“Parlamento sotterraneo”, di Mario Nanni
Miserie e nobiltà, scene e figure di ieri e di oggi
Roma, 11 ottobre 2021 – “Parlamento sotterraneo” è il bellissimo recente libro di Mario Nanni, giornalista parlamentare (del quale sono onorato di esserne Amico ormai da anni), laureato in filosofia, giornalista parlamentare dal 1977 che ha seguito più stagioni della storia italiana di quel sistema che si chiama Parlamento.
Già caporedattore del servizio politico dell’Ansa racconta la storia parlamentare repubblicana dall’interno dei palazzi del potere, dalle origini ad oggi con situazioni a volte anche particolari.
Molto interessanti le vicende di personalità che sia positivamente sia negativamente hanno deciso la storia della Repubblica.
L’autore, con stile brillante e accattivante consente, anche ai più giovani lettori, i quali sarebbe bene che lo leggessero, di capire le vicende politiche e gli eventi e trovare una risposta al “garbuglio” della politica parlamentare attuale che non ha più il rigore e la serietà di tempi ormai lontani.
Quindi un percorso che ricostruisce con la passione ben nota le situazioni del nostro tanto amato e amaro Paese.
Iniziamo a leggere alcune parti dell’interessante libro.
– da pag.33. “”Gratitudine o ingratitudine in politica: una vexata quaestio (questione tormentata). Ci basti sottolineare che la gratitudine non è una categoria politica. E tuttavia ci poniamo una domanda in forma di dilemma: Craxi sarebbe stato Craxi senza Amato? E Amato sarebbe diventato quel che poi è diventato se non avesse trovato Craxi sulla sua strada? Se vogliamo allora dettagliare, possiamo riformulare la questione in questi termini: Amato avrebbe potuto mettere in luce operativa tutte le sue doti di negoziatore, Dottor Sottile, grande tessitore o sbrogliatore di matasse politiche (l’esempio di Sigonella, non è certamente il solo caso) se Craxi non lo avesse scelto come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, cioè in un luogo nevralgico e decisivo per l’azione e la stessa vita dei governi? Per converso, Craxi avrebbe ugualmente sviluppato la sua azione politica, nel campo sindacale, istituzionale, nei rapporti internazionali, se non avesse avuto in Giuliano Amato un lucido sostegno, un ispiratore, a volte un correttore, colui che riusciva a trovare il fondamento, la giustificazione giuridica, costituzionale di una scelta e di una iniziativa politica e di governo?””
– da pag.41. “”Il Transatlantico, colorito vaso di Pandora”. Il Transatlantico, per il giornalista pescatore di notizie, è stato sempre un mare magnum: si attingono dichiarazioni, a volte confidenze, spifferi e sussurri. Il cronista parlamentare, dopo esserci stato qualche ora, si trova il taccuino fitto di appunti, annotazioni, mezze frasi che ha trascritto talora di fretta e capita talvolta di non riuscire a decifrare perché il politico talvolta si impunta e si blocca: “ma che fa? scrive?”. Transatlantico quindi come mare pescoso, ma anche come teatro di maschere più o meno suggestive. In certi periodi sembra un porto di mare: oltre ai parlamentari e ai giornalisti, circolavano e circolano personaggi talvolta non facilmente decifrabili: portaborse, lobbisti travestiti, clientes che hanno un “passi” dagli uffici. La stampa parlamentare, vigilava, e vigila che i giornalisti presenti in Transatlantico siano quelli accreditati e gli altri, che non lo sono, abbiano comunque un permesso temporaneo dell’Asp (Associazione stampa parlamentare). Il Transatlantico è stato per qualche redattore anche un luogo dove imboscarsi, stando ore e tornando senza aver raccolto nulla. Ma sono casi rari. Specialmente nelle giornate centrali della settimana, sono di scena veri e propri capannelli che si formano attorno al politico del momento. Ieri Craxi, De Mita, Forlani, Occhetto poi Bersani, Bertinotti, Berlusconi che non si negava mai ai giornalisti, oggi Di Maio, Salvini, Zingaretti, Renzi, Meloni. I capannelli funzionavano meno con Berlinguer e Andreotti, più schivi e poco inclini a queste adunate. Di Moro non si ha memoria che si sia soffermato in Transatlantico più di qualche minuto. Ma c’erano, ci sono, occasioni solenni in cui il Transatlantico diventa un caleidoscopio in cui si può raccogliere di tutto, in termini di informazione, come in un supermarket mediatico buono per tutte le esigenze, perché ci sono quasi tutti.””
– da pag.49. “”Il decoro in Parlamento. Stile, linguaggio, abbigliamento. Sembra quasi un luogo comune osservare che con gli anni il Parlamento ha perduto la sua “sacralità istituzionale”. Da tempio della Repubblica e della rappresentanza della sovranità popolare, dal tempo in cui c’erano figure di giganti a questo “reo tempo” in cui ci sono molti nani, peraltro riottosi a mettersi sulle “spalle” dei giganti (semmai se li mettono “alle” spalle con fastidio), gli ambienti parlamentari, con il passare dei decenni e delle legislature, siamo a diciotto, sono diventati sempre più simili al “mondo di fuori”, con le sue luci e soprattutto con le sue ombre.””
