Tematiche etico-sociali

“IL CORAGGIO TRA LE MANI”.

La storia degli uomini invisibili che hanno sconfitto le Brigate Rosse

Roma, 11 febbraio 2021 – Hanno pedinato brigatisti e catturato terroristi. In un libro le imprese degli uomini “invisibili” che hanno combattuto l’eversione rossa. Molti conoscono la storia delle Brigate Rosse. Ma non sempre si conosce la vita di chi ha combattuto sul campo di battaglia: la strada. Sicuramente grazie a loro, se lo Stato ha vinto.

Certamente ci sono stati molti altri tristissimi eventi, con la tragedia di Aldo Moro in primis;  soprattutto con troppi misteri ancora da scoprire. Ma è per merito degli uomini della Sezione Speciale Anticrimine se la stella a cinque punte ha smesso di brillare.

Li chiamavano “invisibili”, e lo sono rimasti praticamente anche alla fine degli anni di piombo.

A raccontarne per la prima volta la storia è Emiliano Arrigo in ” IL CORAGGIO TRA LE MANI ” (Historica edizioni, pagine 214).

Un libro scritto raccogliendo i ricordi del catanese Enzo Magrì, nome di battaglia “Nero”, uno degli invisibili senza divisa e senza nome della Sezione Anticrimine di Roma, voluta e creata dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e comandata dall’ allora Maggiore Mario Mori.

Quindi è la trama di Oberdan, Kawasaki, Lupo, Tromba, Palla, Nikon, Villa, Bolognese, Donato, Frasca, Vecchio, i loro nomi di battaglia.

“Entrai nell’Arma per combattere la mafia e mi ritrovai a combattere il terrorismo di sinistra”. Racconta i pedinamenti, gli appostamenti, le perquisizioni, le notti passate per le strade di Roma, i blitz e le irruzioni. Racconta  anche degli stati d’animo, i sentimenti, e le paure. Un’intensa attività investigativa che “portò non solo alla sconfitta della ‘Colonna romana’ ma anche di quelle fazioni e di quei gruppi terroristici che si intersecavano attivamente con le Brigate Rosse”.

La Sezione, spiega il grande Mario Mori nella prefazione, nacque dalla necessità di aggiornare la lotta al crimine assegnando competenze particolari e specifiche ad alcuni reparti. Servivano “investigatori nuovi”, con professionalità mirate e che arrivassero dalla stessa cultura giovanile in cui era emersa l’eversione (rossa e nera).

Nacque così nel 1974 il Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria, che originò poi le Sezioni Speciali Anticrimine e infine il Raggruppamento Operativo Speciale (ROS). L’obiettivo era quello di acquisire “superiorità informativa” sul nemico, registrandone i movimenti senza far mai emergere la propria presenza (anche a questo servivano i nomi di battaglia). Solo una volta individuati tutti i membri della cellula indagata si procedeva all’arresto, assicurandosi di “risparmiare” qualcuno in modo che potesse portare gli investigatori verso nuovi gruppi sovversivi.

La Sezione di Magrì realizzò anche operazioni a Parigi per catturare “gli ultimi irriducibili” delle Br. La politica diffidava degli ‘specialisti’ e anche all’interno dell’Arma non eravamo amatissimi.

Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, osserva Mori, era un grande manager della sicurezza. Non prendevamo assegnazioni dal Comando Generale, sceglievamo personalmente gli uomini che avrebbero fatto parte della squadra. Con alcuni di loro il legame è rimasto anche oggi e tra noi ci si chiama come allora, solo con il soprannome. Infiltrati? Solo uno – ha spiegato Mori – era un ragazzo che ci consegnò Pecchioli, che noi arrestammo insieme agli altri (On. Ugo Pechioli,  Membro della Direzione nazionale del PCI, fu responsabile della sezione Problemi dello Stato curando in particolare la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata e la lotta al terrorismo). Per individuare il numero maggiore possibile di componenti di un gruppo si sceglieva di non arrestarli tutti, ma di lasciarne fuori qualcuno e di controllarlo per arrivare ai capi e a tutti membri dell’organizzazione. Una volta individuammo 39 brigatisti e ne prendemmo 35. Il Magistrato mi disse: ‘Va bene, questi domani potrebbero sparare a me o a lei ma facciamo come dice’.

