Roma, 5 febbraio 2020. L’enciclopedia Treccani così riporta l’aggettivo felliniano: <<relativo al regista Federico Fellini e alla sua opera, soprattutto con riferimento alle particolari atmosfere, situazioni, personaggi dei suoi film, caratterizzati da un forte autobiografismo, dalla rievocazione della vita di provincia con toni grotteschi e caricaturali, da visioni oniriche di grande suggestione>>. Nell’anno del centenario della nascita del regista riminese ricordiamo l’uscita, sessant’anni fa, del suo film più celebre, considerato uno dei suoi capolavori: La dolce vita.
Vincitore della Palma d’oro al 13° Festival di Cannes e dell’Oscar per i costumi, la pellicola ebbe un esordio controverso al cinema Capitol a Milano con violente contestazioni, fischi, addirittura tentativi di aggressione verso Fellini e Mastroianni colpevoli evidentemente di aver rappresentato la mondanità decadente romana, la civiltà corrotta, quella dei falsi miti. La cultura industriale milanese insieme ad esponenti del mondo cattolico, sostenuti dall’Osservatore romano, non apprezzarono l’opera che forse proprio per il clima pesante che si era creato destò interesse nell’opinione pubblica con più di 2 miliardi di lire d’incasso alla fine della stagione 1960.
Il film in tutti questi anni ha influenzato culturalmente tutto il mondo cinematografico e non solo, da Woody Allen, a Tarantino, a Ken Russell; il gesuita Angelo Arpa, all’epoca, difese l’opera affermando come la dolce vita fosse <<la più bella predica mai ascoltata>>.
La scena cult della fontana di Trevi, tra il disincantato giornalista interpretato da Marcello Mastroianni e la giunonica Anita Ekberg, è forse una delle scene simbolo della cinematografia mondiale. Nel corso del film Mastroianni indossava un capo d’abbigliamento a collo alto a cui fu dato il nome di maglione alla dolce vita. Totò e Peppino de Filippo realizzarono una gustosa parodia dal titolo Totò, Peppino e la dolce vita. Il premio Oscar Sorrentino con La grande bellezza nel 2013 ha ripreso molti temi del prodotto felliniano e poi l’ispirazione, lo spunto, più significativo con l’invenzione del neologismo paparazzo nato dal lavoro del reporter romano Tazio Secchiaroli che diventò nel tempo fotografo di scena e personale di Fellini e della stella Sophia Loren.
Sessant’anni fa la proiezione fu inibita ai minori di sedici anni e addirittura nella Spagna franchista lo videro dopo la morte di Francisco Franco, avvenuta nel 1975, solo nel 1981.
Altri tempi, altra vita.