Eugenio Occorsio: Storia di mio padre e di tuo nonno NON DIMENTICARE, NON ODIARE
Roma, 22 settembre 2021 – Eugenio Occorsio, nato Roma il 17 luglio del 1956. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato nei seguenti giornali: Il Sole 24 Ore: 1977-1983; Panorama: marzo-novembre 1983; Il Tempo: dicembre 1983-marzo 1986; Italia oggi (corrispondente dagli Usa): aprile 1986-aprile 1988; Repubblica, dove attualmente è caposervizio affari e finanza, nonché editorialista del quotidiano. Ha scritto, tra gli altri, “Opengate, storia di un successo” (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2001), scritto insieme a Laura Kiss; “Innovare per vincere” (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2004), scritto insieme a Renata Fontanelli; “Reti: quali regole?” (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2008); “Non dimenticare non odiare” (Baldini Castoldi Dalai,2011) e “SPQR” (Palombi, 2012).
Vittorio Occorsio, classe 1929, famiglia napoletana, era Sostituto Procuratore della Repubblica a Roma. Un Magistrato di riconosciuta imparzialità e di grande coraggio. È stato ucciso sotto casa a colpi di mitra la mattina del 10 luglio 1976 da un commando di Ordine Nuovo, formazione di estrema destra dalle ramificazioni inquietanti, che lui aveva processato e fatto mettere fuori legge per ricostituzione del partito fascista due anni prima.
L’esecutore del delitto è stato Pier Luigi Concutelli, mai pentito, condannato all’ergastolo. Ma la natura di questa «eliminazione» non è ancora chiara.
Occorsio indagava in contemporanea sui terroristi neri, sulle logge deviate, sulle responsabilità dei servizi nella strategia della tensione, sulla criminalità comune che con i neofascisti aveva tanti elementi da spartire.
Pochi anni prima aveva scoperto le trame oscure del Sifar, e aveva istruito il primo processo su piazza Fontana lasciando l’indicazione di approfondire una serie di personaggi dell’estrema destra infiltrati nei circoli anarchici. È passato quasi mezzo secolo.
Concutelli, vecchio e malato, nel 2009 è stato liberato provocando l’indignazione di Vittorio junior, figlio di Eugenio – l’autore di questo libro – e nipote del giudice ucciso.
E così Eugenio, che aveva vent’anni quando il padre fu ucciso, ha deciso di raccontare al figlio la storia del nonno e dei terribili anni di piombo in cui si inserì il delitto.
Ne nasce una riflessione generazionale sul lutto e la memoria su un Paese che ha voltato più volte pagina ma non ha mai fatto veramente i conti con quel buco nero-piombo della sua storia, fitto di morti e misteri, di violenza efferata e progetti eversivi.
È anche il racconto di alcune delle vicende più oscure di quegli anni e soprattutto di come i valori democratici dell’Italia abbiano retto all’offensiva terroristica senza cedimenti liberticidi.
Iniziamo la lettura di parti del libro molto interessante.
– da pag.11 “”E ai giovani si rivolge, nel suo piccolo, questo mio libro, scritto in forma epistolare per mio figlio Vittorio, che all’epoca in cui l’ho scritto aveva vent’anni, la stessa età che avevo io quando mio padre, Vittorio anch’egli, suo nonno, fu ucciso dai terroristi di Ordine Nuovo sotto casa, il 10 luglio 1976. La generazione di mio figlio è nata molti anni dopo la fine degli anni di piombo, e gli anni stessi non sono ancora compresi nei libri di scuola. Ma è opportuno che vengano conosciuti, per capire come il Paese abbia rischiato il baratro della guerra civile, della caduta delle garanzie costituzionali, della crisi della democrazia, la “darkness” (il BUIO) appunto. E invece ha tenuto, è rimasto democratico e civile. Senza leggi speciali liberticide (solo alcuni aggiustamenti della procedura), senza cedimenti sulla trincea in cui il terrorismo tentava di portarlo, quello della violenza e dell’ “occhio per occhio”. Il diritto è rimasto lì, integro, a difesa soprattutto dei più deboli e di chi soffre come diceva sempre mio padre. I più forti purtroppo le leggi se le fanno da soli, lo Stato deve tutelare gli altri, la grande maggioranza. E il giudice deve usare lo stesso metro imparziale con tutti, ricchi o poveri, potenti o disgraziati. Per questo l’indipendenza della magistratura, è un “valore fondamentale dell’architettura costituzionale”, come dice il giudice Caselli. E anch’essa ha retto, quasi miracolosamente verrebbe da dire tanto è stata esposta, oltre che al fuoco dei terroristi, alle continue insidie – già dai tempi di mio padre – di corvi, finti pentiti (o pentiti veri a loro volta strumentalizzati), manovrieri e pescecani