Tematiche etico-sociali

Potere Occulto – di Stefania Limiti

Dal fascismo alle stragi di mafia la lunga storia criminale italiana

Roma, 12 marzo 2023 – Stefania Limiti è nata a Roma ed è laureata in Scienze politiche. Giornalista professionista, ha collaborato con varie testate. Si è dedicata negli ultimi anni alla ricostruzione di pezzi ancora oscuri della storia italiana attraverso la lettura delle sentenze giudiziarie e interviste ai protagonisti. Un lavoro di ricostruzione durato decenni.

Il libro in trattazione è “POTERE OCCULTO”, molto complesso di 781 pagine. Le prove della sotterranea opera di manipolazione esercitata sulle sorti della nostra fragile Repubblica da una struttura occulta e parallela nata in continuità con il fascismo. L’analisi del “doppio livello” del potere, sotto il controllo degli americani, che ha tenuto l’Italia sotto scacco da Piazza Fontana, l’Italicus, Brescia, l’uccisione di Aldo Moro, la P2, Gladio fino ai delitti eccellenti di Falcone e Borsellino. E poi le altre stragi di mafia, Tangentopoli e la grande crisi di sistema che all’inizio degli anni Novanta portò al tramonto della vecchia Repubblica. Un’indagine resa possibile in seguito all’emersione di testimonianze dirette, preziosi documenti rimasti a lungo sepolti negli archivi del Viminale, piste disperse nell’immensa mole di atti giudiziari riguardanti gli attentati e le stragi che per oltre mezzo secolo hanno insanguinato il paese. Chi furono i protagonisti di quel potere invisibile e violento che ha manipolato la storia e camuffato e coperto con “false bandiere” il reale corso degli avvenimenti? Tre libri, “L’Anello della Repubblica”, “Doppio livello”, “La strategia dell’inganno”, pubblicati tra il 2009 e il 2017, e ora raccolti in un unico volume con il raccordo di una nuova introduzione, rivelano protagonisti e trame sotterranee di quell’opera di destabilizzazione, mettendo a fuoco eventi accaduti tra il 1945 e il 1992 allo scopo di indagare la natura di quelle forze occulte che hanno agito dentro lo Stato democratico senza alcuna legittimità, ma intervenendo nei rapporti sostanziali, cioè orientando le scelte dei governi. Molto interessante il libro “L’Anello della Repubblica – La scoperta di un nuovo Servizio segreto. Dal Fascismo alle Brigate Rosse”

“”Questo libro – spiega l’autrice – è il frutto di un’inchiesta giornalistica. Ho messo insieme pezzo per pezzo un grande puzzle…””. “L’ Anello”, come ha scritto anche il professor De Lutiis nella prefazione, “ha alterato gli equilibri politici e avvelenato la democrazia. Mi auguro che da qui si possano scoprire tutti gli agganci politici avuti”. Illuminante, per quanto concerne il caso Kappler (nel capitolo ad hoc: “La fuga di Stato del nazista Kappler”; pagg. 145-174), la testimonianza di Giovanni Maria Pedroni, classe 1927, partigiano a Trieste, medico chirurgo di chiara fama: ”Sì, guardi, Adalberto Titta, il capo operativo, mi definiva il medico dell’ “Anello”… Poi, Stefania Limiti, in un’intervista all’ANSA, ha dichiarato: ”Tutto esatto… è così che sono andate le cose. La gente comune non lo sa quanti fatti sono accaduti in Italia, come sono effettivamente andate certe cose…”. Aggiunge, poi, che ”L’Anello fece fuggire Herbert Kappler, per superiori esigenze di Stato. Fu proprio lui a visitare, mentre tutta l’Italia lo cercava, l’ex Maggiore nazista in fuga all’interno di un istituto religioso annesso all’Ospedale dell’isola Tiberina di Roma, dove rimase alcuni giorni. L’ “Anello” era una struttura operativa che era riconosciuta ufficialmente dal Governo. Il Viminale sapeva tutto. Tanti politici sapevano. Con una struttura segreta si potevano ottenere certi risultati senza che nessuno si scottasse le mani: questo era il compito dell’Anello”. Il giornalista dell’Ansa pone poi a Giovanni Maria Pedroni la domanda sul fatto che “… molti indizi portavano a Giulio Andreotti, lei che ne dice?” ”Se Andreotti (ancora in vita all’uscita della prima edizione del libro) parlasse veramente della sua vita crollerebbero le mura di Gerico. Il servizio, diciamo, era stato fondato da un israeliano, Otimsky, una persona anziana che mandava avanti operativamente le cose ma era politicamente nelle mani di Giulio Andreotti”. La Limiti esplora l’ambiguo contesto della fuga di Kappler. C’è da precisare che i Servizi segreti ufficiali, il SID, non erano all’oscuro della vicenda. Infatti, si fa riferimento ad una telefonata tra l’Ammiraglio Mario Casardi (Capo del SID) e Ambrogio Viviani (responsabile in Baviera dello stesso Servizio) in cui si parla proprio di Kappler. Il Generale Viviani, nell’agosto del 1997, raccontò tutta la sua esperienza in un’intervista a “Il Giornale”, in cui aveva dichiarato che quella di Kappler non era stata una fuga, in quanto “i politici italiani avevano promesso ai Tedeschi di liberarlo…” Anche l’On. Lattanzio, Ministro della Difesa, nel 1986, nel corso di un’intervista su “Panorama”, fu molto pesante: “Sulla versione ufficiale ebbi forti sospetti. Ne parlai con l’Ammiraglio Casardi, allora Capo del SID. Anzi mi dissero che era meglio dimettermi. Non sono riuscito a capire se fu Moro, Andreotti o Forlani…” Infine, anche la moglie dell’Ufficiale nazista, nel 2007, all’età di 82 anni, è voluta tornare sui suoi passi, raccontando alcuni retroscena attraverso un’intervista a Franco Bucarelli del settimanale “Oggi” rivelando, tra l’altro, che”il Governo italiano aveva voluto garantire il ritorno in Germania del marito.” Quindi, una storia molto complicata, come tante altre della travagliata storia italiana.””

