Tematiche etico-sociali

La strage di Carabinieri a Peteano del 31 maggio 1972… Oggi ancora affermiamo: lo Stato ha due facce, quella buona e quella cattiva…

Roma, 17 dicembre 2019 – ”L’Italia della stragi, le trame eversive nella ricostruzione dei magistrati. I protagonisti delle inchieste (1969-1980)”. Un interessante libro pubblicato a settembre 2019, a cura di Angelo Ventrone (Donzelli editore). I Magistrati che trattano le varie perigliose vicende italiche, sono i protagonisti delle inchieste: Pietro Calogero, Leonardo Grassi, Claudio Nunziata, Giovanni Tamburino, Giuliano Turone, Vito Zincani, Giampaolo Zorzi.

Esaminiamo  La STRAGE DI PETEANO (31 maggio 1972) di Pietro Calogero.

Il grande Magistrato Pietro Calogero, Magistrato integerrimo, super partes (che ho avuto il piacere di conoscere quale Procuratore Capo di Padova e poi Procuratore Generale presso la Corte d Appello di Venezia durante il mio triennio di Comando della Regione CC Veneto, in Padova (2006/09)…con interessanti conversazioni..).

(da pag.61 ) “” Il 31 maggio 1972, a Peteano, in provincia di Gorizia, tre appartenenti all’Arma furono uccisi  (il Brigadiere Antonio Ferraro e i  Carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni), mentre restarono  feriti il Tenente Angelo Tagliari e il Brigadiere Giuseppe Zazzaro, per l’esplosione di un ordigno collocato nel vano della ruota di scorta di una Fiat 500, dopo essere stati tratti in inganno da una telefonata anonima che aveva avvertito la presenza di un’auto con fori di proiettili sul parabrezza e sui finestrini.Di questo grave attentato si dichiara responsabile, 12 anni dopo, precisamente il 28 giugno 1984, il neofascista friulano Vincenzo Vinciguerra, all’epoca militante in Ordine Nuovo, il quale ammise di averlo eseguito con altri due, che non volle nominare ma che furono poi identificati come appartenenti allo stesso gruppo ordinovista di Udine: Carlo Cicuttini, autore della telefonata anonima, e Ivano Boccaccio, nel frattempo deceduto. Spiegò di aver agito “in una logica di rottura con la strategia che veniva allora seguita da forze cosiddette di destra“, le quali non erano, come egli pensava, “rivoluzionarie“ ma “seguivano una strategia dettata da centri di potere nazionali e internazionali collocati ai vertici dello Stato“. Un attentato mirato proprio contro i Carabinieri in quanto “forza posta a difesa del regime democratico“-che andava invece combattuto-e programmato autonomamente, senza intese preventive con poteri occulti.

Esisteva da tempo, secondo Vinciguerra, una “struttura occulta“ e “parallela ai Servizi segreti che dipendeva dall’Alleanza atlantica“, comprendente “elementi del Ministero dell’Interno e Carabinieri“ e “utilizzato in funzione antisovietica“.

Per questa ragione, “il personale veniva selezionato e reclutato negli ambienti ove l’anticomunismo era più viscerale e cioè negli ambienti dell’estrema destra“. Personaggi come Maggi, Zorzi, Digilio, Signorelli e, in posizione di vertice, lo stesso Rauti, pur operando sotto la facciata di Ordine Nuovo, erano in realtà inseriti nella struttura occulta, composta di militari e civili, innanzi indicata. Da tale struttura, interna alle istituzioni e “capace di porsi come direzione strategica degli attentati“, partivano le “direttive”. Ciò spiega perché, sostiene Vinciguerra, “tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia a partire dal 1969 appartengono a un’unica matrice organizzativa“.

Quanto al fine degli attentati, Vinciguerra non esita a identificarlo con il “fine di destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare il potere politico“. Si è trattato dunque, a suo giudizio, di un “fine politico che attraverso le stragi si è tentato di raggiungere“: cioè, “innescare una risposta popolare di rabbia da utilizzare poi per una successiva repressione“.