di ogni risma. Il percorso finale di mio padre si è sviluppato nell’arco di nove anni: nel 1967 ha condotto la pubblica accusa nel processo Sifar, nel 1969 ha indagato su piazza Fontana e nel 1972 ha aperto il primo processo nel 1973 ha fatto condannare trenta dirigenti di Ordine Nuovo per ricostituzione del Partito fascista, l’anno dopo è stato decretato lo scioglimento dell’organizzazione. Che nel 1976 lo ha ucciso. Sono stati anni pazzeschi, inverosimili, macchiati di sangue e dominati da un’angoscia pesantissima. Ora, perché il sacrificio di tante delle migliori intelligenze del Ventesimo secolo e il dolore irrimediabile di tante famiglie non siano state inutili, occorre che i più giovani, la classe dirigente di domani (e progressivamente di oggi) sappia cosa l’Italia ha vissuto e rischiato. “Non dimenticare, non odiare” significa, rivolto a mio figlio e a tutti gli altri della sua generazione: conosci i fatti, il contesto in cui sono avvenuti, chiediti quale ventata di follia abbia attraversato il nostro Pese negli anni di piombo, ma non farlo con spirito di vendetta anche se è stato colpito un tuo caro. Tra le nubi più cupe ci sono quelle che ammantano gli oscuri intrecci che hanno portato alla morte mio padre. Concutelli era solo un pazzo scatenato o il braccio armato di un meccanismo più complesso? Uno dei problemi, a parte la più o meno forte volontà di andare a fondo, è che nel terrorismo neofascista non ci sono stati pentiti, a differenza delle Brigate rosse, e sicuramente rimangono più misteri. Due “camerati” che forse potevano parlare dal carcere si chiamavano Ermanno Buzzi e Carmine Palladino, ma sono finiti sgozzati da Concutelli, quello che ha ucciso mio padre. Solo negli ultimissimi anni qualcuno ha cominciato a squarciare il velo di omertà, come Cristiano Fioravanti, “pezzo da novanta” dei Nar (una delle formazioni neofasciste che hanno raccolto l’eredità di Ordine nuovo e ha cercato più volte di far evadere Concutelli), fratello di “Giusva” (condannato per la strage di Bologna e recentemente sospettato per la l’omicidio di Piersanti Mattarella nel 1980), che oggi vive protetto per la sua collaborazione. Ma sono solo frammenti di un mosaico sempre più difficile da ricostruire. Eugenio Occorsio””
– da pag.175. “”Dalla strage ai Marsigliesi, via P2”. Quello che ti sto per raccontare è il capitolo più complesso e arduo di tutta questa triste storia. Partiamo da un presupposto, anzi facciamo parlare mio padre, come lo racconta Ferdinando Imposimato, il Magistrato che gli era stato vicino negli ultimi anni, e che oggi fa l’avvocato. Imposimato racconta che papà gli disse: “Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi… Sono certo che dietro i i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi… Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri… Nei primi anni settanta si era trovato di fronte i fascisti veri, quelli di Ordine Nuovo, li aveva arrestati a uno a uno (erano in 120), li aveva processati e li aveva infine fatti condannare per ricostituzione del disciolto partito fascista, applicando per la prima volta la legge Scelba, e per far questo aveva faticato non poco a convincere il Ministro degli interni dell’epoca, il democristiano Paolo Emilio Taviani. E aveva fatto sciogliere Ordine Nuovo nel 1973, che così diventò da movimento politico un’associazione clandestina. Nello stesso tempo aveva cominciato a indagare sulla Loggia P2, perchè aveva scoperto ben prima che – nel 1981 – diventasse pubblico, che quella Loggia svolgeva attività eversiva. Ancora: aveva indagato sui sequestri di persona della banda dei Marsigliesi a Roma, e si era trovato quasi per caso personaggi interni ed esterni alla banda (tipo il criminologo Aldo Semerari o l’avvocato Minghelli di cui ti parlerò tra poco) che erano al tempo stesso simpatizzanti dichiarati per l’estrema destra, piduisti e in qualche modo “collaterali” ai Marsigliesi stessi. Quando è stato ucciso aveva in piedi l’indagine sulla massoneria deviata, doveva finire alcuni processi contro i sequestratori, stava istruendo un nuovo processo – era già in calendario per l ‘ottobre di quel 1976 – ancora contro Ordine Nuovo perchè aveva scoperto che come una fenice si era ricostituito.
Quando Concutelli fu arrestato, nel febbraio 1977, aveva in casa un bel mucchietto di banconote provenienti dal sequestro di Emanuela Trapani, figlia di un imprenditore milanese, effettuato da Renato Vallanzasca e conclusosi pochi giorni prima con la liberazione della ragazza in seguito al pagamento di un ingente riscatto.