Iniziamo la lettura di parti del libro.

– da pag.16.“”A questi ragazzi, se ne contrapposero altri che, in divisa o in borghese, decisero di dedicare la loro vita al servizio dello Stato per difendere la democrazia e la Patria.  E poi ci sono loro, gli “operativi, i Carabinieri delle Sezioni Speciali Anticrimine SSA). Coloro che a quel tempo, assieme alle altre Forze dell’ ordine, hanno combattuto e contrastato le Brigate Rosse. In particolare, si prova a far rivivere il ricordo degli uomini della Sezione Speciale Anticrimine di Roma e di quel periodo vissuto così intensamente, che portò non solo alla sconfitta della Colonna romana ma anche di quelle fazioni e di quei gruppi terroristici operanti in campo nazionale e internazionale che, di volta in volta, si intersecavano o collaboravano attivamente con le B.R.. Il mio desiderio, dunque, è quello di provare a raccontare ciò che molti altri non hanno mai raccontato. Raccontare le BR dal punto di vista degli operativi, dal punto di vista degli “invisibili”, per far conoscere anche la loro versione.””

da pag.75. “”È qui, seduti all’ombra di un pino su di una panchina vandalizzata dagli idioti e dal tempo, che Nero inizia a parlarmi degli arresti avvenuti nel gennaio 1982 ad Arlena di Castro e in via Voghera a Roma.  La grande caccia: storia e retroscena di un duro colpo al terrorismo titolava “Panorama” la mattina dell’ 8 febbraio del 1982, narrando ai propri lettori cosa sapeva di quei fatti: una rapina in una banca alla periferia di Siena avvenuta per finanziare l’ organizzazione terroristica “Prima Linea”, due giovani Carabinieri uccisi a un posto di blocco a Monteroni d’Arbia e diversi uomini armati in fuga.  “Si, le cose andarono esattamente così.  Prima però, è necessario fare un piccolo passo indietro, cioè alla rapina a una agenzia del Monte dei Paschi di Siena e alla successiva sparatoria avvenuta a un posto di blocco, nella quale persero la vita due nostri giovani colleghi: Euro Tarsilli di 19 anni e Giuseppe Savastano di 20. Fu a seguito di questi due gravissimi episodi che venne dato immediatamente l’allarme e l’ordine perentorio di “tutti fuori”.  In cerca dei fuggitivi, si levarono in volo gli elicotteri mentre i vari reparti territoriali confluirono velocemente verso il luogo della sparatoria. Intanto va detto che al posto di blocco il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Monteroni d’ Arbia, rispondendo al fuoco, aveva colpito e ucciso un terrorista e ne aveva ferito un secondo. Poi, successivamente, gli altri membri del commando, dopo aver recuperato il compagno rimasto a terra, si erano dati alla fuga a bordo di un furgone.  Dalle prime notizie che ricevemmo il commando, dalla provincia di Siena era riuscito a raggiungere la provincia di Grosseto. Giunti poi ad Arlena di Castro, in provincia di Viterbo, i fuggitivi ingaggiarono un nuovo conflitto a fuoco con un’altra pattuglia dei Carabinieri. E fu qui, proprio all’ingresso del paese, che il gruppo di terroristi si divise: alcuni di loro si diedero alla fuga verso la campagna, altri, tra cui una donna rimasta ferita, rubarono una macchina scappando verso Roma. Ma la grande caccia – così come riporta il giornale – continuò.  Continuò anche il giorno seguente, fino a quando, nel tardo pomeriggio, un collega, nome di battaglia Cinghiale, si infilò in una delle tante grotte semi nascoste dai cespugli. E fu proprio allora che dall’interno della grotta, sentendosi scoperti, i banditi spararono verso Cinghiale, che si riparò dietro una roccia e rispose al fuoco.Temporeggiammo quindi in attesa dell’arrivo dei nostri colleghi con i lacrimogeni. E quando arrivarono e ne esplosero un paio all’ interno della grotta, alcuni ricercati uscirono con le mani alzate consegnandosi, loro malgrado, ai Carabinieri.  Decifrando il contenuto codificato di un’ agendina di uno degli arrestati, le indagini arrivarono a una importante svolta.

