L’Arma dei Carabinieri Reali nella Resistenza…Dal 1814, Carabinieri, Eroi della Patria…
Roma, 09 marzo 2020 – A Graffignano (Viterbo) è stato presentato presso il Castello Baglioni, il bel libro di Maurizio Piccirilli, “Carabinieri Kaputt!” (All Around editore).
Presenti, oltre all’autore, il Generale Tullio Del Sette, già Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, il Sindaco Piero Rossi e numerose personalità civili e militari…
Il libro racconta, attraverso le testimonianze di alcuni sopravvissuti e di documenti inediti, la deportazione di oltre 2.000 Carabinieri avvenuta il 7 ottobre 1943, nove giorni prima del rastrellamento degli ebrei romani. Seicento di loro moriranno di stenti, per malattia, con iniezioni letali o fucilati.
Non è un caso che il libro sia stato presentato a Graffignano: due dei Carabinieri deportati quel terribile giorno erano nativi proprio di questo paese della Tuscia. Di uno di loro, Augustale Del Sette, Padre del Generale Tullio, sono pubblicate alcune delle lettere scritte dal lager. Altri deportati, i cui nomi sono presenti nel libro, erano originari di altri paesi del viterbese: Ronciglione, Fabbrica, Tuscania, Soriano nel Cimino, Vetralla. L’autore ha spiegato che con un lavoro di ricerca è riuscito a trovare tre testimoni che avevano vissuto quella deportazione. Parliamo di giovani di 18-19 anni che si sono ritrovati in un lager. “L’incontro con queste persone ormai anziane è stato emozionante e mi ha permesso di toccare con mano quei giorni…”
Il libro racconta come nasce questa deportazione, per un ordine del regime fascista…
Una netta dimostrazione che ci fu una scelta definita di eliminare gli oppositori in maniera totale. I nostri prigionieri militari, per un accordo tra Mussolini e Hitler, non hanno una serie di garanzie e vengono trasformati in schiavi che devono lavorare. Questi militari che avevano indossato la divisa si trovano ad essere considerati praticamente nulla. Un altro dato che l’autore ha scoperto, è che molti di loro, sopravvissuti alla prigionia, non sono tornati in Italia perché hanno avuto la disgrazia di incrociare le milizie del Maresciallo Tito che considerava tutti gli italiani fascisti e da eliminare e molti Carabinieri sono stati fucilati mentre cercavano di tornare in Italia passando per l’Austria.
Il Generale Del Sette, poi, ha fatto una ricostruzione accurata della situazione militare e storica dell’Italia del ’43 ricollegandosi anche alle pulizie etniche che sono avvenute, al dramma delle Foibe e il motivo per cui questi Carabinieri furono deportati, in quanto visti come una minaccia per le successive deportazioni degli ebrei romani. Un capitolo a parte è stato dedicato da Piccirilli alle mogli dei Carabinieri. I nazisti non risparmiarono loro arresti, vessazioni e torture. Madri e mogli che hanno svolto anche ruoli chiave nella resistenza tanto da ricevere riconoscimenti al Valor Militare.
Iniziamo, quindi, la lettura di parti del libro
– (da pag. 5) “”Un mattino di ottobre… Un mattino di ottobre del 1943. Grigio e piovoso ma al tempo stesso mite come sa essere il clima in quel periodo a Roma. A luglio, prima, il bombardamento del quartiere San Lorenzo da parte degli anglo americani che ha seminato morte e distruzione. Pochi giorni dopo, il voto del Gran Consiglio che ha decretato la caduta di Mussolini e quindi il suo arresto. Avvenimenti che spianano la strada all’armistizio, l’8 settembre successivo. La fuga del Re e la battaglia di Roma. Violenti combattimenti a Porta San Paolo, alla Magliana, sulla Laurentina. In prima fila, l’Esercito italiano e i Carabinieri. L’ottobre del 1943 sarà il mese dell’infamia e della tragedia. Il mese delle deportazioni da parte dei tedeschi di cittadini italiani...
– (da pag.18) Il Diario… Il maresciallo Sabatini è cronista di quei drammatici eventi con maniacale precisione. A lui si deve un resoconto ricco di particolari degli eventi che copre il periodo dal 7 ottobre 1943 fino al ritorno a casa nel giugno 1945, senza tralasciare nomi e vicende di altri commilitoni che hanno diviso la drammatica vicenda della cattura, l’internamento, in alcuni casi la morte, e infine la liberazione. Ecco alcuni stralci del suo diario.