Seguimi, figlio mio: Vallanzasca, uno dei più pericolosi criminali mai circolati in Italia, circondato chissà perché da un’aura di fascino, arrestato una prima volta dagli uomini di Achille Serra nel 1972 e poi era evaso all’inizio del 76 (sempre quest’anno che torna come una maledizione), era sodale e complice di Albert Bergamelli, uno dei capi della Banda dei Marsigliesi. Questo Bergamelli, mio padre lo aveva fatto arrestare il 30 marzo 1976 nell’ambito delle indagini che stava conducendo su tre sequestri di persona avvenuti a Roma, l’anno precedente: quelli del gioielliere Gianni Bulgari, del “Re del caffè” Alfredo Danesi e dell’ingegner Amedeo Ortolani, il figlio di Umberto, un finanziere che era guarda caso il numero due della P2 di Gelli (cosa significava quest’ultima coincidenza? Una vendetta incrociata per chissà quali sgarri? Mio padre cercava una risposta anche a quest’ennesimo inquietante quesito, ma non ha fatto in tempo a trovarla). Ancora una coincidenza: il totale delle somme incassate dai Marsigliesi per i sequestri Danesi, Bulgari e Ortolani era pari alla somma impegnata per acquistare la sede romana dell’Ompam (Organizzazione mondiale del pensiero e dell’assistenza massonica), una specie di multinazionale della massoneria fondata da Licio Gelli. Albert Bergamelli venne arrestato all’inizio del 1976. Quando gli misero le manette urlò: “qualcuno mi ha tradito, ma ricordatevi che sono protetto da una grande famiglia”. Papà scoprì che la grande famiglia era la P2. Bergamelli fu ucciso da Paolo Dongo, guarda caso un ex terrorista coinvolto con varie organizzazioni e condannato all’ergastolo nel carcere di Ascoli Piceno il 21 agosto del 1982. Insieme a Bergamelli tuo nonno aveva fatto arrestare un altro dei capi dei Marsigliesi, Lucas Bezian, e dopo qualche settimana mise le mani anche sugli altri due “coordinatori”, Matteo Bellicini e Giuseppe Rossi ( che era quello che teneva i contatti con Marsiglia e infatti lo chiamavano “Jo le Maire” ma non c’è niente di eroico né di epico in tutto questo). A questo punto i Marsigliesi uscirono dalla scena romana, arrivò la banda della Magliana ma questa è un’altra storia.””
– da pag.199. “”Via Mogadiscio. All’angolo fra via Mogadiscio e via del Giuba mio padre è stato ucciso. Noi abitavamo in via Mogadiscio, una stradina stretta e tranquilla, molto verde, a senso unico e in discesa. Via del Giuba la incrocia dopo poche decine di metri e porta verso via Asmara, quindi verso il centro. Sull’angolo c’era appostata un macchina. Un complice in moto aveva l’incarico di segnalare, precedendola, qual’era la macchina giusta da colpire. L’assassino, Concutelli, scese, il complice, Ferro, se la squagliò con la moto. Dopo aver sparato, Concutelli risalì in macchina e fuggì verso corso Trieste, poi prese via Volsinio, una strada quasi obbligata che avevamo fatto migliaia di volte e sparì. Il complice che guidava l’auto non è mai stato arrestato né identificato, ma magari fosse l’unica cosa mancante in questa inchiesta. Allora: mio padre scende in garage e sale sulla sua Fiat 125, la stessa macchina dove io avevo imparato a guidare. Mi faceva da istruttore l’Agente Gino Seta, da Foggia, uno dei poliziotti della sua scorta (allora, due anni prima, ce l’aveva). Possiamo dichiarare questo piccolo uso privato di risorse d’ufficio: l’agente Seta era diventato un amico. Tutto sembrava così familiare, così di una piccola semplicità, che era difficile immaginare che il motivo per cui quella scorta c’era era valido, e come. Solo che gli venne tolta un mese prima di essere ucciso, malgrado sulle strade – li vedevo io girando intorno a casa perché confinante con l’Africano c’è il quartiere Trieste che era uno di quelli a più alta concentrazione fascista – si ripetessero quelle scritte “Occorsio boia”, e a fianco l’ascia bipenne di Ordine Nuovo. Ce n’erano non solo nel quartiere Trieste ma in giro per tutta Roma. Ce n’era anche una graffitata con cura proprio sotto il palazzo di Giustizia di piazzale Clodio, che era il suo ufficio. Dieci luglio, 8,30 del mattino. Lo sbattere della porta mi aveva svegliato, ho sentito la macchina che risaliva la salita del garage, mi stavo appena per alzare. All’improvviso un rumore assurdo, pazzesco, sembrava sai, quando