Quando nella seconda metà del 1990 venne alla luce l’esistenza di una struttura segreta della Nato, denominata Gladio (con dichiarazione formale di Giulio Andreotti ), il Giudice Istruttore di Venezia, Felice Casson, non ebbe dubbi nel riconoscerne l’identità con la struttura occulta di cui Vinciguerra aveva parlato in decine di interrogatori e incolpò lo stesso di aver utilizzato per l’attentato di Peteano un esplosivo sottratto dal Nasco (deposito) di Gladio, interrato ad Aurisina (Trieste), contribuendo deliberatamente all’occultamento dei fini stragisti di quest’ultima organizzazione, assieme ai Carabinieri autori dei depistaggi di cui diremo fra breve. Vinciguerra negò peraltro la fondatezza di questa accusa e rivelò che per l’attentato aveva fatto uso di un comune esplosivo da cava rubato in un cantiere nei pressi di Pordenone, come effettivamente ho riscontrato da una puntuale verifica di polizia giudiziaria; egli inoltre criticò aspramente l’impostazione del Magistrato prendendo le distanze da Gladio e contestando l’esattezza della sua identificazione con la struttura occulta da lui in precedenza descritta. Pur se la strage fu-come confermato da Vinciguerra-commessa dalla cellula ordinovista di Udine con determinazione autonoma, essa deve essere comunque collocata nel quadro della strategia della tensione, che nel caso specifico perseguì l’obiettivo della destabilizzazione del sistema non con l’azione diretta ma con la copertura post delictum degli autori in considerazione del loro status di militanti neofascisti. Di questa copertura si resero responsabili i Militari dell’Arma di Milano e di Udine che, intervenendo nel luogo dell’eccidio, pur essendo territorialmente incompetenti e intuendo subito la militanza neofascista degli attentatori, manipolarono le indagini in modo da sottrarli al carcere a vita  e da preservare la loro capacità di lotta contro il pericolo comunista. In quest’ottica si spiega il tentativo del Generale Giovanbattista Palumbo di inserire nello schema iniziale delle indagini le tracce di una cosiddetta “pista rossa“, che avrebbe certamente potenziato la carica eversiva dell’attentato ma che fu ben presto abbandonata perché basata su dichiarazioni attribuire al collaboratore Marco Pisetta circa la responsabilità di estremisti di sinistra, in realtà del tutto inventate. È sintomatico che fin dal giorno successivo alla strage il Generale Palumbo, Comandante della Divisione Carabinieri “Pastrengo” di Milano, si precipitò a Gorizia ordinando che a dirigere le indagini fosse non il Comandante del Gruppo di Gorizia, ma il Colonnello Dino Mingarelli, Comandante della Legione di Udine, che affiancasse il Capitano Antonino Chirico, Comandante del Reparto Operativo della stessa città. Oltre a queste anomalie riguardanti l’incompetenza territoriale degli Ufficiali scelti da Palumbo e l’assoluta singolarità del compito affidato a un Comandante di Legione come Mingarelli di effettuare atti di polizia giudiziaria, se ne verificò un’altra allorché, dando inizio al lavoro investigativo, Mingarelli impedì, per disposizione di Palumbo, qualunque forma di intervento di collaborazione sia della Polizia sia di altri reparti di Carabinieri. Monopolizzate e pilotate verso false piste come quella della delinquenza comune (cosiddetta “pista gialla“), che fu imboccata dopo l’abbandono della pista rossa,che portò in carcere, e vi fece rimanere per anni, sei goriziani con piccoli precedenti penali, che furono alla fine del tutto scagionati, le indagini “coprirono“ i veri responsabili fino a quando il giudice Casson, con un intelligente e tenace lavoro di ricerca, accertò che Mingarelli e Chirico avevano commesso gravi illegalità. In particolare, avevano distrutto, con il consenso del Procuratore della Repubblica di Gorizia, Bruno Pascoli, l’originale verbale di sopralluogo destinato a documentare le tracce dell’attentato e lo avevano sostituito con un altro completamente falso allo scopo di non fare scoprire il calibro dei proiettili e l’identità dell’arma che era stata usata per forare i vetri della Fiat 500. Grazie alle prove acquisite, Vinciguerra e Cicuttini furono riconosciuti colpevoli di strage e condannati all’ergastolo.  Con la stessa sentenza della Corte d’Assise veneziana, Mingarelli, Chirico e il Maresciallo Napoli furono condannati ad una pena superiore a tre anni per avere depistato e inquinato le indagini, compiuto una serie di falsità in atti pubblici finalizzate al favoreggiamento personale del gruppo ordinovista responsabile della strage e ad assicurarne l’impunità. Il Generale Palumbo e il Procuratore Pascoli sfuggirono alla condanna per la morte sopravvenuta prima della fine del giudizio; ma del primo, la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Venezia del 6 maggio 1991, non mancò di sottolineare il ruolo di “vero artefice e subdolo determinatore e istigatore delle condotte criminose”, funzionali ad un “disegno politico” individuale nella storia personale dello stesso Palumbo, “iscritto alla Loggia P2 di Licio Gelli” e “presente, ad Arezzo, nella riunione del 1973, ( cosiddetta “ Riunione dei Generali”) in cui Gelli prospettò l’avvento di una nuova Repubblica…