“7 ottobre 1943… Alle ore 8 i Comandanti delle varie caserme presentatisi alla truppa riunita ordinano che siano deposte le armi avvertendo che ogni indugio, ogni tentativo di resistenza e di evasione sarebbe stato represso col sangue dei militari e con rappresaglie contro le famiglie. Nel frattempo, gruppi di paracadutisti tedeschi circondano e invadono tutte le Caserme della Capitale, dai Comandi di Legione a quelli di Stazione. Gli invasori fanno irruzione in pieno assetto di guerra. Soltanto pochi, più fortunati, riescono a prendere il largo… L’autocarro sul quale siamo caricati fa parte della colonna che si dirige verso la stazione ferroviaria di Roma Ostiense, passando in pieno coprifuoco per piazza del Popolo, corso Umberto, via dell’Impero, via dei Trionfi e viale Africa e si giunge alla stazione alle ore 23,30. Subito dopo un primo convoglio carico di militari parte per destinazione a noi ignota…
9 ottobre 1943… Alle ore 4,35 siamo a Bologna. Alle ore 6,35 a Modena. Da questo itinerario ci accorgiamo che non siamo diretti al Brennero e ricomincia la lista delle supposizioni e in tutti alberga la speranza che ci lascino in Italia. Alle 9,00 distribuzione del solito pasto. Alle 11,30 a Voghera.
10 ottobre 1943… L’alba di oggi ci trova sempre fermi a Diano Marina… Alle ore 21 arrivo a Ventimiglia dove sostiamo un poco prima della Stazione in una profonda incassatura rocciosa e priva di ventilazione, soffocante. Nell’interno dei vagoni soffriamo pene infernali…
12 ottobre 1943… Partenza da Ventimiglia alle ore 0,15. Alle ore 7 stiamo a Thèoule sul suolo francese…
13 ottobre 1943… Risaliamo il Rodano. Di valle in valle alle ore 13 si giunge a Lione… Dopo ancora due giorni di viaggio sui carri piombati, i Carabinieri arrivano alla loro destinazione. Un campo di concentramento nella bassa Baviera al confine con l’Austria…
16 ottobre 1943… Apprendiamo di essere complessivamente 944… Il campo di concentramento è Moosburg, diviso in due reparti, il primo dove ci troviamo e quello di smistamento, il secondo adiacente al nostro è quello dove sono detenuti prigionieri in linea definitiva…
17 ottobre 1943… Moosburg dove sorge il campo è situato in una zona della bassa Baviera, umidissima e fredda…
23 novembre 1943… Durante la notte evadono ì Brigadieri Caddeo, Madeddu e Palombi. Da oggi siamo sottoposti a nuove e più umilianti restrizioni. Ci viene rimpicciolito il recinto, gli ammalati sono chiusi a chiave in camerata e il cancello del recinto è permanentemente chiuso a catenaccio e la sera, oltre ai pantaloni e alla giacca, il feroce sergente vorrebbe lasciassimo scarpe e cappotto…
24 novembre 1943… Nel tardo pomeriggio, con nostra sorpresa, rivediamo i tre fuggiaschi che sono stati catturati dai borghesi a 20 km da qui. Appena giunti vengono fatti spogliare nudi all’aperto e in versione adamitica attendono, ballando dal freddo, che i loro indumenti e il loro bagaglio siano perquisiti in ogni minimo particolare.
5 giugno 1944… Sole. È la festa dell’Arma: quale diversità degli anni passati quando in tutte le caserme veniva commemorata tale ricorrenza! Dopo il lavoro ci riuniamo e ascoltiamo la parola semplice di alcuni compagni di prigionia che rievocano la data. Successivamente, fuori dalla baracca, ma sempre dentro reticolati, formiamo una specie di corteo cui tutti prendiamo parte, cantando inni patriottici e militari e facendo rumore (a mò di musica) con latte, gavette, barattoli e altro… Lunghi mesi trascorsi in una routine devastante fatta di privazioni, vessazioni e tanta nostalgia. Trasferiti in diversi campi di concentramento alla fine il Maresciallo Sabatini e molti suoi commilitoni vengono destinati al campo di concentramento di Rosenheim, al confine con l’Austria. Fino al maggio del 1945 all’arrivo delle truppe americane…”.