Prescindendo dal libro, una precisazione comunque va fatta da me: certamente il servizio di piantonamento a Kappler non fu all’altezza del compito da parte del Comando dell’Arma dei Carabinieri che gestiva la vigilanza. Al riguardo chi scrive si assume la responsabilità di sostenere che, Tenente territoriale presso la storica Compagnia Roma Trastevere, inviato dai superiori (i grandi Comandanti di Legione e Gruppo Giuseppe Siracusano e Giuseppe Richero) al Comando interinale della Compagnia Piazza Dante per licenza del Capitano titolare, con giurisdizione sull’ ospedale Militare del Celio, ad agosto 1975, dovette attivarsi per la fuga nottetempo di un detenuto militare per reati militari ma anche con precedenti comuni, e lì ricoverato.. A seguito di indagini cui concorremmo il soggetto venne catturato in Calabria. Nella circostanza riferisco che uno dei due militari preposti alla vigilanza notturna, fu due anni dopo coinvolto nella vicenda della fuga di Kappler. Proprio in quell’infernale 15 agosto, sono stato di turno alla Centrale Operativa legionale vivendo in diretta quei momenti. Continuiamo l’analisi della vicenda Kappler e nella circostanza va anche detto che l’Arma, quale istituzione fondamentale della Repubblica, mai e poi mai si sarebbe prestata a svolgere “in toto” operazioni sporche come il “Caso Kappler”, prerogativa di servizi deviati e pericolosi, manovrati dalla politica, purtroppo esistiti e, si spera, non più esistenti. Come è possibile che per molti decenni non ci sia stata alcuna notizia, nonostante le lunghe istruttorie e processi per le varie stragi, per Gladio e terrorismi vari, dell’esistenza dell’ “Anello” o “Noto servizio”, presenza che è emersa solo nel 1996, quando furono scoperti, in un deposito sulla via Appia a Roma, degli scatoloni pieni di documenti dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, che facevano riferimento ad una “struttura coperta”, alcuni anche riguardanti il caso Kappler?

Bene, Stefania Limiti, giornalista e studiosa, è partita proprio da lì per ricostruire la storia dell’ “Anello”, il servizio nato per volontà dell’ex Capo del Sim (Servizio Informazioni Militare dell’epoca fascista) Generale Roatta, coinvolto sia nella fuga di Kappler in trattazione, sia nella liberazione, grazie ad un accordo con la camorra, dell’Assessore democristiano Ciro Cirillo, sequestrato dalle Br nel 1981, sia infine nella trattativa del Vaticano con le Brigate Rosse per la liberazione di Aldo Moro. Adesso c’è ancora un importante cammino da compiere per rispondere a questa lettura del potere occulto in Italia. Una lettura che ci consenta di completare la storia politica del dopoguerra. Quanti politici italiani sapevano cosa stava accadendo e avrebbero avuto gli strumenti per intervenire e fermare la lunga sequenza di stragi e di uccisioni? Quanti e quali?

Ora leggiamo parti del libro.