Comunque, è esemplare la tenacia il coraggio e la passione civile che ha animato per molti anni l’impegno di Magistrati e Servitori fedeli della Repubblica e tenuto in vita la speranza di Giustizia che è il fine ultimo della Democrazia…””Così si conclude il capitolo.

Ora alcune valutazioni, come doveroso, per i miei 25 lettori…In primis,il tema ora trattato getta purtroppo una luce obliqua sull’Arma sempre Fedele, avendo visto vertici di alto livello inquinare indagini sulla tragica fine di Carabinieri travolti in agguato terroristico, depistando per ordini massonici le cui finalità sono state descritte dall’AG con sentenza….A questo punto si deve, con il coraggio di  Camerati Veterani già Combattenti (veri) della Legalità,  asserire che Chi giura Fedeltà alla Repubblica davanti alla Bandiera , non può nè deve entrare in circuiti massonici con ulteriore giuramento segreto che può confliggere con il primo…certamente ritenendo che il “grembiule ed il compasso”possano agevolano le carriere…tanto…. Affermando ciò, tengo a precisare che personalmente  rispettosia la Massoneria storica dei grandi ideali, per i meriti acquisiti nel Risorgimento ed anche dopo, sia quella attuale, con presenza di liberi Cittadini, liberi Pensatori, giammai di rappresentanti dello Stato! Negli articoli recenti sulla“‘NDRANGHETA STRAGISTA”(libro “GOTHA – Il legame indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi deviati”, di Claudio Cordova) abbiamo anche visto l’esistenza di un progetto eversivo nazionale di Cosa nostra e ‘Ndrangheta, negli anni ’90,con gli attacchi proprio contro i Carabinieri in Calabria… Il primo quinquennio degli anni 90, infatti, è un periodo chiave per la storia d’Italia. Un periodo di grandi cambiamenti a livello nazionale (ma anche internazionale) di natura storica e politica, in cui tutte le organizzazioni criminali, dopo il tramonto della cosiddetta Prima Repubblica, intendevano continuare a mantenere l’influenza sulla classe politica proiettandosi su quella emergente nella nuova fase storica che si stava delineando.

La massoneria è il collante della rete relazionale di cui godono i poteri forti e il grado di infiltrazione nella vita politica, economica e sociale è elevatissimo...Le interessanti tesi sono anche sostenute su due  saggi, il “Doppio Livello”, di Stefania Limiti, e “Il Gioco Grande del Potere”, di Sandra Bonsanti, entrambi editi da “Chiarelettere”.

“Il Gioco Grande del Potere…”, per dirla con le stesse parole di Giovanni Falcone; “Lo Stato invisibile…” ovvero il “Doppio Livello…”, teorizzato dal filosofo Norberto Bobbio, sui misteri e l’oscurità della politica italiana.

