In difesa dell’Arma nel marasma dei processi Stato-mafia
“Stato-mafia, l’indagine bis punta sui servizi: si riapre il mistero della falange armata”, scrive Salvo Palazzolo su “La Repubblica.it” nei giorni scorsi. Quindi,”” Una nuova indagine sta tornando dentro i misteri del ’92-’93, gli anni delle stragi che scandirono il passaggio fra la prima e la seconda Repubblica. È un’inchiesta “bis” sulla trattativa.
I Procuratori di Palermo sono convinti che il dialogo segreto con i mafiosi non fu condotto solo dai politici e dai Carabinieri del Ros rinviati a giudizio alcuni giorni fa (Mancino, Dell’Utri, Mori, Subranni, De Donno), ma anche da alcuni agenti dei servizi segreti. C’è già una pista concreta, che vedrebbe indagato un ex dirigente dell’intelligence in rapporti con l’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino attraverso un intermediario.
Nelle scorse settimane, i PM hanno mandato di gran fretta gli investigatori della Dia di Palermo nei sotterranei del Palazzo di Giustizia di Roma per recuperare gli atti del processo a uno dei presunti telefonisti della “Falange Armata”, la misteriosa organizzazione che ai centralini delle agenzie di stampa rivendicava gli attentati del ’92-’93 e lanciava messaggi di terrore. Molti dei nomi chiamati in causa dalla Falange sono oggi i protagonisti del caso trattativa””. Ma c’è solo il mistero mai chiarito della Falange? E perché, diciamo noi, non anche quello delle imprese criminali degli uomini della “Uno Bianca”? Sì, la famigerata banda (82 “colpi” in Emilia e Romagna, 23 morti, decine di feriti, otto anni di sangue dal 1987 al 1994) le cui indagini, però, dopo l’arresto dei Savi, nel 1994, non furono più approfondite perchè non collimavano con quelle attestate sulla linea minimalista della banda casareccia e familiare.
Secondo Giovanni Spinosa, il Magistrato che seguì molto incisivamente la prima fase delle indagini, in questo vastissimo vero e proprio progetto eversivo, il ruolo dei Savi (Roberto, capopattuglia dei 113 della Questura di Bologna, Fabio,camionista, e Alberto, Poliziotto del Commissariato di PS di Rimini, aiutati da un nucleo di altri Poliziotti “infedeli”) si riduce a quello di trafficanti-fornitori di armi e di esecutori materiali di rapine sanguinose, ma sempre sotto una direzione esterna, una sfuggente se non misteriosa eterodirezione.
Quale, poi, cosa non trascurabile, fu il ruolo della prima citata “Falange Armata”, sigla di rivendicazione di molti fatti gravissimi commessi dalla stessa Banda della Uno Bianca ma anche dalla Mafia? Tra queste rivendicazioni ricordiamo, per nostra memoria, l’uccisione dell’educatore del carcere di Opera, in provincia di Milano; a Bologna, il tristemente noto agguato vigliacco a tre Carabinieri al Pilastro; l’uccisione dei Magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; le esplosioni di autobomba in Via Ruggero Fauro a Roma, in via dei Georgofili a Firenze, nei pressi della galleria degli Uffizi; a Roma, il rinvenimento di potente ordigno a Via dei Sabini, a 100 metri da Palazzo Chigi; l’attentato a Padova durante la notte contro il Palazzo di Giustizia ed altri ancora, taluni anche inquietanti inviati per via telematica su siti importanti economici e istituzionali, di non larvate minacce allo Stato.
Interessante ancora, nell’Italia dei misteri, sarebbe lumeggiare definitivamente il ruolo dello sfuggente “obliquo” terrorista di destra reggiano Paolo Bellini, alla luce delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca. Bellini, nel ’92, a cavallo tra gli omicidi di Falcone e Borsellino, aveva contattato Antonino Gioè, mafioso braccio destro di Totò Riina, con il quale avrebbe ragionato sul possibile cambiamento della strategia mafiosa contro lo Stato; infatti, Brusca, che aveva osservato i due, ha riferito che sarebbe stato Bellini a introdurre il famoso discorso: “ Se voi uccidete un Giudice lo Stato lo sostituisce, ma se colpite la torre di Pisa, il danno per il Paese è peggiore”.
Sempre sulla nota presunta trattativa Stato-Mafia, infine, leggiamo nel libro di Maurizio Torrealta e Giorgio Mottola “PROCESSO ALLO STATO”, edito da Rizzoli nel novembre 2012, di un presunto accordo tra il Dipartimento Penitenziario del Ministero della Giustizia e i Servizi Segreti per il controllo e la gestione dei principali detenuti in regime di massima sicurezza, senza che rimanesse alcuna traccia nei registri carcerari. E’ questo il “Protocollo Farfalla”, descritto nei dettagli e nelle sue presunte conseguenze (documento oggi coperto dal segreto di Stato), il tutto, secondo gli autori, con conseguenze drammatiche quali addirittura la morte dei Magistrati Gabriele Chelazzi e Loris D’Ambrosio (quest’ultimo Consigliere Giuridico del Capo dello Stato Giorgio Napolitano) sui quali non sarebbe stata effettuata l’autopsia (deceduti entrambi per infarto cardiaco fulminante) e quella della Direttrice del carcere di Sulmona e del suo compagno (Armida Miserere nel 2003 si uccideva con un colpo di pistola alla testa nella sua abitazione annessa al carcere di Sulmona mentre il compagno Umberto Mormile, educatore carcerario, fu ucciso in un agguato di camorra nel lontano 1990 a Milano). Aggiungono, Torrealta e Mottola, che “Ci sono molti motivi per supporre che queste morti siano connesse alle informazioni sul protocollo e la trattativa…(e)…quello che sta succedendo nelle carceri è incredibile…”.
Noi al riguardo diciamo che non è incredibile che strutture dello Stato controllino i mafiosi anche all’interno delle strutture carcerarie con Protocolli Farfalla et similia (guai, se quelle strutture non lo facessero, ci mancherebbe; lo hanno sempre doverosamente fatto!); ma è maggiormente incredibile che fedeli, integerrimi e coraggiosi Servitori dello Stato come gli Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori, Giuseppe Dedonno e Sergio Decaprio ( il mitico Capitano “Ultimo”) abbiano subito o continuino a patire l’onta del processo penale avendo come unica colpa quella di aver difeso questa Repubblica che non trova pace ed equilibrio chissà per quali reconditi motivi nel fronteggiare il terrorismo mafioso destabilizzante. Piuttosto che colpire chi ha fatto eroicamente con enormi rischi personali il proprio dovere, la Magistratura dovrebbe fare presto e bene la propria parte approfondendo non pochi aspetti oscuri che punteggiano la storia di questo Stato malato affondando il bisturi laddove è necessario, mentre la Politica, rinnovandosi e scrollandosi di dosso ignobili incrostazioni di collusione delinquenziale, dovrebbe implementare il quadro legislativo antimafia in piena inversione di tendenza con quanto fatto negli ultimi venti anni. A Subranni, Mori, Dedonno e De Caprio, quindi, si conceda subito per la loro meritoria azione ed anche a riparazione di quanto subìto la massima ricompensa al Valor Militare perché la meritano, e si chiudano, una volta per tutte, questi processi inutili ma utili solo ad accendere i riflettori della spettacolarità circense in questa “Società dello Spettacolo”, processi certamente non volti a perseguire la Giustizia vera e definitiva, cioè quella Giustizia oggi più che mai attesa, meritata e necessaria!