Il suicidio di massa degli account facebook
L’incremento verticale dei suicidi delle identità virtuali hanno spinto il mondo della scienza ha porsi delle domande sul fenomeno.
I motivi principali che stanno spingendo un sempre maggiore numero di utenti a cancellare il proprio account Facebook, secondo una ricerca svolta dal dipartimento di psicologia dell’Università di Vienna, sembrano essere la paura di attacchi alla privacy, la paura della dipendenza da internet che il social network può sviluppare e la qualità delle conversazioni sempre più di basso livello. Eventi come WikiLeaks e le ammissioni di Snowden sul progetto Prism e truffe cibernetiche conosciute come cyber-crimes, hanno fatto si che le coscienze dei cittadini si allertassero per i pericoli che la sfera privata affronta ogni volta che ci si collega sul web. Lo studio austriaco svolto su più di 300 individui che hanno commesso ciò che viene definito come suicidio della propria identità virtuale, ci dice che la maggioranza statistica è maschile rispetto a quelli che invece continuano ad avere un account. Non solo maggiore consapevolezza dei cittadini maschili ma anche prese di posizioni di governi attenti a garantire la libertà personale della propria gente come quello Neozelandese che ha cominciato a monitorare gli sviluppi del social network più importante con particolare attenzione al controverso riconoscimento facciale che Facebook sta introducendo ad insaputa degli utenti. Nel 2011 infatti l’azienda di Zuckerberg ha depositato un brevetto che si chiama Automatic Photo Capture, che consente alle fotocamere degli smartphone di acquisire di continuo video e foto anche quando non sono in modalità video o fotografica, ciò permetterebbe a Facebook di taggare tutto e tutti in qualsiasi momento; il brevetto è in via di sperimentazione e rapido sviluppo e anche Google con l’applicazione Google Goggles sta cercando di utilizzare le videocamere dei cellulari. Ma che se ne fanno Facebook e Google di miliardi di foto, oltre che girarle ai vari Governi? Ovviamente cercano di trarne profitto detenendo giganteschi database-marketing associando utenti ad oggetti, associando vite private a beni di consumo. Quindi deve essere ormai chiaro a tutti che una volta che le foto vengono postate o taggate, la privacy cessa di essere tale e di questo bisogna che la società tutta ne sia consapevole senza cadere dalla nuvole cibernetiche. Fino a che punto allora la società può e vuole spingersi in nome del marketing e sacrificare il proprio libero arbitrio? La risposta a questa domanda può spingerci fino al suicidio, ma questo suicidio è solo virtuale?