Da quella agendina, infatti, si riuscì a risalire all’edificio di via Voghera, nel quartiere di San Giovanni a Roma.  Individuato il civico, però, bisognava scoprire quale fosse l’appartamento  dei terroristi. E così, nelle prime ore del pomeriggio, mentre alcune pattuglie controllavano le vie circostanti, il personale si apprestò a fare irruzione.  Ma proprio quando tutto era pronto, nel portone del palazzo entrò un giovanotto.  Con sé aveva un vassoio di pastarelle e una bottiglia.  Aveva anche una pistola, ma era ben nascosta e la scoprimmo solo in seguito, quando il ragazzo lasciò cadere il vassoio e la bottiglia per impugnarla e sparare contro di loro, realizzando che quegli uomini dentro il portone d’ingresso erano dei Carabinieri in borghese.  Per fortuna quel tizio riuscì a sparare a malapena un colpo prima di venire disarmato e neutralizzato.  E quando subito dopo si fece irruzione nell’appartamento, con il mazzo di chiavi che lo stesso ragazzo aveva con sé, la scena che si presentò era quella di una donna, Giulietta Borelli, ferita e distesa su di un letto con la flebo attaccata al braccio.  Anche lei di Prima Linea era una componente di quella rapina in banca ed era lei quella ragazza rimasta ferita.  Alla vista del personale in borghese la Borelli cercò di afferrare la pistola che teneva riposta sul comodino. Ma anche lei non fu abbastanza lesta.  Venne bloccata, arrestata e trasportata in ambulanza all’ ospedale San Giovanni.””

– da pag.103. “”Tutti gli arresti, in qualche modo, sono stati importanti: dai soggetti più anonimi o meno interessanti a quelli di spicco e di un certo rilievo.  Ma se devo farti un solo nome ti dico Pietro Vanzi, anno 1983”. “Vanzi … se non ricordo male lui fu un pezzo abbastanza grosso del brigatismo rosso”. “Sì.  Prese parte a tutti i processi che coinvolsero le BR negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta. Fu considerato uno degli irriducibili e in carcere venne anche prescelto come loro portavoce. In realtà tutto partì da un’indagine cominciata molto tempo prima e che un giorno, dal quartiere Tuscolano, ci portò prima fino a Fregene, sul litorale romano, e poi da qui a Ottaviano,      l’allora capolinea della metropolitana. In quel periodo, e per alcuni servizi, noi potemmo contare sulla collaborazione del personale del SISDE. E grazie al loro contributo, potemmo permetterci il lusso di organizzare insieme due servizi: uno di acchiappo con il solo personale della Sezione e l’altro di o.c.p.  con personale misto.  Mentre l’attendevamo,  alcuni equipaggi con personale SISDE parcheggiati poco più avanti rispetto a noi erano scesi dalle auto. Allungai il passo per raggiungere Serra ma non ci riuscii: una volta sceso in metro, infatti, vidi che la banchina di sosta era vuota e che il treno con sopra il capo squadra e Nastro d’ oro era già ripartito in direzione Ottaviano.  Di corsa tornai in superficie dove venni raggiunto da Luciano, un collega del SISDE che nel frattempo aveva recuperato la mia auto di servizio.  Via radio comunicai al dispositivo la direzione presa dal treno. Dovevano agganciare il collega e fornirgli il supporto operativo necessario. Giunti vicino a Termini, dall’ ufficio ci avvisarono via radio che Serra era ancora impegnato nel pedinamento e che era salito su un pullman diretto a Roma Nord, e inoltre che poco prima, nei pressi di Ottaviano la militante aveva incontrato un giovane.  Venuti a conoscenza di quell’incontro e del fatto che i due fossero saliti assieme sull’ autobus, sia il dispositivo di acchiappo che noi dell’ o.c.p. cercammo di ricompattarci e di agganciarli.  Cosa che successe poco dopo.  Il bus venne pedinato fino alla pineta di Fregene dove, tenendoci a debita distanza, osservammo e fotografammo Nastro d’ oro e l’ uomo mentre passeggiavano.  Dai successivi riscontri fotografici, si ebbe la certezza che l’ uomo fosse Pietro Vanzi.  Quando l’ incontro finì e i due si separarono, messi di fronte alla scelta di dover decidere chi seguire, optammo per l’ uomo, che oltre a essere un latitante si trovava anche a un livello gerarchico più alto. Proprio mentre Vanzi stava girando l’ angolo per arrivare in via Silla, ci arrivò via radio da Baffo l’ordine di non aspettare oltre e di procedere all’ arresto.  Appena girato l’angolo, Vanzi si voltò indietro e lentamente fece scivolare la sua mano dentro la borsa di tolfa che portava a tracolla. E quindi Napoleone gli saltò addosso e lo atterrò, raggiunto subito dopo dagli altri ragazzi.  Gli venne tolta la borsa all’interno della quale era agganciata una fondina a estrazione rapida e una pistola con il colpo in canna inserito. Venne perquisito, ammanettato e infine fatto salire su una nostra auto che lo portò in Sezione, in via in Selci, dove si dichiarò prigioniero politico».””