– (da pag.39)… L’evasione… Ai primi di novembre del 1944 sono 13 mesi che i Carabinieri sono prigionieri nei lager nazisti. Nel campo di Rosenheim i militari italiani, ormai ridotti allo stato civile trattati da schiavi, scaricano e caricano vagoni di materiali diretti alle fabbriche belliche. In questo clima, alcuni Carabinieri decidono di studiare un piano per fuggire. Si fa promotore dell’iniziativa il Maresciallo Perno che confida al suo collega Sabatini (il Maresciallo del Diario) il proposito di evadere durante la notte, nascondendosi in uno di quei vagoni… Alle nove di quella sera scatta l’evasione… I fuggitivi scavalcano il davanzale e, strisciando intorno alla baracca, si dirigono verso il filo spinato che in precedenza qualcuno aveva provveduto a tagliare. Il gruppetto, composto dai Marescialli Perno, Rotili, Sessa e Briguglio, dai Vicebrigadieri Pededda, Di Marzio e Triberio, cerca di raggiungere i binari… Durante un controllo i tedeschi trovano accanto ai binari una borsa con pane e biancheria e ritengono che appartengano agli evasi che l’hanno persa nella fuga. Ma i Carabinieri sono nascosti nei vagoni… La fuga dei Marescialli Rotili e Sessa dura poco, perché prima delle due del pomeriggio fanno ritorno al campo sotto scorta… Gli altri quattro sono riusciti a far perdere le tracce, riguadagnando così la libertà.
– (da pag.42)… Tornando a casa con le stampelle… La memoria viva di quei giorni lontani Abramo Rossi la coltiva continuando a portare la sua testimonianza nelle scuole, nei convegni e ovunque gli venga richiesto. L’incontro avviene nella sua casa di Pescara, vicino allo stadio, in un mattino d’inizio inverno del 2015, con la neve sui monti e il mare che ruggisce. Si mostra entusiasta di poter raccontare gli eventi del 1943, la deportazione, la sopravvivenza nei lager e il ritorno a casa nel paesino d’Abruzzo alle pendici del Gran Sasso sul versante teramano…
– (da pag.52)… Ridotto pelle ossa… Vincenzo Rossi, invece, è un romano verace. Lo incontro nella sua casa al Tuscolano in un pomeriggio estivo del 2013. Oggi le gambe lo hanno tradito ma la memoria resta salda. Si rammarica di non aver più documenti di quel periodo… Ciò nonostante, quando il racconto ripercorre i momenti più duri, la voce si fa tremula e gli occhi si arrossano. Ma è un attimo, lo spirito del Carabiniere che è sopravvissuto ai lager nazisti riemerge con la forza del racconto. Classe 1924, Carabiniere semplice arruolato il 17 marzo 1943…
– da pag.64…”Carissimi genitori, la salute mia è sempre in ottimo stato, mi auguro anche per voi…” Parole vergate a matita su fogli prestampati della Kriegsgefangenpost, la corrispondenza dei prigionieri di guerra. Inviava notizie a casa in quel di Graffignano, piccolo paese della Tuscia viterbese, il Carabiniere Augustale Del Sette, prigioniero in Austria nel lager GrossVeitsch, presso Mitterdorf, con il numero di matricola 34747. Il figlio Tullio, divenuto anche lui Carabiniere ed entrato nell’Accademia di Modena, è stato Comandante Generale dell’Arma. Augustale Del Sette fu così “schiavo di Hitler” e costretto a spaccare pietre nella miniera dove si estraeva magnesite. Augustale era stato catturato il 7 ottobre 1943 nel rastrellamento nazista mentre si trovava nella caserma Ferdinando di Savoia a Piazza del Popolo. Il giovane Carabiniere era tornato in Italia dopo aver partecipato alla campagna d’Africa in servizio presso la 608° Sezione CC.RR. mobilitata presso la Quinta Regione Aerea dislocata in Africa settentrionale dall’agosto 1940 fino ai primi mesi del 1943. In quel periodo il suo destino incrociò, all’aeroporto di Bengasi, quello del Carabiniere Salvo D’Acquisto, da lì a pochi mesi trucidato dai nazisti a Palidoro. Per Augustale il fato aveva stabilito un altro percorso. Sopravvissuto anche a una attacco aereo britannico durante la ritirata del deserto, nei pressi di Agedabia un caccia inglese spara sulla colonna militare e nel mitragliamento rimane ucciso il commilitone