Spettacolo
Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Petrenko e Mario Brunello in un programma romantico
Un’ eccellenza italiana
Roma, 4 novembre 2017 – Il ritorno dell’Orchestra dopo la tournée americana e le pagine musicali scelte per il pubblico: due elementi d’interesse che motivano l’Auditorium sold out.
Al direttore Vasily Petrenko l’impegno del podio per un programma dedicato a Brahms e alle atmosfere romantiche di Schumann e di Mendelsshon Bartholdy.
Ad apertura, un brano particolarmente interessante, un punto di snodo nel tracciato compositivo di Johannes Brahms: Le Variazioni su un tema di Haydn op 56° nella versione per orchestra ( ne esiste anche una versione per due pianoforti, autonoma rispetto alla forma orchestrale ). Un procedimento, quello della variazione su tema, che si snoda per tutto il percorso musicale nelle varie epoche, ma al tempo di Brahms non più in voga, anzi considerato scolastico e proprio di un comporre antiquato. Al quale si opponeva, fra gli altri, lo stesso Wagner. Ma in quella seconda metà dell’800 riprende d’improvviso la sua carica vitale proprio per mezzo di questo lavoro, nato dalle suggestioni suscitate nell’artista da un manoscritto attribuito a Haydn datato circa un secolo prima (1784), e in particolare dal secondo tempo della composizione che citava un antico canto austriaco dei pellegrini: il Chorale in honerem St Antonii. Fino ad allora Brahms aveva composto musica cameristica di grande successo, con le Variazioni, eseguite per la prima volta il 2 novembre del 1873 a Vienna dai Philharmoniker, diretti dallo stesso autore, egli inizia la produzione sinfonica. Il metodo compositivo scelto, risalente al periodo barocco, conserva la struttura armonica originale e varia e articola diversamente la melodia. Notevole e assai differente è tuttavia la resa anche per l’evidente contributo che la grande formazione orchestrale offre al compositore. Un artista raffinato come Petrenko, uno dei massimi esponenti dei direttori della sua generazione (è nato nel 1976), proveniente dalla fertile fucina del Conservatorio di San Pietroburgo, Artista dell’Anno ai Gramophone Awards nel 2017, ha saputo condurre con brillante solerzia la nostra più importante Orchestra Sinfonica lungo le difficoltà della partitura.
Il programma si chiude sulle note della severa Sinfonia n. 5 di Mendelsshon Bartholdy, detta la “Riforma”, perché scritta dal compositore ventenne nel 1829, in occasione del trecentesimo anniversario della confessione di Augusta.
Ma il punto centrale e più significativo del programma era certamente costituito dalla performance di Mario Brunello, violoncellista di fama internazionale, vincitore nel 1986 del Premio Ciaikovskij, impegnato nel Concerto in la minore per violoncello e orchestra op.129 di Robert Schumann. Composto in appena due settimane nell’autunno del 1850, fu ascoltato per la prima volta dal pubblico di Oldenburg quattro anni dopo la morte del compositore.
Denso di colori di struggente bellezza, di slanci romantici, di lirica cantabilità, il Concerto per violoncello è testimone delle gravi e combattute difficoltà di Schumann già preda del profondo squilibrio mentale e dei suoi demoni che, dopo avergli fatto tentare il suicidio, ne consigliavano il ricovero in una struttura ospedaliera dove sarebbe morto due anni dopo l’internamento, il 29 luglio del 1856, senza aver potuto rivedere l’amata moglie Clara e i loro sei figli. In linea con la ricerca musicale romantica che anelava vivamente al nuovo e a rileggere gli antichi e le forme classiche con occhio moderno, stimolato dalla propria estetica, Schumann costruisce l’architettura del Concerto nella consueta scansione in tre movimenti, ma travasandoli l’uno nell’altro senza soluzioni di continuità.
Il Concerto ricco di spunti emotivi è un banco di prova per un solista che voglia riprodurre la sensibilità vibrante di un animo appassionato. Il miracolo che converte in suono la pagina musicale è stato compiuto da Mario Brunello, un’eccellenza italiana.