– da pag.117. “” Capitolo 5. La Primula Rossa non si accorse di nulla”. La strage di via Fani: 5 uomini della scorta uccisi, oltre 90 colpi sparati e l’ allora Presidente della D.C. Aldo Moro prima rapito e poi giustiziato.  Quattordici i brigatisti coinvolti, nessuno di loro oggi in carcere.  Inclusa quella Barbara Balzerani, che, con questo pensiero lasciato sui social, chiede a qualche compagno di essere ospitata per rinverdire proprio quei fasti.  “Lei era una importante dirigente della Colonna romana – gli dico – e quindi immagino che tu hai avuto a che fare con lei”. “C’era una vera e propria caccia all’uomo, che alla metà degli anni Ottanta aveva già portato all’arresto non solo di numerosi latitanti, ma anche di irregolari, di militanti e di fiancheggiatori. Vennero scoperti molti covi, rinvenuto parecchio materiale documentale, sequestrato un considerevole quantitativo di armi e sostenuti diversi conflitti a fuoco. Una incessante attività investigativa che arriva fino al 1989. Considera poi, che tra l’ 82 e l’ 83, con il solo metodo dell’acchiappo si arrestarono mediamente 3, 4 terroristi l’anno è una settantina, seppur di minore importanza, nell’84”.“Se ti chiedo qualche nome di quelli più famosi tu a chi pensi?”  “Beh, penso sicuramente a Remo Pancelli con il quale ci fu prima un conflitto a fuoco in via Gallia e che successivamente venne arrestato su un autobus nel quartiere San Paolo.  Penso anche a Marcello Capuano per la cui cattura ci fu un conflitto a fuoco aTrastevere.  E penso a Luigi Novelli e a Marina Petrella, agganciati in piazza San Giovanni di Dio su di un autobus e presi poco più avanti, nei pressi dell’ ospedale San Camillo. Infine, penso a Pietro Vanzi, di cui però ti ho già ampiamente parlato”. “E per chiudere il cerchio e per tornare laddove il nostro discorso era iniziato, immagino pensi anche a Barbara Balzerani. Giusto?” “Si, giusto.  Anche lei che tra l’altro era stata la compagna del capo delle B.R. Mario Moretti, a seguito dell’ arresto di alcuni capi storici aveva scalato velocemente il vertice della struttura terroristica, arrivando già nel 1977 a essere inserita della Colonna romana.” “Ma quando si costituì la Colonna romana delle BR?”  gli chiedo. “Nel 1975” mi spiega “Mario Moretti arrivò a Roma per costituire una base operativa    dell’organizzazione, e in questa sua azione venne coadiuvato da Franco Bonisoli e da Maria Carla Brioschi.  Stabilitosi a Roma, Moretti entra in contatto con alcuni elementi che facevano parte di diversi gruppi del movimento della sinistra extra parlamentare. È certo che tra il 1976 e il 1977 confluirono nelle B.R. elementi delle F.A.C. (Formazioni Armate Comuniste), del Comitato Comunista Centocelle (CO.CO.CE.),del gruppo dei Tiburtaros, del gruppo di Viva il Comunismo, nonché di altri comitati e collettivi 2.Su tutti direi Valerio Morucci e Adriana Faranda per le F.A.C., la stessa Barbara Balzerani per il gruppo dei Tiburtaros, Bruno Seghetti per il Comitato Comunista Centocelle, Francesco Piccioni per i Viva il Comunismo e poi Remo Pancelli e Alvaro Loiacono”. “Morucci e Faranda quando entrarono?”  “Nel settembre del ‘76, mentre nei primi mesi del ‘77 la Colonna fu completata con l’ arrivo a Roma, se non erro nel mese di aprile, di Prospero Gallinari, da poco evaso da un carcere del nord”. “E poi cosa successe?”  “Successe che si costituirono le Brigate Centocelle, Primavalle,Torre Spaccata, Università e i settori del Fronte carcerario e ospedaliero”. “Torniamo alla Balzerani?”  “Grazie al pentimento di un nuovo soggetto, che ci indicò un tale di 25 anni di nome Antonio, impiegato presso un’azienda di Aprilia, come possibile aggancio per arrivare alla Primula Rossa, le indagini arrivarono finalmente ad un importante punto di svolta. Mentre per gli altri soggetti avevamo delle foto, per questo Antonio De Luca non se ne trovavano, nonostante risultasse regolarmente censito all’anagrafe.” “E una volta identificato cosa faceste?” “Da quel momento iniziammo su di lui il servizio di o.c.p. grazie al quale scoprimmo che De Luca usciva di casa tutte le mattine alle cinque per andare a lavorare in una azienda di Aprilia, e che rientrava sistematicamente la sera verso le nove. Poi un bel giorno, senza saperlo, ci portò dritto dritto a un nuovo contatto che allora non era ancora stato identificato e che solo in seguito scoprimmo essere il brigatista Gianni Pelosi.  Quel Gianni Pelosi che nel frattempo è diventato il nuovo compagno della Balzerani e con la quale divideva un appartamento a Ostia” “In Via Diego Simonetti 54?” “Esatto. La mattina seguente vedemmo Pelosi uscire dal portone di questo appartamento assieme a una donna e con questa incamminarsi verso il lungomare”.“Era la Balzerani?” “Si, ma ancora non l’ avevamo riconosciuta perchè le fotografie a nostra disposizione erano datate e i suoi  connotati negli anni erano un po’ cambiati. Fu lì, in quella occasione, che Tromba e Ricky notarono che la borsa della donna non veniva mai lasciata incustodita e che i due facevano a turno per fare il bagno in mare”.“Dopo il bagno a mare che successe?”  “Ah, dopo il bagno a mare la Balzerani e Pelosi si incamminarono verso casa.  Li vedemmo andare via dallo stabilimento e passeggiare come due innamorati qualsiasi.  Durante il tragitto, in tutta tranquillità, idue si scambiarono languidi sguardi e qualche carezza. Qualcuno di noi, in posizione di anticipo, aveva già individuato un luogo idoneo alla cattura: poco più avanti rispetto al bar dove la brigatista era entrata per fare colazione. A scendere per primo dall’auto fu Baffo e, pistola alla mano, chiamò la brigatista con il suo nome di battaglia: «Sara!»  esclamò.  Solo allora, realizzando di essere stata riconosciuta, cercò di impugnare la pistola che teneva nascosta all’ interno della borsa a tracolla.  Ma non ne ebbe il tempo.  Ai suoi lati si materializzarono Oberdan, che le bloccò la mano per non farle impugnare l’arma, e tutti quei ragazzi, quelli che fino a un attimo prima giocavano a pallone e quelli che sembravano già pronti per tuffarsi nel mare di Ostia.  Arrestata, venne fatta salire velocemente sull’ auto assieme a Baffo e portata al più vicino comando dei Carabinieri. Dopo otto anni di latitanza, finalmente era caduta nelle nostre mani. Con le chiavi che trovammo nella borsa della Balzerani, assieme a Palla, Villa, Napoleone, Kavasaki, Coppa, Alex, Tromba e Billo, facemmo irruzione nell’ appartamento.”“Ah giusto, che fine fece Pelosi?”  “Lo arrestammo più tardi, a pochi passi dalla sua abitazione mentre faceva ritorno da Roma”.””