– da pag.104. “”Un metodo efficace di raccogliere notizie. Avevo abbozzato un sistema. Capitalizzando una certa fiducia e stima personale e professionale da parte di diversi componenti della Commissione Moro, che mi avevano visto all’opera nel fare i resoconti delle commissioni permanenti di cui facevano parte, li incontravo separatamente dopo la riunione della Commissione. Usavo il metodo che ho appena illustrato, via via mostrando di sapere molte cose, per cui l’ultimo con cui parlavo abbandonava ogni remora e spifferava tutto quello che era rimasto da sapere. Per fare qualche esempio. Un giorno, una di queste fonti, un senatore Dc siciliano, magistrato, mi disse: “Ci hanno raccontato che Moro ebbe un colloquio tempestoso con Henry Kissinger durante il suo viaggio in America, e restò così impressionato dal tono minaccioso del segretario di Stato che andò a pregare nella cattedrale di Saint Patrick, a New York. Mentre pregava ebbe uno svenimento, e si accasciò sulla panca”. Una notizia bomba! Mi fidavo del senatore, però cercai una verifica con un’altra fonte, un deputato comunista, che di solito incontravo nella Hall di un albergo vicino al Pantheon. Attardandomi a volte a parlare con una fonte, arrivavo dal deputato comunista con qualche minuto di ritardo ed egli mi accoglieva con questa domanda: “Hai per caso un cronometro bulgaro?”. “Ma cos’è questa storia di Moro svenuto”, gli dissi io per tutta risposta. Me la confermò in ogni dettaglio. Chiamo il caporedattore centrale e gli riferisco la notizia. “Ma sei sicuro?”“Al cento per cento”. “Dettala!” E pochi minuti dopo sull’agenzia uscì la notizia che fece il giro e rumore nel mondo politico e nei giornali. Di scoop come questi, e con lo stesso metodo, ne feci numerosi. Li debbo, oltre che alla disponibilità e alla cortesia di quelle fonti, allo scrupolo raddoppiato ogni volta che mi rendevo conto di stare sul filo di una denuncia per violazione del segreto istruttorio. Infatti, alla fine ci fu chi perse la pazienza e protestò.””
– da pag.159. “”Un prisma e un enigma di nome Andreotti. Personaggio prismatico Andreotti, che sfugge alle definizioni ed è difficilmente incasellabile. Questa concretezza è stata sempre la virtù ma anche il limite di Andreotti. È, forse, anche a causa di un pragmatismo quasi ideologico legato allo spirito del tempo che Andreotti si è trovato da protagonista in gran parte degli snodi della politica italiana, fino a incarnare il paradosso di certe fasi storiche: l’uomo più a destra della Dc nel 1976 guidò un governo che si reggeva sull’astensione dei comunisti, e nel 1978 un governo che aveva i comunisti nella maggioranza o il paradosso – ma è poi veramente tale? – del politico più vicino al Vaticano (pure come abitazione!) ma anche con il senso dello Stato e della distinzione dell’autonomia della sfera religiosa e della sfera laica. A chi si gloriava di aver fatto l’Europa, ricordava che senza l’accordo di Maastricht del 1992 l’Europa non sarebbe neanche nata. Maastricht era il suo vanto e il suo orgoglio, e si era tanto adoprato da ministro e premier. Formidabile incassatore e tenace minimizzatore, secondo il modulo del manzoniano conte zio “troncare, sopire”, una volta si inalberò di fronte alla domanda:“Lei che è stato accusato praticamente di tutto, anche di aver scatenato le guerre puniche (avrebbe detto Scalfaro che amava questa espressione)…”. Ma Andreotti interruppe: “Eh, ora non esageriamo”. Fu uno scatto di insofferenza, uno scarto d’umore? Forse qualcosa di più, forse il segno che Andreotti non ci stava più al gioco antico di sentirsene dire di tutti i colori, di essere tirato in ballo in quasi tutti i misteri d’Italia: da Sindona, a Moro a Dalla Chiesa, alla P2, a Pecorelli. “Eh non esageriamo”. I processi – prima con l’accusa di mandante del delitto Pecorelli – poi quelli di Palermo per mafia – sono stati uno spartiacque nella vita di Andreotti, hanno mandato in frantumi l’immagine un po’ oleografica di un Andreotti tollerante che non querelava mai, che non aveva mai fatto una smentita. Anche questo fa parte della mitologia andreottiana.””
