Superlega: hanno vinto i tifosi (e Boris Johnson)
La Superlega è fallita dopo appena 48 ore. Che figuraccia per Florentino Perez e Andrea Agnelli!
Roma, 21 aprile 2021 – Contrordine compagni. La Superlega non si fa più. E la figuraccia che dei suoi fondatori è subito diventata epocale.
Dopo appena 48 ore dalla nascita, infatti, l’evento che secondo il presidente del Real Madrid Florentino Perez doveva “salvare il calcio” è già finito.
E sia per lui che per il suo iniziale socio-compare-ideatore Andrea Agnelli (per chi non lo sapesse presidente della Juventus) è una vera e propria sconfitta. Su tutti i piani.
Perché l’idea della Superlega era soprattutto loro e dei loro contabili, che gli avevano prospettato guadagni enormi grazie al famoso miliardo di tifosi che le 12 società fondatrici hanno nel mondo.
Quello stesso miliardo di tifosi che, se non avesse seguito le proprie squadre in questa avventata avventura, avrebbe fatto saltare tutto.
Come abbiamo scritto nel precedente articolo sull’argomento. E ci scusiamo per l’auto-citazione, che non è mai elegante.
Come poco elegante, però, era il piano degli scissionisti, basato tutto sul blasone, sui bacini di utenza e sulle masse al seguito delle 12 società e non sui meriti sportivi.
Che invece devono essere sempre alla base di una disciplina che si chiama ancora “sport”.
Come sanno bene gli stessi tifosi delle 12 società ormai ex scissioniste, visto che sono stati loro i primi a ribellarsi a quanto stavano facendo i propri club.
Soprattutto in Inghilterra, dove il gusto della competizione è da sempre alla base di ogni evento, sportivo e non.
Così i tifosi del Liverpool hanno scritto fuori ad Anfield che i propri beniamini avrebbero cominciato a camminare da soli.
E quelli del Chelsea (nella foto) hanno bloccato il pullman della squadra fuori a Stamford Bridge.
Altro che miliardo di tifosi-consumatori-clienti da spennare con super abbonamenti televisivi per seguire la Superlega, come era nei piani dei fondatori!
Che forse ora avranno capito che il calcio si regge ancora sulla passione di chi lo segue, ma non fino al punto di poter spennare a proprio piacimento gli appassionati-tifosi.
Che così scemi non sono. Perché a tutto c’è un limite. Come hanno dimostrato nelle 24 ore seguenti alla fondazione della Superlega, alla quale si sono subito tutti ribellati.
Una ribellione che è davvero la vittoria del popolo-tifoso del calcio. Che resta la parte più pura, sana e genuina di questo che ancora si chiama “sport”.
Con i tifosi, però, ha vinto anche il premier inglese Boris Johnson, anche se al calcio preferisce più gli studi classici e la storia romana, della quale è un vero appassionato.
Da uomo colto e intelligente qual è, infatti, ha subito capito che una frattura del movimento calcistico inglese tra le 6 società più popolari destinate alla Superlega e le altre non sarebbe stata accettata dalla massa dei tifosi dell’isola.
Con inevitabili ripercussioni sociali ed elettorali.
Così ha subito convocato i vertici delle 6 società suddette promettendo loro lacrime, sudore e sangue se avessero continuato a perseguire il loro super-progetto.
Che tradotto avrebbe significato più tasse per loro, zero visti di lavoro in Inghilterra ai calciatori che avrebbero tesserato all’estero, niente servizio di polizia allo stadio in occasione delle loro partite.
E le 6 società (il Liverpool, le due di Manchester e le londinesi Chelsea, Arsenal e Tottenham) hanno subito fatto marcia indietro.
Con tanto di scuse ai propri sostenitori per l’errore che avevano fatto.
Scuse che invece, non sono ancora arrivate da parte di Florentino Perez e di Andrea Agnelli ai tifosi del Real Madrid e della Juventus, contrari anche loro al super-progetto.
Perez e Agnelli, che sono usciti con le ossa rotte da questo estemporaneo e breve braccio di ferro con il resto del mondo del calcio, della società (di cui il calcio è parte fondamentale) e della stessa politica.
Se non fossero i proprietari di Real Madrid e Juventus, dopo questa sconfitta e la conseguente figuraccia planetaria che ne è derivata, non gli resterebbe che dimettersi.