– da pag.136.“”Connivenze tra le BR e apparati dello Stato?”. “Su queste connivenze  si è discusso molto.  Tante sono le polemiche nate e tanti sono i dubbi che sono rimasti.  Ma questo non lo dico io, non lo dice Nero.  Lo dicono i fatti.  Pensa al rapimento all’omicidio di Aldo Moro, tanto per fare un esempio.  Sono in molti a sostenere che, oltre alla partecipazione dei brigatisti, dietro ci fossero i servizi segreti di qualche Stato.  E dimmi, perché dei quattordici brigatisti che parteciparono alla strage di via Fani, nessuno di loro è in galera?  Che protezioni hanno o hanno avuto?  Qualcuno addirittura, come Alessio Casimirri, non ha nemmeno scontato un solo giorno di prigione.  Scappato in Nicaragua dopo essere stato in Libia e a Cuba, ha continuato tranquillamente a fare la sua bella vita, grazie anche ai suoi buoni rapporti con i militari e i politici locali.  In un vero Stato di diritto questo non sarebbe mai potuto e dovuto succedere””.

Sin qui il libro.

Condividiamo il giudizio del grande giornalista Chiocci, che diversi di questi investigatori ‘invisibili’ li ha conosciuti da cronista, “il libro di Arrigo colma una lacuna perché dà voce e spazio a chi si è ‘sporcato le mani’ con una vita di sacrifici e fatica, vivendo ‘in clandestinità’ proprio come i brigatisti”.

‘Il coraggio tra le mani’ “racconta di eroi silenziosi di cui non si parla mai, se non quando uno di loro muore in servizio.

Questo libro in qualche modo rende loro giustizia. Uomini che hanno pagato un alto tributo, se si pensa che fra le loro fila si contano negli anni di piombo 600 morti e 3mila feriti e i cui nomi sono sempre rimasti sconosciuti.

Dei tanti libri scritti sul fenomeno delle Brigate Rosse questo è il primo che racconta la loro storia”.

Proprio per questo si auspica che il Comando Generale dell’Arma invii copia di questo libro a tutti i reparti operativi e a tutte le Stazioni d’Italia per far conoscere qual è stata la vita perigliosa dei Carabinieri di strada di un tempo…si…di strada, non d’ufficio…

Concludo con personali ricordi.Come letto nel libro, l’Antiterrorismo del Ministero dell’Interno ha collaborato anche direttamente con i Carabinieri dell’Anticrimine ovviamente in modo molto incisivo nelle indagini in questione. Ricordiamo che il SISDE ha operato in tutti i settori del terrorismo di sinistra e destra negli anni di piombo con risultati di altissimo livello, sempre d’intesa con l’A.G. e nel rispetto delle leggi. Aggiungo,  in particolare, che si distingueva il Centro Roma 2 di Roma, diretto dal grande Questore Mario Fabbri. Era all’epoca Direttore del Servizio l’indimenticato Prefetto Vincenzo Parisi. In quel Centro vi ho operato anche io per un quadriennio.

Ovviamente era attività svolta, come per i colleghi dell’Anticrimine dell’ Arma, in strada. Per le attività citate, ovviamente, furono frequenti i contatti con Mario Mori e con i Magistrati della Procura di Roma, tra i quali l’indimenticato Domenico Sica.

Onorando Mario Mori, invito a leggere altro articolo su Attualità.it, di cui è Direttore Salvatore Veltri (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/condivido-il-pensiero-di-carlo-mori-sul-triste-caso-del-valoroso-carabiniere-mario-cerciello-rega-40792/)

Condivido il pensiero di Mario Mori… sul triste caso del valoroso Carabiniere Mario Cerciello Rega

 

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