Ancora sul delitto dell’eroico Commissario Calabresi, lasciato solo contro tutti!
Su DAGOSPIA leggiamo….””Nei giorni scorsi La Stampa di Torino (con l’articolo dal titolo: Mi chiamano traditore, ma io posso girare a testa alta, di Michele Brambilla) ha dedicato due pagine al pentito Marino che si confessa ed alla vergogna italiana dell’omicidio del Commissario Calabresi.
“La Stampa” è diretta, bene o male poco importa, da un galantuomo che ne e’ il figlio (Mario, dall’ aprile 2009 ne è Direttore, ad appena 39 anni). Non basta per essere grandi Direttori, ma basta assolutamente per avere rispetto. Siamo un po’ alle solite operazioni di macerata memoria della sinistra. Chi sapeva e sa allude; alla fine pero’ si butta sempre il tutto in un dialogo para intellettuale, mentre si tratta di quanto di piu’ criminale la sinistra ha commesso e non solo in Italia. In fondo sembra quasi che una condanna netta e chiara dell’ideologia comunista e terrorista che ha causato infiniti lutti in Italia non si può mai sancire, mentre doverosamente si sancisce per il fascismo, chiaramente indifendibile. Detto questo, speriamo che le macerazioni socio-psico-culturali della sinistra portino prima o poi a qualcosa. Purtroppo e’ difficile prevederlo. Alla medesima Stampa di Torino che vide ammazzato Carlo Casalegno, suo Vice Direttore, dai terroristi di sinistra, alcuni pseudo intellettuali negli anni Settanta ostentavano equidistanza fra Stato e terroristi. Purtroppo, lo ricordiamo benissimo.”” Con un articolo su questa testata “L’ATTUALITA’.it” del 25 gennaio 2012, dal titolo “La liberazione di Adriano Sofri”, ho ricordato quei tragici eventi prendendo spunto dal fatto che a conclusione di un lungo iter processuale, Adriano Sofri, che era stato condannato a 22 anni per l’uccisione di Luigi Calabresi, era tornato libero, avendo scontato la sua pena. Sofri, già leader di “Lotta Continua”, era stato condannato con sentenza definitiva nel 1997, insieme con Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi. Sofri si è sempre dichiarato estraneo nè ha mai presentato richiesta di grazia; nel 2005, colpito da seria malattia, ha trascorso gli ultimi 5 anni agli arresti domiciliari. Con il suo “fine pena” si è chiusa una delle più complesse vicende giudiziarie degli ultimi decenni; un processo durato 12 anni, con 14 sentenze, al centro di numerosi dibattiti politici. Il primo arresto di Sofri ci fu nel 1988, a ben 16 anni dal tragico evento (Calabresi venne assassinato il 17 maggio del 1972), a seguito delle confessioni del “pentito” Marino, che chiamò in causa Sofri, Bompressi e Pietrostefani, sostenendo di essere stato lui a guidare la macchina usata per l’attentato, mentre, a suo dire, a uccidere il Commissario fu Bompressi. La responsabilità di Pietrostefani e Sofri, invece, secondo la ricostruzione di Marino, sarebbe stata di “ordine morale”, ossia quella di “mandanti”. Mentre Sofri ha scontato la pena, Bompressi ha ottenuto la grazia nel 2006, mentre Pietrostefani è latitante in Francia. Ma qual’era il clima di veleni e menzogne, contrabbandate per verità da ideologie fuorvianti in quegli anni, che costituirono i prodromi dell’infame delitto di un integerrimo servitore dello Stato, dallo stesso Stato lasciato solo? Andiamo a ritroso nel tempo; il che fa bene a noi Italiani spesso dalla memoria corta e fallace. Il 7 aprile 1979, furono effettuate centinaia di perquisizioni in tutta Italia, con l’arresto, sulla base di 22 ordini di cattura firmati dal grande Sostituto Procuratore della Repubblica di Padova, Pietro Calogero, nei confronti di 15 esponenti di “Autonomia Operaia”, tra cui Toni Negri e Oreste Scalzone, mentre sfuggirono all’arresto, tra gli altri, il noto Franco Piperno; erano tutti professori, assistenti, studenti universitari