Quando il gioco delle carte è integrazione sociale
L’allarme sociale sulle problematiche legate al gioco d’azzardo, riflette la diffusa percezione della sempre maggiore crescente gravità del problema.
La massiccia invasione di poker-machines, l’enorme crescita dell’offerta di possibilità legali di scommettere (super-enalotto e lotto, “gratta e vinci”, scommesse clandestine sull’ippica, centri scommesse della Snai) alimenta le speranze illusorie. Il gioco delle carte, in tempi relativamente recenti ovvero prima dell’arrivo della tecnologia, rappresentava lo spartiacque tra lecito e illecito (poker, baccarà, texano poker, blakjack). Vincere o perdere senza combattere è umiliante. Nel gioco d’azzardo non solo non si vince “facile” ma si finisce per impoverirsi in anni di ricerca di un’improbabile ricchezza e, nel peggiore dei casi, contrarre una vera e propria dipendenza dal gioco non meno rischiosa di quelle dall’alcool o dalle droghe. Se pensiamo al problema del giocatore compulsivo in analogia al problema delle tossicodipendenze, appare evidente che lo “spacciatore” più importante potrebbe essere lo Stato mentre il giocatore che cade in rovina è la persona da aiutare. Sappiamo inoltre che politiche sociali di rigoroso proibizionismo non fanno che alimentare lo sviluppo di circuiti clandestini illegali alternativi. Al contrario nel suo termine positivo, il termine gioco ha il potere di evocare situazioni piacevoli e ricche di potenzialità creative, alternative a ciò che si considera impegno (il lavoro per un adulto o lo studio per un ragazzo). Le funzioni del gioco, in realtà, vanno oltre la sfera del disimpegno individuale e collettivo, costituendo la struttura portante dello sviluppo affettivo, cognitivo e sociale degli individui della specie umana, ma anche animale. Le funzioni del gioco sono diventate oggetto di studio per gli psicologi soprattutto per i bambini e gli adolescenti. Gli esseri umani, infatti, imparano interagendo direttamente con altri esseri umani, imitandone il comportamento, ascoltando quello che dicono, obbedendo alle loro “istruzioni”, e così via; oppure, indirettamente, interagendo con opere prodotte da altri esseri umani (l’arte, i libri, i quadri, le musiche, le poesie, i romanzi) oppure facendo riferimento alle nuove tecnologie, internet compreso. Poca attenzione è stata dedicata al valore psicologico del gioco nella dimensione di apprendimento e socializzazione. Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare. Il gioco come tale oltrepassa i limiti dell’attività puramente biologica: è una funzione che contiene un senso. Tra il gioco delle carte, nell’ultimo periodo, si sta diffondendo, a macchia d’olio, il gioco del“Burraco”, con tanto di regole federali, gestite, per la gran parte, dalla F.I.Bur. Federazione Italiana Burraco. I Circoli di Burraco nascono in tutta Italia come funghi. Un gioco che appassiona grandi e meno grandi, soprattutto il mondo femminile e questo è un bel segnale. Hotel, agriturismo, tensostrutture ospitano ogni fine settimana tornei di circolo, federali, regionali, nazionali; anche la “crociera” oramai è a tema. Recentemente, tra i vari circoli in tutta Italia, si è distinta con merito l’ “Associazione Incontro” di Caltagirone, perché ha avviato un progetto pilota per l’inserimento di soggetti ospiti di case famiglie con gravi problemi di reinserimento sociale. Queste persone sono state accolte da soci del circolo come tutor e hanno giocato con loro e per loro. Oggi a un anno di distanza dall’avvio del progetto, molti di questi soggetti sfortunati frequentano l’Associazione come soci effettivi, giocando alla pari come tutti gli altri. L’inserimento è ben riuscito e costoro hanno trovato una motivazione al loro vivere quotidiano. “L’aspettativa è che si avveri il presupposto – spiega Giusy Desiano, presidente del Circolo – contrariamente a quello che può sembrare il gioco con le carte, inizialmente elemento ostico per un soggetto con difficoltà a socializzare, può invece essere uno strumento ponte tra la depressione e l’inserimento sociale. Le barriere che c’erano all’inizio e la diffidenza dei soci stessi sono stati eliminate grazie al gioco del ‘burraco’. La filosofia è che nessuno sia emarginato e che si giochi con le carte all’interno di una dinamica di gruppo”. Non solo, ma i circoli sono frequentati anche da persone anziane bisognose di compagnia che, socializzando con gli altri componenti, riescono a sorridere alle tante sofferenza della vita. Un bell’esempio che c’è dato dal sud, dalla Sicilia. Se poi a guidare questo rinnovamento culturale sono le donne, allora possiamo guardare al futuro, per un’integrazione sociale da parte delle persone sfortunate, con rosea prospettiva.