– da pag.165. “”I parlamentari e il latino, un rapporto… scivoloso. Concetto Marchesi, latinista sommo. (E ora si riaccende il ricordo leggendo questi nomi per gli amanti della cultura classica ed anche per noi, Liceali del Liceo Classico del vecchio ordinamento, quando in V Ginnasio per accedere al triennio del Liceo si sostenevano gli esami con cinque prove scritte oltre a quelle orali: tema di italiano, versione dal greco, due versioni latino italiano e italiano latino; lingua straniera, per me il francese). Un latinista principe il Parlamento italiano l’ha avuto: Concetto Marchesi, deputato alla Costituente, di origine siciliana, rettore dell’Università di Padova, un importante intellettuale comunista. Sua è la Storia della letteratura latina, considerata un classico fin da quando fu pubblicata nel 1927 e su cui si sono formate generazioni di studenti, insieme con un manuale di un altro latinista di eccelso livello, Ettore Paratore. Fece il giuramento al regime nel 1931, attirandosi, alla sua morte, un attacco del filosofo della scienza Ludovico Geymonat che ne ricordò il suo compromesso con il fascismo. “L’Unità” intervenne deplorando Geymonat e difendendo Marchesi. Alla Costituente non sempre si trovò d’accordo con Togliatti, per esempio uscì dall’aula quando si votò l’articolo 7, che costituzionalizzava i Patti Lateranensi. Così aveva deciso il segretario del Pci, in nome di una realpolitik, come gesto di attenzione verso le masse cattoliche, sperando di averne anche un po’ di voti. Restò disilluso un anno dopo, alle elezioni del ’48. Togliatti aveva stima altissima di Marchesi e fu lui a suggerire al Presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini una pausa di due settimane di tempo, prima di passare al voto finale sulla Carta costituzionale, per dare al latinista il tempo di una revisione finale del testo dal punto di vista linguistico, sintattico e stilistico. Eletto deputato nel ’48 e nel ’53, morì nel 1957: alla Camera il discorso di commemorazione fu tenuto da Togliatti.””
– da pag.216. “”L’etica del dovere e l’etica della responsabilità. Il mestiere del giornalista è sempre quello di dare le notizie. I problemi nascono quando questo rispetto comincia a venire meno, oppure quando c’è il tentativo dell’uno di strumentalizzare o usare l’altro. Quando, per fare qualche esempio, il parlamentare, il politico pretende di dettare lui il titolo di una notizia o, peggio, scegliere lui quello che andrebbe scritto e quello che andrebbe omesso. Capita anche che un segretario di partito, un ministro, pretenda di concordare preventivamente le domande di un’intervista. Un malvezzo che ha preso piede negli ultimi tempi. Ma già nella cosiddetta Prima Repubblica c’era qualche politico, per esempio Craxi, che diceva sì alle interviste ma chiedeva di avere le domande per iscritto. Tra l’altro questa modalità toglie vivacità e ritmo a quel dialettico “corpo a corpo”, godibile e perfino divertente, che può essere un’intervista. A meno che non si tratti di quelle che vengono definite “interviste in ginocchio”, che sono piuttosto atti di devozione e di culto del potente di turno. Più di un politico, chiacchierando con il giornalista, si lascia scappare delle notizie, e preoccupato avverte: “Sto parlando all’amico. Resti tra di noi. Parlo off the records”. Ma il giornalista, obietto, non è un commerciante di tessuti, è uno che va a caccia di notizie. Il problema comunque resta: cosa deve fare il giornalista se ha una notizia? Il giornalista deve seguire l’etica del dovere? (che è appunto quella di fare il suo mestiere di dare le informazioni) o l’etica della responsabilità, che lo potrebbe portare a valutare l’opportunità o meno di dare quella notizia e le conseguenze che possano scaturire? Spesso nelle tavole rotonde, nei corsi di giornalismo risuona questa domanda: come si deve comportare il giornalista? Secondo me, ci sono pochi dubbi: deve seguire l’etica del dovere. Il giornalista deve fare il suo mestiere: deve dare le notizie, vere, verificate.””
Sin qui parti del libro.
Non possiamo chiudere senza fare breve riferimento ad altro recentissimo libro di Mario Nanni, pubblicato a luglio: “Sulla giostra della memoria”, che va anch’esso letto.
L’Autore accompagna il lettore in un affascinante viaggio nel tempo, caratterizzato dall’armonia del movimento circolare della giostra della memoria, che sembra ricondurre ad un denominatore comune: persone, emozioni, situazioni, tradizioni, che attraversano ben sei generazioni.
”Questo libro – spiega – è una ‘festa della memoria’, più che di memorie. Voci di un passato, di generazioni, fatta di aneddoti, proverbi, motti sapienziali, ricordi scolastici, universitari, figure di maestri, voci del Parlamento”.
Insomma l’autore, attraverso la sua esperienza, cerca di dimostrare che la cosiddetta cultura popolare, quella dei nostri nonni (a cui tra gli altri il libro è dedicato), ha una sua nobiltà.
Ma Mario Nanni fa ancora di più, la rende viva.