e giornalisti, tutte persone di alta cultura, tutte protese ad avvelenare non solo le coscienze con i loro scritti, ma disposti anche ad imbracciare le armi, come si evince dai capi di accusa. Dodici degli imputati furono incriminati anche “…..per aver… organizzato e diretto un’associazione denominata Brigate Rosse … al fine di promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato e mutare violentemente la Costituzione e le forme di governo sia mediante propaganda di azioni armate contro persone e cose…”. Chi erano questi signori; ma soprattutto, chi li contrastò fermamente? Certamente erano dei cattivi maestri, ben acculturati nelle farneticazioni deliranti dell’ultracomunismo più becero e violento; a contrastarli, con azione di supplenza, ci fu solo la Magistratura, unitamente alle sempre benemerite Forze dell’Ordine, ancora oggi unico presidio di Legalità democratica, che riuscirono a contenere senza sostegno morale e materiale l’urto nelle piazze di “canee” scatenate e folli, spesso armate di congegni micidiali. Come non ricordare i motti e i lazzi del tenore: “Carabiniere, basco nero, primo posto al cimitero”; cambiato dalla stessa imbecille ubriacatura ideologica, in tempi più recenti, in : “10-100-1000 Nassiriya”? All’epoca, andarono di moda gli spettacoli gratuiti, quale “Morte accidentale di un anarchico”, di Dario Fo (nella seconda metà degli anni ’90 giustamente gratificato dalla sinistra con il Premio Nobel per il Teatro), il quale prese spunto dalla morte, assolutamente accidentale, dell’ anarchico Giuseppe Pinelli. Questa farsa ispirò pure la lettera che fu pubblicata per tre settimane consecutive, a partire dal 13 giugno 1971, su ”L’ Espresso”, firmata da 800 intellettuali, di cui alcuni di loro, ma solo alcuni, chiesero poi tardivamente scusa. Tale documento, tra l’altro, definiva il Commissario Luigi Calabresi “..un torturatore..”, lo accusava quale “..responsabile della morte di Pinelli..” e chiedeva di ricusare i “..Commissari torturatori, i Magistrati persecutori, i Giudici indegni..”. Tra i firmatari c’erano artisti, registi, editori, giornalisti, politici, accademici, filosofi, scienziati, sindacalisti e, in generale, molti tra i più noti esponenti della cultura italiana del tempo. Di questi, taluni sono divenuti importanti esponenti della politica nazionale, mentre altri ricoprono ancora posti di rilievo nella società odierna. “Dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito (…) Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, che più modestamente di questi nemici del popolo vogliamo la morte… “, così si scriveva su Lotta Continua del 6 giugno 1970, tanto che diversi giornalisti, non legati a “Lotta Continua”, prestarono il loro nome firmando il giornale come direttore responsabile per consentire la pubblicazione di tali mostruosità, venendo giustamente inquisiti dalla Magistratura per “reati a mezzo stampa” come vilipendio alle Istituzioni, istigazione alla diserzione ed a delinquere ed altri reati d’opinione. Allora, ci furono fortunatamente benpensanti che ebbero il coraggio di sostenere moralmente Magistratura e Polizie e di urlare, come fece nell’antica Roma, Maestra di Civiltà e di Diritto, il grande Cicerone contro Catilina: “Quo usque tandem, Catilina, abutere patientia nostra?” (Fino a che punto, Catilina, dovremo sopportarti?), ovvero, anche: “O tempora! O mores!”( che tempi; quali costumi degenerati!). Ma oggi, a oltre quarant’anni dal delitto Calabresi, prodromo della tragedia del “Caso Moro” di sei anni dopo, constatiamo, purtroppo, nella progressiva desertificazione della politica che ha generato corruzione e malaffare, con intorbidamento generale delle coscienze, un vuoto preoccupante, tanto che al degrado non si riscontra reazione! Quale futuro?