Teatro Golden – Sebastiano Somma e Benedicta Broccoli in “Incubi d’Amore”
E paffete per un “sì”
È la vecchia storia del sogno che si ripete, perentorio e terrorizzante, che si carica addosso la sua valenza di incubo e spezza certezze, un sogno che riaffiora sempre, a volte prende l’aspetto ammiccante di una bella donna per colpire con irragionevole assiduità un uomo ancor giovane con il culto del colpo sicuro, e lo azzanna con un ”paffete”, che fa scendere a precipizio le sue quotazioni di maschio, lo stesso che si era guadagnato sul campo l’appellativo di “più bel pennello delle Belle Arti”.
L’incubo prende vita per Daniele al Teatro Golden, questo delizioso open space assai duttile, che si adatta perfettamente alla commedia leggera e moderna, e si presenta ogni sera fino al 23 novembre con l’aspetto di una ragazza dalle belle forme, disponibile a concludere la serata nel modo più ovvio possibile, e poi delusa dall’esito infausto.
Così ci siamo immersi nel clima di una commedia leggera come una piuma, dalle atmosfere alla Neil Simon, affidata alla vis comica (notevole) di Sebastiano Somma, volto televisivo di successo nelle varie fiction poliziesche, qui nei panni di Daniele, un pittore estroso, e di Benedicta Broccoli, Elena, figurina esile e spigliata, presente in scena in panni ridottissimi, simpaticamente nel ruolo di una ragazza che va in giro per l’universo mondo, legata alle mode del momento e a quelle sempiterne, del mangiar Vegano come della ricerca dell’anima gemella, ma che sogna come una qualsiasi adolescente ottocentesca un abito bianco e un marito e che vive nell’incubo ormai trimestrale di trovarsi sull’altare tutte le tipologie umane, regionali e sociali possibili, dal carabiniere baffuto al guru indiano, al cantante neomelodico napoletano, all’omaccione palestrato, tutte con gli stessi faccia e corpo, e non riuscire a fargli pronunziare il fatidico sì.
Ma esistono davvero le anime gemelle, quelle creature tutte platoniche vigenti nel mondo delle idee e nei più remoti recessi onirici, che saltano con agilità atletica i tempi e i secoli destinate a cercarsi e raramente a trovarsi?
Effervescente e mellifluo l’incubo d’amore si spalma democraticamente sui due personaggi e, come nelle più ovvie delle tradizioni, non può che costituire un terreno comune sul quale si incontreranno i nostri. Quale meglio dello studio di una bella dottoressa curatrice di menti sconvolte, che cerca di risolvere curiosi problemi, come l’attitudine di un paziente a leccare i gomiti alle donne? La terapeuta, la bella e brava Morgana Forcella, sarà lo snodo principale della vicenda, a lei si rivolge Daniele per cancellare dai sogni la sconosciuta che gli procura da tre mesi quei mortificanti “paffete”. Da lei va anche Elena, ex compagna di università e amica tornata da un viaggio, per raccontare gli ultimi avvenimenti della sua vita, quel curioso incidente che l’aveva spinta contro un “maggiolino” tutto giallo, quell’incubo mortificante con il flop proprio sull’altare che le ruba il futuro di mogliettina.
E lei inesausta che crede fermamente nel colpo di fulmine ed è disposta a qualunque cosa pur di strappare il velario che le impedisce di comprendere gli eventi di cui è protagonista e quell’incubo che le lascia scie di crisi abbandoniche. E quando anche il pittore accetta di sottoporsi ad una ipnosi regressiva avviene che…
Il finale, come nella migliore tradizione teatrale, offre un colpo di scena accuratamente preparato. Merito di una scrittura teatrale di qualità firmata a quattro mani da Augusto Fornari Toni Fornari, Andrea Maia e Vincenzo Sinopoli.
Il successo è certo e tangibile, merito anche della regia di Augusto Fornari che suggerisce e sfrutta le singole qualità degli attori, di bei costumi e di quell’ allure rilassato e piacevole che sa offrire questo interessante spazio teatrale.