Spettacolo

Caracalla – “Il Barbiere di Siviglia” diretto da Stefano Montanari con il duo registico Mariani /Cannito

Quando Figaro va a Hollywood

Roma, luglio 2014 – Pacioso e pieno di bonomia, com’era, Gioacchino Rossini si sarebbe fatto quattro risate a vedere come rinasce il suo Barbiere, quel Figaro saettante fra le pagine letterarie di Beaumarchais, le note napoletane di Paisiello,  quelle del geniaccio di Mozart che arriva a portarlo a nozze, gratificandolo di pagine immortali e il proprio.

Si sarebbe divertito a vederlo  giocar con  il contemporaneo, immergersi nelle atmosfere Old Hollywood in un clima  di festa sopra le righe, fra un turbinio di balli.

Perché ballano tutti a Caracalla, per l’occasione rivestita di luci folli che sono davvero la magia di questo spettacolo venuto a spezzare l’umor nero che tinteggia il Teatro dell’Opera con gli scioperi che hanno seviziato la Bohème di Puccini, rendendola al pubblico nelle esiguità di un accompagnamento solo piano che deturpa il capolavoro.

Con la paventata chiusura del Teatro che incombe come un macigno e toglie il sorriso a chi ama e rispetta il proprio posto di lavoro e sa che, in una così estrema eventualità, a causa di pochi facinorosi che per la crisi si sono viste ridotte alcune marginali attività che significavano entrate in più, rischia il proprio futuro professionale.

Eppure ballano tutti a Caracalla, ballano i ballerini, ballano i mimi, ballano i cantanti, ballano gli oggetti di scena affetti da un gigantismo che solo la volontà di estraniamento e di irrealtà spiegano compiutamente, ballano le poltrone da barbiere, balla il pennellone intriso di crema da barba, ballano le forbici gigantesche venute ad asportare qualche pelo fuggiasco dal fondo del naso, balla nell’aria la gabbietta da uccellino dove Rosina, divenuta una canarina, si dondola nel suo piumaggio tutto giallo, balla con i colpi di luce persino l’austerità delle colonne quando risuona il colpo di cannone, effetto deflagrante della calunnia  consigliata da don Basilio, il musicista morto di fame che dà lezioni a Rosina e consiglia il suo tutore don Bartolo sulle modalità di screditare Lindoro/Conte d’Almaviva, innamorato della ragazza, di cui lo stesso tutore  aspira a conquistar la mano per non dover rendere conto della ricche dote della fanciulla che ha amministrato.

Caracalla, dall’alto della sua vetustà, guarda e mira quando tutti si spogliano rimanendo in costume da bagno come vuole il genius loci che sa di essere stato Terme e non disdegna i costumi, i secchielli, le palette e i giochi da spiaggia.

Caracalla intenerita osserva Figaro, il buon artigiano del pelo, che è anche  cerusico con licenza di applicazione di mignatte per impoverire un sangue troppo ricco, e cavadenti (i migliori, senza anestesia, per decenni sono stati i barbieri), e poi sensale di matrimoni, ufficio stampa per propagandare ornamenti sulle fronti dei mariti, primo commentatore politico del paese e fornitore di maliziosi calendarietti di donnine burrose e seminude, e tanto ancora, sempre complice, sempre disponibile. Ah!, quel Figaro  che sa ordire complotti a fin di bene; cuore intenerito dall’amore e dalle borse piene di monete tintinnanti, che riesce a trovare tutte le chiavi per giungere al successo se con esso si declina anche il suo superiore interesse per l’oro.

“Barbiere di Siviglia o l’inutile precauzione”,  opera scritta da Rossini in appena quindici giorni nel febbraio del 1816 per il Carnevale di Roma, e messa in scena per la prima volta al Teatro Argentina. E da allora sulla breccia, disponibile ad ogni elaborazione purché iscritta nella grande matrice del far spettacolo divertente e coinvolgente. E qui lo spettacolo non manca: merito soprattutto di una regia che si distende sul capolavoro di Rossini, lo permea di sé e lo restituisce al pubblico che più rossiniano non si può.

Una regia egregia firmata da Lorenzo Mariani, innovativa e densa di colpi di scena, pur rispettando la specificità sia dell’opera che del luogo dove è proposta, pensata con uno stile visivo, brillante, superdinamico.

Una regia che si è avvalsa della collaborazione di un meraviglioso coreografo come Luciano Cannito che davvero ha messo la danza al piede di tutti, per uno spettacolo smagliante, dove i singoli elementi che lo distinguono diventano un amalgama inestricabile e di vertiginosa qualità. Così le scene di William Orlandi piene di trovate, come quel delizioso finale dove una torta gigante si snoda dai propri strati e si decora in cima con Almaviva e Rosina  sposini, trovata perfettamente  in linea con l’intenzione del regista, ispirato dalla Hollywood anni ’20, ’30 e ’40, dal cinema muto fino ai grandi musical in technicolor che più che mai tracciano la linea storico/evolutiva della capitale della celluloide americana.

Così i fantasiosi costumi di Silvia Aymonino che mescola eleganti frac e cappelli a cilindro con i gialli violenti della canarina Rosina costretta come in gabbia dal tutore troppo severo, con le divise delle guardie.

Così le luci/personaggio di Linus Fellbom che merita un applauso a parte. Quante lussureggianti tavolozze per illuminare tutto, per rendere visivamente ineccepibile la “location” di questo Barbiere e quella scritta Hollywood che si è formata sotto gli occhi del pubblico che con il vertiginoso cambio di colori luminosi sembra voler partecipare dell’azione.

Ma certamente l’opera vive anche e soprattutto di musica.

Iniziamo con il dire che il cast delle voci è di prim’ordine, qualità superiore nel puntualissimo  Figaro di Vito Priante, giovane baritono (nato a Napoli nel 1979) con già una carriera importante a livello internazionale, apprezzato fra gli altri da direttori come Riccardo Muti, Daniel Barenboim, Daniel Harding. Travolgente nei velocissimi concertati e subito in ruolo fin dal suo apparire nel “Factotum della città”.

René Barbera è il Conte di Almaviva/Lindoro, da poco inserito nello star system e già con posto di primazia.

Voce sognante, barocca e romantica quanto occorre, che si riempie di miele nella serenata con la quale si presenta a Rosina: “Se il mio nome d’udir voi bramate”, lindore e pulizia nelle note acute, perfettamente poggiate sul diaframma,   divertente e caricaturale quando si traveste da soldato e inscena la sua ubriacatura.  Rosina è la deliziosa Annalisa Stroppa, mezzo soprano dalle notevoli agilità, ottima attrice  e brava ballerina, lei sa cantare con grande stile e precisione.

Omar Montanari, un perfetto Don Bartolo, mentre don Basilio ha l’allure allampanato di Mikhail Korobeinikov e la sua malinconia che si converte in divertimento.

In questo allestimento che certamente rimarrà nella memoria, un ruolo più incidente è lasciato a Berta, la governante di casa Don Bartolo, interpretata da Eleonora de la Peña, indomita zitella disposta ad esporre in pieno le proprie grazie in uno streep che richiama comicamente “9 settimane e 1/2 ” .

Ottimo il raccordo orchestra palcoscenico del direttore Stefano Montanari.

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