che sedeva al suo fianco, Abele Laurenti, anche lui di Graffignano. Tornato a Roma a disposizione della Legione Lazio, finì tra i 2000 Carabinieri deportati dai tedeschi il 7 ottobre 1943. In seguito alla resa dei tedeschi e alla fine della guerra lasciò il lager solo il 28 giugno 1945 facendo così rientro in patria. Presentatosi al centro di raccolta di Roma riprese servizio presso la Stazione Carabinieri di Lariano, in provincia di Roma, alle dipendenze della Legione Lazio. Nelle sue lettere, fogli sgualciti e fragili sopravvissuti al tempo che i figli conservano con sacro rispetto, il racconto di una vita di stenti in attesa di notizie da casa. Parole rispettose verso i familiari, sentimenti di affetto verso i congiunti e verso la sua fidanzata Luisa, che diventerà poi sua moglie, alla quale dedicava sempre un pensiero e un saluto. Nessuna frase che potesse ingenerare apprensione ma pensieri semplici e rassicuranti da cui però traspare la tristezza e il dolore della condizione in cui si trovava.
– (da pag. 68) Matricola 34752…”Ho passato momenti terribili. Avevo solo 19 anni. Mi deportarono in Austria, al campo 18º a Wolfsberg e passai la prima notte all’adiaccio a morire di freddo”. Quel gelo ha fatto parte di tutta la vita di Pasquale Baldi, classe 1924. Sposato, viveva a Bari, i ricordi di quei lunghi mesi li aveva ancora nitidi nella mente prima che la morte lo cogliesse. Ma per evitare che con il tempo i ricordi andassero perduti, li ha fissati sulla carta. Un lungo diario di quei giorni, scritto a mano con grafia tonda e leggibile, in uno stile semplice quanto efficace che ha voluto io utilizzassi per dare voce e memoria a quanti hanno sofferto quegli avvenimenti. Orgoglioso del suo lavoro di ricostruzione, di quanto ha vissuto dall’8 settembre 1943 e poi con la deportazione e la vita nei lager. A Pasquale Baldi fu assegnato il numero 34752 nel campo di concentramento di Wolsberg in Austria dove fu deportato in quanto colpevole di essere Carabiniere. Ma quello non fu l’unico lager che Baldi, congedato come Tenente, conobbe. Scomparso nel 2017, questa memoria resta il suo testamento.
– (da pag.91) La fucilazione… L’episodio più drammatico alla vigilia della loro liberazione. Quindici Carabinieri e dieci soldati italiani furono prelevati dalle SS dal campo di concentramento di Stiege e fucilati in un bosco. A testimoniare quell’eccidio il Carabiniere Mario Bianchi, sopravvissuto, per miracolo, a quell’esecuzione. Bianchi, classe 1920, appartenente al primo Battaglione di stanza in Grecia, fu catturato dai tedeschi, con altri commilitoni, il 12 settembre 1943 e deportato in Germania nel campo di concentramento Stamlager IV D di “TarganElbe” nei pressi di Lipsia. “Quando rinvenni mi trovai addosso alcuni dei miei compagni morti e sentii sparare l’ultimo colpo di moschetto che era indirizzata al Brigadiere Battuello Antonio, in quanto subito riconobbi la voce. Rimanendo sempre in quella posizione senza vedere nulla, sentii i soldati tedeschi che stavano ordinando al sottufficiale, percuotendolo, affinché gridasse “viva Mussolini”, ma il brigadiere Battuello gridò “viva l’Italia, viva l’Italia!”, quindi i tedeschi gli spararono diversi colpi e lo gettarono nella fossa. Dopo di ciò presero anche quelli che erano caduti sul ciglio della buca e li gettarono dentro e anch’io venni preso e gettato insieme agli altri perché pensavano che fossi morto. Dopo averci gettato tutti nella fossa ci buttarono sopra delle frasche di abete e su queste gettarono della terra. Quindi i tedeschi andarono via. Sollevai un po’ la testa per poter respirare e quando ebbi la certezza che i nostri giustizieri si erano allontanati di molto mi sollevai e capì che non avevo alcuna ferita. A questo punto mi allontanai dal luogo dell’esecuzione di 2/ 3 km nascondendomi dove il bosco era più fitto. Dopo tre giorni riuscii a entrare nella zona occupata dagli americani e mi presentai al comando alleato raccontando quanto mi era accaduto”.
