“È una squadra che ha cambiato tanto e forse è un po’ meno forte dell’anno scorso. Resta però una buona squadra. Ci sono ottimi giocatori in ogni reparto. Penso possa fare un buon campionato. A patto che segua Di Francesco, che pratica un gioco molto offensivo, nel quale si attacca molto”.

 

Parliamo dei tuoi tempi. Con la Roma hai vinto lo scudetto nel 2000-01. Nel corso di quel campionato quando pensaste che ce l’avevate davvero fatta?

“Verso la fine, quando il sogno stava per diventare realtà. Di certo il momento decisivo fu il pareggio per 2-2 sul campo della Juventus conquistato in doppia rimonta (la Roma perdeva 2-0, ndr) e nei minuti di recupero con il gol di Montella. Ma ci considerammo campioni solo dopo che battemmo il Parma all’Olimpico il 17 giugno”.

 

Nel corso della tua carriera hai affrontato tanti attaccanti. Quale è stato il più forte che hai incontrato?

“Senza dubbio Ronaldo, il fenomeno. In quegli anni era imprendibile e tutto il Brasile beneficiò molto della sua presenza in squadra”.

 

Il portiere più forte che hai avuto come compagno di squadra?

“Miki Konsel, che difese i pali della Roma nel periodo in cui in panchina sedeva Zeman, con il quale parlavo spesso del modo di difendere di quella squadra, anche se poi alla fine si faceva sempre come voleva lui”.

 

C’è una partita che hai giocato alla quale sei rimasto particolarmente legato?

“Senza dubbio la finale della Coppa del Mondo di USA ’94 che vincemmo ai rigori contro l’Italia, perché quel giorno coronai il sogno di vincere il titolo mondiale. Quello che è il sogno di tutti i bambini che cominciano a giocare a calcio”.

 

Una curiosità da collezionisti. Tra le tante maglie della Roma che hai indossato quale è quella che ti è piaciuta di più?

“Quella con lo scudetto cucito sul petto. Era la più bella di tutte. Senza dubbio”.

Il motivo della risposta si capisce bene. È la maglia che celebra una vittoria alla quale Aldair è legatissimo, anche perché è lo straniero con più presenze nella storia della Roma, della quale è stato l’unico capitano brasiliano e l’ultimo capitano prima di Totti, al quale cedette la fascia alla fine dell’ottobre del 1998.

“Lo feci perché lui arrivava dalla sua prima stagione da titolare e ci era rimasto male per la mancata convocazione al mondiale di Francia ’98. Io avevo 33 anni ed ero già orgoglioso di essere stato l’unico capitano brasiliano della storia della Roma. Così mi sentii di cedere la fascia a quel ragazzino tifoso giallorosso che in campo dava il doppio di tutti. Feci quel gesto per incoraggiarlo e gli dissi: “Ora è il tuo momento e questo momento durerà tanto, perché tu sei la Roma. Fai vedere a tutto il mondo chi sei”. Mi sembra che ci è riuscito”.

 

Diremmo proprio di sì!

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