Roma, 6 dicembre 2018 – L’otto dicembre del 1978 esce negli Stati Uniti una pellicola destinata ad entrare nella storia della cinematografia, oltre che americana, mondiale: “Il Cacciatore”.
Seconda opera di Michael Cimino, cineasta di origine italiana, dopo il buon successo iniziale di “Una calibro 20 per lo specialista” del ’74 con Clint Eastwood e l’esordiente Jeff Bridges, che racconta la storia di un gruppo di amici, operai in un’acciaieria di una provincia americana col pallino della caccia al cervo, legata per tre di essi al dramma della guerra del Vietnam.
Oggi il film è da rivedere per apprezzarne lo spirito, la traccia, che il regista ha voluto dare non incentrandolo solo sulla tragedia del Vietnam, specialmente a pochi anni dal suo drammatico epilogo, argomento estremamente scivoloso.
Cimino compone il suo mosaico in più fasi: il matrimonio di uno dei partenti in guerra con la grande festa della comunità della provincia americana, la caccia al cervo, la prigionia in Vietnam, il drammatico duello alla roulette russa coi vietcong che scommettono con la vita umana.
Cimino lotta strenuamente contro i produttori che intendono sacrificare le scene più cruente del racconto sulla guerra in Vietnam, tagliando e rimontando, in una sorta di tela di Penelope, il prodotto e si impone anche con gli attori per girare alcune sequenze nel modo più veritiero e crudo possibile come il salto dall’elicottero in volo a circa 10 metri dal letto del fiume, che De Niro e Savage effettuarono una decina di volte, e gli schiaffi autentici dei vietcong allo stesso De Niro nei duelli alla roulette russa.
Il film, come detto, scivola dal contesto puramente bellico e rimane un affresco, un inno, al concetto di amicizia evidenziato nel finale dove nel commemorare Nick, rimasto a Saigon e diventato un professionista della roulette russa che muore in un tragico duello, intonano “God Bless America” in lacrime.
Cimino mette anche in risalto la difficoltà di reinserimento dei reduci nel contesto originario, in questo caso, di una piccola provincia americana dove chi è rimasto non sembra captare le angosce ed i tormenti di chi ha vissuto l’orrore della guerra; anche la battuta di caccia al cervo viene raccontata come concetto di lealtà sportiva di “un colpo solo”, quasi a voler dare un ulteriore possibilità di salvezza all’animale.
L’audacia di Cimino si è ben mescolata col talento dei suoi protagonisti come il premio Oscar al miglior attore non protagonista Christopher Walken, nella parte dell’etereo Nick, come Meryl Streep, nella parte di Linda, come John Cazale, co-protagonista nella saga de “Il Padrino” nel ruolo di Fredo, alla sua ultima apparizione, che muore di cancro ai polmoni prima dell’uscita del film, come il maniacale Robert De Niro, nella parte di Mike, che per immedesimarsi al meglio nel ruolo lavora per un periodo in un’acciaieria sotto falso nome.
Michael Cimino, scomparso nel 2016, ottiene uno strepitoso successo che non replica più nelle successive sei pellicole realizzate, tuttavia l’impronta lasciata con “Il Cacciatore” rimane una pietra miliare nel panorama cinematografico mondiale, ribadisco a maggior ragione oggi a quarant’anni di distanza col senso critico non inficiato dall’essere a ridosso dalla fine del conflitto nel sud-est asiatico.