– (da pag.94)… La resistenza della stazione San Giovanni. Il maresciallo Di Jorio organizzò così i Carabinieri alle sue dipendenze in un primo nucleo di resistenza collegato alla Banda Caruso che comprendeva tutti Carabinieri del Fronte clandestino della Resistenza. Istituito nell’ottobre 1943, il Fronte era formato da militari dei Carabinieri Reali guidati dal generale Filippo Caruso, da mesi in pensione. Nel maggio del 1944 Caruso fu arrestato e torturato dalle SS, riuscendo tuttavia dopo pochi giorni a fuggire e a riprendere il comando dell’organizzazione clandestina fino alla Liberazione. Nei giorni successivi, Di Jorio si mise in contatto con altri comandanti di Stazione sfuggiti alla cattura, costituendo un primo nucleo di 200 carabinieri che nel tempo arrivò a 572, divisi in 12 squadre, tutte coordinate dal maresciallo che era in contatto con i vertici della Resistenza dei Carabinieri. Fu il Colonnello Giovanni Frignani a cooptare Di Jorio nel consiglio direttivo della Banda Caruso.
– (da pag.98)… Mogli coraggiose… La loro colpa è stata quella di essere mogli di Carabinieri. I nazisti non risparmiarono loro arresti, vessazioni e torture al pari dei mariti in divisa. La loro storia si è persa nelle pieghe della tragedia nazionale. Ognuna di loro ha però svolto un ruolo chiave nella Resistenza tanto da ricevere riconoscimenti al valor militare, tanto più rari quanto assegnati a civili e ancor più, vista l’epoca, a donne. Mogli e mamme. Maria Ponzini, classe 1894, sposata con il Tenente Colonnello Riccardo Cao Pinna, ebbe il figlio Giorgio, Allievo Carabiniere, deportato nel rastrellamento del 7 ottobre. Un altro figliolo, disperso in Russia. Rina Fontana, moglie del Tenente Gianserico Fontana, ucciso alle Fosse Ardeatine, non si limitò a dare rifugio e trasmettere messaggi ma cercò anche di liberare il marito. Un’impresa tentata insieme a un’altra grande donna, Marcella Duce, moglie del Tenente Romeo Rodriguez Pereira. Entrambe legate al medesimo tragico destino. Accanto alle mogli dei carabinieri, altre donne si sono spese e hanno rischiato la vita per sostenere la lotta del Fronte clandestino di Resistenza dei Carabinieri che a Roma arrivò a contare oltre 5000 militari ed è da considerarsi gruppo di resistenza più consistente durante l’occupazione tedesca. Donne meritevoli dei riconoscimenti che si concedono a chi si è distinto durante i conflitti””.