Nel libro di Stefania Limiti si afferma che quando si decide di fare un’azione terroristica, c’è chi provvede ad amplificarne gli effetti; quindi, un atto dimostrativo può diventare una strage per l’intervento di chi persegue effetti maggiormente eclatanti e destabilizzanti.

“”L’esistenza di sovrastrutture preposte all’organizzazione della destabilizzazione””, scrive la Limiti, “”è stata spesso evocata da personaggi dello Stato molto autorevoli. Tra le riflessioni più significative quelle di Vincenzo Parisi (grande Capo della Polizia, da me ben conosciuto quando operai all’Antiterrorismo del Ministero dell’Interno per un quadriennio, negli anni di piombo…), un Uomo abituato a misurare bene le parole, e che pure parlò di “guerra surrogata”.Nel 1988 si trovò a tracciare un bilancio delle stragi dal 1969 al 1984 (da Piazza Fontana, passando per Piazza della Loggia e treno “Italicus” nel 1974, per finire alla strage di natale 1984, con l’attentato al Rapido 904) che “possono ritenersi elementi portanti di una pianificazione..Infatti, la strage, strumento ritenuto tra i più efficaci per destabilizzare la vita politica e sociale italiana, può essere utilizzata da talune centrali occulte, ove si consideri la posizione strategica e lo spessore politico del nostro Paese”.

Nel febbraio dell’anno successivo, l’Alto Commissario per la  Lotta alla Mafia, Domenico Sica, già Magistrato, tra i più esperti nel settore del terrorismo, tornò sul tema, facendo riferimento al decennio degli anni ’80, alludendo alla cosiddetta “Agenzia del Crimine”, una struttura composta “da un numero limitato di persone sostanzialmente in grado di gestire le manifestazioni del terrorismo di destra e di sinistra””. Fin qui il libro di Stefania Limiti.

Tornando all’altro volume,”Il gioco grande del potere”, la Bonsanti ricorda, in particolare, nel capitolo “Stato e Antistato”, una sua intervista a Giovanni i Falcone nel maggio 1992 a Roma, nella quale il Magistrato “”insisteva sul fatto che l’esplosivo usato dai depistatori dell’inchiesta sulla strage di Bologna del 1980, tutti legati alla P2, era uguale a quello usato proprio per l’attentato (all’ Addaura…)

Oppure, ricordava la coincidenza della pistola con cui il 6 gennaio 1980 era stato ucciso il Presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, che poteva essere la stessa usata per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, il 20 marzo 1979, a Roma.

Falcone si domandava cosa ci fosse dietro agli intrecci fra mafiosi e destra eversiva che continuava a ricevere protezioni da strutture dello Stato; poi, perché Gelli conosceva tanti retroscena del sequestro Moro e perché sosteneva che le lettere e memoriale dello Statista erano stati consegnati da Dalla Chiesa ad Andreotti?Ancora, chi aveva vuotato la cassaforte dell’appartamento del Prefetto Dalla Chiesa la notte dopo la sua morte?

E dopo il fallito attentato all’Addaura, del giugno del 1989, quando solo un miracolo salvò la vita di Falcone e dei Magistrati svizzeri Dal Ponte e Lehman, i sospetti si fecero certezza. C’era uno Stato infedele e sommerso, che da anni, da molti anni, era agli ordini di altre entità nemiche della democrazia. Infatti, Falcone parlò di “….menti raffinatissime….””!!

Concludendo, diciamo che siamo rammaricati e delusi, certamente sì, come preoccupati, soprattutto per figli e nipoti; meravigliati forse un po’ meno, in quanto ben conosciamo i limiti di una politica corrotta e corruttibile che nulla ha fatto per i cittadini da alcuni decenni. Però, vinti e sconfitti, giammai, perché pronti a contribuire, con la forza delle idee e gli ideali di Libertà, Democrazia e Giustizia che ispirarono il magistero del grande pensatore Gaetano Salvemini, alla costruzione di uno Stato etico in un’Italia migliore!

Ma, lo sappiamo, lo Stato ha due facce: quella buona e quella cattiva…Ho finito.

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