Racconti di sport

Racconti di sport. La teoria dei numeri fissi

Quando a calcio si giocava con i numeri dall’1 all’11 ma i Mondiali erano l’eccezione alla regola

Roma, 29 maggio 2020 – C’è stato un tempo in cui a calcio si giocava con i numeri fissi: dall’1 del portiere all’11 dell’ala sinistra, che spesso era anche la seconda punta che faceva da spalla al 9, il centravanti, l’uomo deputato a fare i gol. Anche se poi ci sono stati numeri 11 come Gigi Riva che del compagno con il 9 potevano pure fare a meno. Tanto pensavano a tutto loro. In quel calcio si marcava a uomo: il 2 e il 5 erano i cagnacci della difesa; il 6 era il libero (che giocava un po’ staccato dietro agli altri); il 3 era il terzino sinistro fluidificante (cioè che scendeva sulla fascia per andare a crossare per la testa dei suoi attaccanti). In mezzo al campo il 4 (una vita da mediano a recuperar palloni); l’8 (detto anche mezzala) che aiutava il 7 (l’ala destra) e il 10 (regista e fantasista) a inventare il gioco e magari i gol. Le formazioni si recitavano a memoria perché, in pratica, giocavano sempre gli stessi e con gli stessi numeri. Solo ai Mondiali si faceva eccezione a questa regola, perché nelle rose delle nazionali si davano i numeri ai giocatori in base all’ordine alfabetico. Così capitava che i portieri anziché l’1 avessero il 5 (come l’argentino Fillol nel Mondiale del 1978) o l’8, come il mitico Jongbloed (che vedete in uscita alta nella foto, riferita alla finale dei Mondiali del ’74 contro la Germania Ovest) dell’altrettanto mitica Olanda. L’unica squadra che in quel periodo giocava a zona. O meglio, l’unica nella quale i giocatori non avevano i ruoli fissi ma sapevano fare tutto: attaccare e difendere. L’unica che si portava le fidanzate in ritiro in un periodo in cui per i calciatori e per la società civile parlare di sesso era tabù. L’unica che ha portato davvero la fantasia al potere, anche se questa, poi, si infranse nel Mondiale 1974 contro la solita e noiosa concretezza tedesca e nel Mondiale 1978 contro l’Argentina padrona di casa. La stessa nella quale giocavano campioni come il succitato portiere Fillol, il regista Ardiles (che aveva l’1, visto la lettera iniziale del cognome) e Mario Kempes, che era il più grande di tutti e che, anche la sorte, aveva riconosciuto come tale. Visto che anche in base all’ordine alfabetico dei giocatori della rosa biancoceleste gli era toccato il 10. Che è da sempre il numero dei campioni. All’eccezione dei numeri dei Mondiali faceva a sua volta eccezione l’Italia perché per essa la regola dei numeri assegnati in ordine alfabetico valeva per tutti ma non per i portieri, che avevano sempre l’1 (Zoff non lo ha mai mollato, anche se per cognome avrebbe dovuto avere il 22), il 12 (che era sempre del secondo portiere) e il 22, che era del terzo. Quello che, in pratica, viveva i Mondiali da turista.

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