Sin qui il bel libro in esame…
Ora, altre tematiche, con miei ricordi personali, sul gran tema dei Carabinieri d’Italia nella resistenza… Premetto che il mio caro Padre, deceduto nel 1964 quando ero studente liceale diciassettenne, fu a Firenze, da Tenente, Comandante della Compagnia Allievi Sottufficiali presso la Scuola Centrale, di Salvo D’Acquisto… conservando lettere della cara Mamma Ines… Ho, poi, visitato il Museo della Liberazione di via Tasso… Sono proprio quei locali che furono sede del famigerato carcere, che riaccende in noi il ricordo ammirato di un eroico Carabiniere viterbese (come viterbesi erano alcuni coraggiosi Militari, citati nel libro), Angelo Joppi, la cui storia è un inno perenne alla religione del dovere e dell’amor di Patria. Nato a Viterbo il 4 gennaio 1904, congedatosi da Carabiniere, nel 1940 fu richiamato per il corso Allievi Sottufficiali divenendo Vicebrigadiere; rimase in servizio sino all’armistizio, quando si dette alla macchia. Tornato nella Capitale occupata dai Tedeschi, fece parte dell’ Organizzazione clandestina dell’Arma comandata dal mitico Generale Filippo Caruso. Fu protagonista di numerose, temerarie azioni contro i Tedeschi sino a quando, tradito da una spia, venne arrestato e condotto a Via Tasso dove venne sottoposto a terribili torture, che non valsero a piegarlo e a fargli rivelare ciò che sapeva sull’organizzazione clandestina. Dopo mesi di detenzione e di sevizie, che lo avrebbero reso invalido, il valoroso Carabiniere fu condannato a morte ma si salvò per il sopraggiungere degli Angloamericani. Morì ottantenne. Era decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Nel novembre del 1991, la Stazione Carabinieri di Bomarzo, nel viterbese, fu a Lui intitolata; presenziarono alla cerimonia il Sottosegretario di Stato agli Interni, Senatore Antonino Murmura, il Vice Comandante Generale dell’Arma, Generale Arnaldo Grilli, il Generale Gaetano Marino e il Colonnello Alfonso Venditti, Comandante e Vice Comandante della Regione Lazio, oltre ovviamente al Prefetto Mario Moscatelli, con tutte le Autorità Civili Militari e Religiose della Provincia e a numerosissimo pubblico. Per la Famiglia dell’Eroe, la carissima figlia Liliana, con marito e figli. Nella breve allocuzione, quale Comandante Provinciale, indicai alle scolaresche e ai più giovani presenti, il fiero coraggio dell’illustre concittadino il quale seppe tener fede al Giuramento di fedeltà alla Patria e alle Istituzioni. Quando, nel 2003, decedette per malattia la figlia di Angelo Joppi, a Monterosi, alla fine del rito, al quale presenziai, volli ricordare quanto la Signora Liliana avesse fatto nel tempo per onorare la memoria del caro Padre, venendo definita a ragione Sua “vestale e custode”; furono anche ricordati i suoi occhi acuti e vividi, simili a quelli del Padre, quegli stessi occhi fieri che vediamo nelle foto di libri e riviste quando, sostenuto a braccia, Angelo Joppi fu accompagnato fuori dal carcere di via Tasso…
Trattiamo ora di Luigi Giarnieri, del quale ho preso visione di copia di documenti originali riferiti ai suoi trascorsi… Classe 1920, napoletano, già Comandante della Tenenza di Tarvisio, negli ultimi mesi del ’43, prese i primi contatti con il movimento partigiano, con grave rischio personale, intervenendo d’iniziativa in alcune inchieste salvando decine di patrioti dal plotone di esecuzione. Profondamente convinto della giustezza della causa di liberazione, nel giugno ’44 abbandonò con i suoi uomini Villa Volpi, portandosi sul Grappa ed assumendo l’incarico di Aiutante Maggiore della formazione Partigiani “Italia Libera” inquadrata nella “Brigata Matteotti”. Nella notte tra il 19 ed il 20 settembre 1944, 20.000 uomini accerchiarono il Grappa per dare la caccia a 1.000 partigiani. Le truppe attaccanti erano costituite da quattro Divisioni tedesche, due di Brigate Nere ed altri reparti minori. Giarnieri fu ferito e venne catturato la notte seguente. Condotto al comando di Paderno del Grappa, fu torturato inutilmente per due lunghi giorni; alla fine i suoi aguzzini decisero di impiccarlo, per dare un esempio. La mattina del 24 settembre, alle 7,30, il prigioniero fu portato a Crespano del Grappa per essere impiccato nella Piazza San Marco. Fu lui stesso a indicare ai cinque uomini della scorta un uncino, vicino a un negozio di frutta e verdura, adatto all’impiccagione. Morì gridando “Viva l’Italia!”, con al collo un infame cartello con la scritta “Ero ribelle e questa è la mia fine”. Ancora oggi è emozionante, a distanza di tanti anni, leggere la motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare “alla Memoria”concessa al giovane Eroe della Patria quando si entra nella bella caserma di viale Europa, a Belluno, sede del Comando Provinciale dell’Arma, a Lui intitolata (da me molte volte visitata quale Comandante della Regione Veneto per oltre tre anni..).
