Spettacolo

Accademia Filarmonica Romana – Don Giovanni secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio

teatro don giovanniLa mutazione genetica  del libertino
Un momento di esitazione che ti lasci scivolare nel gioco teatrale e musicale, ed eccoci proiettati dal Teatro Olimpico nel domaine del Don Giovanni di Mozart secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio, produzione dell’Accademia Filarmonica Romana e  Nuits des Fourvière, che  dopo avere lacerato i cuori delle donne, si lancia alla conquista di appartenenze geografiche, di stili musicali, mescolando da par suo rag time, bossenove, canzoni strappacuore napoletane e le pagine immortali di Wolfang.
Poi a completare il patchwork meraviglioso creato con tanta abilità da Mario Tronco, Leandro Piccioni e Pino Pecorelli, ecco che i tempi dello spettacolo mulinano diventando un eterno rincorrersi nel fittizio presente della scena, un gioco ellittico onirico dove l’incipit affidato alla videoproiezione (Daniele Spanò) sul grande ovale che pende al lato sinistro del palcoscenico  con il volto spettrale del commendatore assassinato che si disfa secondo cesoie cubiste, non solo lancia  un monito sul destino riservato nell’Oltre ad un libertino, un uomo dissoluto, meschino, ebbro di sé e delle fascinazioni che sa mettere in atto, malefico e socialmente orizzontale, non trascurando alcuna donzella, a qualsivoglia ceto appartenga, ma scandisce momenti della vicenda terrena di chi irride l’amore e la storia.  
Sul palcoscenico Don Giovanni vive nella significativa mutazione genetica che trasferisce il ruolo mozartiano di bass baritono  sulle corde vocali d’acciaio di Petra Magoni, soprano lirico che già aveva primeggiato con la Regina della Notte nella applauditissima  versione del Flauto Magico. Esperienza richiamata interpolando i celebri acuti del ruolo anche nel tessuto musicale del personaggio Don Giovanni. Con lei, l’ingannatore di Siviglia è sprezzante, a volte il canto lacerante ne sfaccetta la natura un po’ nevrotica, accostandolo a certi idoli rock, immergendolo nell’ossimoro della eternità contemporanea, la stessa che i musicisti dell’Orchestra le consegnano facendole interpretare a fine spettacolo l’evergreen di Donna Summer ”I feel love”.
Profondamente adescati dalla vertiginosa ritmica, dal senso di festa e di allegria collettiva, dall’energia inesausta che sprigiona il coté musicale, ci prepariamo alla traversata a volo radente della New Orleans targata anni ’20, con il suo ragtime colorato dalla voce caraibica del cubano Omar Lopez Valle, che suona la tromba dall’età di 7 anni, canta alla maniera di Luis Armstrong, e accenna con la sua mole imponente passi di danza cadenzati dando vita ad un insolito Leporello, il quale strizza l’occhio presentando ‘il Catalogo’ delle conquiste amorose del folle don Giovanni alla discografia dei The Beach Boys. 
Poi, ci ritroviamo trascinati nelle bossenova di Rio e Bahia nei quali sono immersi il Don Ottavio di Evandro Dos Reis e la Donna Anna di Simona  Boo, (vocalist dei 99 Posse), un felice connubio di voci e di stili. Donna Elvira ha le sonorità della cantante lirica albanese Hersi Matmuja, che nella Carmen portata sul palco dall’OPV ricopriva il ruolo di Micaela. Il talento di Mama Marjas, la sua voce carnale e possente sono prestati al ruolo di Zerlina, in una contrapposizione sonora con la voce romantica e dolcemente malinconica di Houcine Ataa, qui Masetto, specialista delle sonorità del canto sufi e del cante jondo andaluso.
Sul palco dell’Olimpico, una semplice tenda argentata a sinistra, una poltrona bianca classica, e pochissimi altri elementi (scene di Barbara Bessi), ma tanto basta  a risvegliare il miracolo della immaginazione in chi guarda, aiutato dai costumi pop che rispettano l’epoca nel colore (celeste e argento), completati da pesanti scarpe  bianche per le donne, negli eleganti smoking di foggia maschile, nel frac bianco  per Don Giovanni, firmati da Ortensia De Francesco.
Tutti sono coordinati dalla regia soft ma quanto mai appropriata di Andrea Renzi.

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