si rompe una saracinesca e rotola giù all’improvviso. Era una raffica di mitra. In una strada piccola come la nostra rimbombò come dieci Piedigrotta. Dopo qualche decimo di secondo, un’altra. Poi più nulla. Qualcuno ha contato i colpi: 32. Ricordo di averci messo qualche minuto per realizzare. La prima reazione,assurda perché era appena uscito, è stata quella di telefonare all’ufficio per vedere se c’era. Allora mi sono affacciato e ho visto la gente che correva, che gridava, che indicava qualcosa. Dalla finestra da cui ero affacciato non potevo vedere la strada, ce n’era un’altra che guardava di sotto ma ho preferito uscire dalla porta e scaraventarmi giù per i due piani di scale. Ancora dentro il portone mi sono venuti incontro i portieri Tonino e Diana, gridando e piangendo. Gli ho chiesto “Ditemi solo se è morto”. Mi ha risposto Diana urlando “È morto, è morto”. Poi credo che abbiano tentato di fermarmi. Ma è stato inutile sono corso di fuori proprio mentre passava di fronte al portone un’Alfetta dei Carabinieri a sirene spiegate. Fuori casa, in quel caldo atroce di luglio, ho caracollato per i 50 metri di discesa fino a via del Giuba dove c’era la macchina e lui raggomitolato sul fianco, un piede fuori, perchè aveva cercato di uscire e di rotolarsi dietro la macchina per pararsi dai colpi. Aveva un vestito marrone, si era tolto la giacca. La cravatta pendeva, e lui era coperto da un lago incredibile di sangue che continuava ad allargarsi sull’asfalto, era ferito alla testa, e a un braccio, quello con il quale aveva cercato di ripararsi. Il parabrezza della macchina praticamente non esisteva più, e altri colpi oltre a lui avevano colpito perfino il vetro posteriore e quelli di fianco e i muri del palazzo. Mi sono proteso come per toccarlo, non hai idea di come è diverso un corpo morto da uno vivo, sembrava un fantoccio, sembrava finto. Avverti chiaramente che la vita lo ha lasciato. Qualcuno mi ha fermato e mi ha riaccompagnato al portone.””
Sin qui il libro
Ora conclusioni e ricordi personali. Personalmente conobbi il grande Magistrato Occorsio nel quinquennio passato al comando del Nucleo Operativo della Compagnia Roma Trastevere, dove la vita era caratterizzata da servizi di ordine pubblico spesso molto violento e indagini, che facevano trascorrere ore a Piazzale Clodio per incontrare Magistrati, avvocati e, a volte, persone interessanti dal punto di vista investigativo e informativo. Certamente per gli operativi erano anni in cui non si stava in ufficio a scaldare la sedia. Tutto questo quando nella Procura romana c’erano Magistrati dello spessore di Raffaele Vessichelli, Mario Bruno, Ilario Martella, Giorgio Santacroce, Luigi Ciampoli, Niccolò Amato, Mario Cannata, Domenico Sica, Paolino Dell’Anno, Claudio Vitalone, Margherita Gerunda, Luigi Jerace, Vittorio Occorsio e Mario Amato (questi ultimi due uccisi da terroristi).
Da pochi giorni, essendo stato promosso Capitano, avevo assunto il comando della 2^ Sezione del Nucleo Radiomobile di Roma ed essendo già su autoradio in periferia romana, ascoltando le concitate frasi della Centrale Operativa, con la sirena mi diressi sul posto. Fu commovente vedere quelle immagini. Ovviamente il nostro compito era quello di circondare l’area e creare viabilità per l afflusso di persone autorizzate.
Su un quotidiano romano, per i rapporti che ovviamente gli operativi intrattenevano con la stampa, il giorno dopo trovai una foto che mi inquadrava sul luogo maledetto. Aggiungo che anni dopo, quando ero all’ antiterrorismo operativo del Ministero dell’ Interno con il grande Prefetto Parisi, furono rinvenute in due covi delle Brigate Rosse due schede riguardanti la mia persona, dove in una si trovava una scheda con l’articolo del giornale prima citato con la frase “Ha partecipato alle indagini sul caso Occorsio”. Cosa ovviamente non vera, ma che mi riempì di orgoglio.
Certo, un libro di sicuro interesse con cronache dell’assalto criminalterroristico allo Stato, che condensa anni di indagini ad alto livello non limitate al solo panorama capitolino ma allargate, nell’analisi, con spunti di vivo interesse, a quello nazionale.
Concludo affermando: Onore al Magistrato Vittorio Occorsio, vero storico presidio di legalità della nazione Italia!!!!!!!!!