Nelle cerimonie dell’Arma veneta,viene ricordato il Carabiniere Ermenegildo Metti, nell’anniversario della sua morte, con la deposizione di una corona di alloro. Nativo di Maser (TV), il Militare faceva parte della “Brigata Partigiana Matteotti”; catturato sul Monte Grappa durante un vasto rastrellamento operato dai nazi-fascisti, dopo indicibili torture, il 24 settembre 1944, venne trucidato, mediante impiccagione, all’età di appena 21 anni. All’esecuzione furono costretti ad assistere i familiari del Caduto, con la partecipazione della gente del luogo, sotto la minaccia delle armi dei boia. Le ultime parole dell’Eroe furono: “Viva l’Italia!”. Sul luogo del martirio, avvenuto in Piazza Pieve di Cavaso del Tomba (TV), il 25 aprile del 2008, nel 63° anniversario della Liberazione, fu inaugurato un cippo in suo onore. Con Decreto del Capo dello Stato del 14 febbraio 1966, gli fu concessa la Medaglia d’Argento al Valore Militare “Alla Memoria”..
Emergono, poi, spesso, dalle nebbie della memoria, figure importanti di Patrioti, cosiddette minori, che vanno fatte conoscere soprattutto in quest’epoca di appannamento dei valori; sono Persone i cui nomi non sono noti ai più perché non scritti sulle tavole della storia ufficiale spesso retorica, ma non per questo meno importanti e meritevoli di ricordo. Ed è stato così, nella mia ricerca, che ho appreso dal friuliano Mario Benedetto Tabacchi, Luogotenente della benemerita Arma dei Carabinieri in Terra Veneta, da me motivatamente definito valoroso “Missionario della Vita”, alcune vicende lontane nel tempo riguardanti il Triveneto e in particolare la Terra natìa, la Carnia, con la Sua Forni di Sopra, interessandoci di Egeo Caposassi (Sedegliano 1912 – Forni di Sopra 1993), figlio di Carabiniere, arruolatosi nel 1931 e congedatosi nel 1966 con il grado di Maresciallo Maggiore. Prestò servizio in varie località italiane, comandando anche le Stazioni dei Carabinieri di Paese, Cordignano e Susegana, in provincia di Treviso, dedicando allo Stato quarant’anni di ininterrotta e scrupolosa abnegazione. Questa la storia di indubbio interesse storico che pone in giusta luce la determinazione del valoroso Sottufficiale, evidenziata dopo l’8 settembre 1943, quando non volle porsi al servizio dei Tedeschi e della Repubblica Sociale, mettendo a repentaglio la propria vita compiendo passi decisivi di grande coraggio. Informato che a Forni di Sopra, da alcuni giorni, non esisteva più alcun presidio militare di sicurezza, dei tre esistenti, quali Carabinieri, Guardia di Finanza e Milizia Forestale, si diede alla clandestinità, non presentandosi alla Stazione C.C. di Paluzza, nella regione montana della Carnia, dov’era effettivo; giunto a Forni di Sopra, in divisa e armato, si mise subito in collegamento con la Brigata Partigiani Garibaldi e, successivamente, dall’autunno 1944 all’aprile 1945, con il Battaglione Monte Grappa, al quale fornì importanti notizie relative al movimento delle truppe Tedesche. Fu così che, molto probabilmente, intrecciò il suo destino a quello del Tenente Luigi Giarnieri… Il primo maggio 1945, dopo la liberazione, Egeo Caposassi riattivò autonomamente, in attesa di disposizioni superiori, la Stazione Carabinieri di Forni di Sopra, assumendone il comando, venendo riconfermato in tale carica dopo il 4 giugno 1945, data dell’insediamento a Tolmezzo del “Comando C.L.N. Alta Italia”.
Concludiamo, affermando che è giusto e doveroso il 25 aprile, nell’anniversario della Resistenza, ricordare gli appartenenti al Comparto Sicurezza e Difesa dello Stato per gesta e comportamenti altamente eroici, ma altrettanto giusto è rivolgere un pensiero ai tanti che quotidianamente, oggi, svolgono, in silenzio, il loro prezioso lavoro a tutela della nostra incolumità. Basti pensare un attimo come sarebbe la nostra esistenza se non esistessero…