Il caso Prato impone una riflessione di carattere generale
Il “Sole 24 Ore.it” titola, con un articolo di Silvia Pieraccini: “Prato, la strage annunciata del lavoro sommerso cinese: sette morti in un incendio in fabbrica”, che….
… racconta tutto sul tragico evento e ci informa che “l’inchiesta aperta dalla Procura di Prato dovrà accertare da dove queste fiamme sono partite, e se nell’azienda erano rispettate le condizioni di sicurezza.
Per Prato, è la prima grande tragedia del lavoro cinese, dopo le sanguinose faide tra bande rivali e i corpi di lavoratori orientali morti per cause naturali abbandonati sulle strade. Ma è anche una tragedia annunciata dalle difficoltà di contrasto alla più grande realtà di lavoro sommerso d’Europa, come l’ha definita il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi.
Il sindaco di Prato, Roberto Cenni, ha indetto il lutto cittadino rivendicando il merito di aver alzato il velo su questa vergogna radicata a Prato nel silenzio di troppi.
Anche il Prefetto ha ammesso che dobbiamo fare di più per estirpare l’illegalità, sottolineando però che i cinesi devono fare propria la cultura della sicurezza.
E un basta a situazioni di lavoro non degne dell’uomo e delle conquiste sociali degli ultimi decenni è arrivato anche dal Vescovo Franco Agostinelli…”.
Bene, per rispetto al suo alto magistero pastorale, si può accettare il pensiero del Vescovo, ma vanno respinte al mittente le dichiarazioni delle altre personalità, comprese quelle successive del Capo dello Stato, e questo perché siamo alle solite arringhe di facciata, quasi un rito, che si rinnova in circostanze tragiche sempre più frequenti per colpa della disattenzione delle cosiddette istituzioni.
Ma ora facciamo un passo indietro e rivisitiamo l’iter che portò Prato a divenire Provincia diciannove anni fa, con roboanti programmi annunciati dai politici dell’epoca, soprattutto sulle maggiori opportunità di lavoro e migliore sicurezza in tutti i settori delle nuove province. Eravamo nel 1992, nella prima Repubblica in miseranda agonia per tangentopoli, e nel varo di leggi utili e non di fine legislatura (con uno stanziamento di ben 4300 miliardi per la Sardegna, nonostante il “no” del Tesoro) si lanciarono i decreti che avrebbero ampliato l’ Italia delle province. In 24 ore, le Commissioni di Camera e Senato dettero il via libera per Lodi, Lecco, Biella, Crotone, Prato, Rimini, Verbano-Cusio-Ossola e Vibo Valentia. Quest’ ultima non doveva far parte della succosa attesa lista , ma a fine anno la Calabria riuscì a raddoppiare grazie all’intervento risolutore del Senatore Antonino Murmura, Sottosegretario all’ Interno, nativo di Vibo. Il Governo si affrettò comunque a rassicurare che in tempi brevi avrebbe valutato le candidature di altre quattro aspiranti: Avezzano, Sulmona, Foligno-Spoleto, Castrovillari. Le nuove, possiamo a ben ragione sostenerlo, inutili e costosissime Province, furono attivate nel 1995.
Bene, tornando al nostro tema, in quasi vent’anni, a Prato, è legittimo chiedersi, cosa è stato fatto? Sì, cosa ha fatto, in primis, la politica locale, regionale e nazionale?
Cosa hanno deciso i Prefetti con i loro Comitati Provinciali dell’Ordine e Sicurezza Pubblica, magari con l’estensione, come previsto dalla Legge, della presenza dei Sindaci e dei responsabili dell’Ispettorato Provinciale del Lavoro, come dell’INPS, dell’INAIL e delle ASL per impostare specifiche strategie di contrasto all’illegalità?
Del resto, il problema cinese a Prato è ben noto da lunghi anni ma, come sembra, sottovalutato anche a livello nazionale. Sappiamo, che la popolazione cinese regolarmente residente in Italia si conferma, anche quest’anno, la quarta più numerosa subito dopo quella rumena, albanese e marocchina. I cinesi sono presenti su larga parte del territorio nazionale, e dopo un primo periodo di stanziamento nel centro-nord, le comunità si sono sviluppate anche nelle Regioni meridionali del Paese e nelle isole, dove imperano le nostre mafie storiche. Emerge chiaramente un trend in crescita; si è passati dalle 170.265 presenze nel 2009 a oltre 230 mila, ma tale numero è destinato ad aumentare ulteriormente.
Peraltro, va ricordato che il dato non tiene conto dei cittadini originari di Hong Kong ma solo di quelli provenienti dalla Repubblica Popolare cinese. Le imprese cinesi sono così riuscite, anche grazie all’attività di compiacenti professionisti sia italiani che cinesi, a costituire, Prato in testa, veri e propri distretti produttivi in grado di influenzare la lecita concorrenza nel libero mercato. Il giro d’affari della cd. “industria del falso” è stimato fra il 2 ed il 7 % dell’intero commercio mondiale e, per quanto riguarda il nostro Paese, uno studio del CENSIS quantifica il peso della contraffazione, in termini di mancato gettito, in oltre 5 miliardi di euro, pari al 2,5% del totale delle entrate tributarie.
Concludendo, il caso Prato ci dà lo spunto per una riflessione sia sull’inutilità della insensata superfetazione di province, sia sul delicato aspetto che, probabilmente, la “tecnica”, cioè la pubblica amministrazione, è divenuta progressivamente, a livello generale, meno autonoma, attiva e incisiva nell’attuazione di strategie operative di competenza. E questo in quanto la tecnica si è probabilmente appiattita sulle linee della straripante politica parolaia e capziosa.
Perché, oggi, tutti si lamentano che in Italia non funziona la pubblica amministrazione con i suoi uffici centrali o distaccati; perchè la Giustizia è lenta mentre la sanità non va benissimo e la scuola e le Università sono carenti? Potremmo dire che da tempo la politica ha occupato tutti gli spazi e la tecnica fa poco o nulla d’iniziativa per migliorarsi, sempre in attesa dell’imput della politica sul da farsi, però nei termini indicati dalla politica stessa. Diciamo che questo è molto grave perché facendo così mettiamo a rischio la vita e la sicurezza dei cittadini. Si ripristino i vecchi criteri, soprattutto si dia spazio al merito, ormai col “piqquattrismo”degli ultimi venti anni diventato una Chimera, e si vedrà un sostanziale miglioramento del quadro generale.
Sia certamente la politica a dettare le linee strategiche, ma dovrà essere la tecnica ai vari livelli di responsabilità a fare ciò che le compete.
Come una volta, in modo autonomo, incisivo e determinante.
Si segnala che sull’argomento cinesi in Italia, il 17 Agosto 2013, su questa testata “ATTUALITA’.it”, abbiamo pubblicato altro articolo dal titolo: “La mafia cinese crea allarme da non sottovalutare”.