– da pag. 180.””Nel caso Cirillo, dunque, quella di Titta non fu una presenza inattesa e fu lui a condurre tutta l’operazione che portò alla liberazione dell’assessore Dc, mettendo d’accordo le richieste delle Br, le pretese della camorra – senza la quale non ci sarebbe stato nessun tavolo di trattativa – e le esigenze del partito di maggioranza relativa che ne doveva uscire pulito. Dietro tutto, disse Cutolo rispondendo a una domanda del Procuratore Lepore, “c’era lo Stato”, che si era presentato nelle vesti dei servizi segreti. È proprio per coprire il contributo “speciale” di Titta che venne estromesso il Sisde: non gli subentrò il Sismi, ma l’Anello di Titta. Solo così, infatti, è comprensibile la gestione misteriosa della successiva missione del Sismi: perché tanta cura nel mascherare il ruolo del servizio militare? In fin dei conti, volevano salvare un uomo dalle istituzioni! I registri del carcere vennero falsificati: inutile cercare tracce dell’identità di coloro che parteciparono agli incontri con Cutolo. Fu negata una corretta informazione ai responsabili politici di allora: una condotta incomprensibile, se doveva soltanto servire ad attribuire tutta l’operazione al Sismi, dato che la sua entrata in scena non era affatto un vulnus per lo Stato. A meno che non ci fosse da coprire qualcos’altro, non solo il fatto che alcuni politici c’erano dentro fino al collo, avendo dato mandato di trattare con la criminalità, quanto piuttosto una presenza estranea come quella di Adalberto Titta, destinata sempre e comunque a mantenere il suo carattere invisibile. Durante l’audizione davanti alla Commissione sul terrorismo e le stragi, il Presidente Gualtieri chiese al colonnello Giuseppe Belmonti, funzionario del Sismi che si era recato in carcere da Cutolo insieme ad Adalberto Titta, e che, a suo dire, era sempre stato scettico sul buon esito della trattativa: “Lei era operativo sul campo?” “No” – rispose Belmonte – “l’operativo era Titta”. Ma Titta non era un effettivo del servizio: come era possibile che un esterno, notò il Presidente, avesse un ruolo così importante? Il capo del Sismi, Santovito, non ne sapeva nulla? Be’, bisogna chiederlo al generale Mei, lui riferiva aTitta. E infatti era Titta a stabilire quando andare a fare visita a don Rafè. “Era lui che telefonava a me – ammette ancora Belmonte di fronte agli inquirenti – poi veniva a Roma e poi di qui insieme partivamo per Ascoli. Mei mi disse di lasciarlo fare e di facilitarlo nella sua azione”. La grande sceneggiata delle trattative. “”Nel ripercorrere oggi quegli ottantanove giorni del sequestro Cirillo, sembra davvero che la realtà abbia superato di gran lunga la fantasia di qualsiasi scrittore di spy-story. Subito dopo la cattura del potente Dc, entrano in scena agenti segreti e camorristi, i palazzi di Roma tremano, il carcere di Ascoli Piceno, dove è rinchiuso il capo della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo, si trasforma in un via vai di spie, latitanti, il segretario del boss, il suo maggiore collaboratore non detenuto accompagna esponenti delle istituzioni che fanno la fila per essere ricevuti insieme ai loro portaborse, un’organizzazione di rivoluzionari tratta per far scomparire le prove della responsabilità politica e morale del suo prigioniero, e in cambio di soldi, accetta di tacere le malefatte di quello Stato che vuole colpire al cuore. E lo Stato, sfacciatamente, cerca subito la camorra, senza esitazioni e tentennamenti, le sospende lo status di organizzazione criminale per farla diventare l’interlocutore numero uno della trattativa per la liberazione di un suo rappresentante: perché a Napoli e in tutta la Campania – si diceva – non poteva accadere nulla senza il via libera di Cutolo, anche se, per la verità, le Brigate Rosse avevano dimostrato che non era proprio questa la realtà. Non mancò neanche la diffusione di falsi volantini firmati Br (un’altra similitudine con il caso Moro: nel ‘78 ci fu il falso comunicato numero 7, quello che riguardava il presunto ritrovamento del cadavere di Moro nel lago della Duchessa)””.

Ecco dove io sono citato nel libro. ””L’operazione denominata in codice “Vola”, spiega la Limiti, non fu opera di mitomani ma dei Servizi segreti: tre volantini (22 Febbraio, 10 e 24 luglio del 1981), furono recapitati dall’ex Capitano del Sisde Raffaele Vacca, suo malgrado “postino delle Br”. Erano stati fatti stampare dal Prefetto Parisi – come saltò fuori quattordici anni dopo in seguito alla confessione di un ex funzionario: una legittima operazione del servizio per scompaginare le Br? Non si è mai capito: per alcuni fu depistaggio””.

Ora va aperta una parentesi. Il Prefetto Parisi, pur sapendo che mi occupavo di terrorismo di ultradestra volle designarmi per fiducia all’operazione chiedendomi il nome di un solo collaboratore. Indicai il Luogotenente di Polizia Leonardo Di Ciolla già alla Squadra Mobile di Roma, con me in coppia operativa permanente e inseparabile. Ovviamente, essendo conosciuto a Roma, vestii una tonaca ecclesiastica, misi una barba finta, con basco in testa, guardato a distanza dal bravo di Ciolla vestito da meccanico. Tre telefonate da telefoni pubblici in Roma centro per indicare con voce diversa i siti dove si trovavano le buste con i volantini, peraltro da me non letti.

“”Racconta Cutolo che il Titta gli disse che “di Taliercio (Giuseppe Taliercio, Carrara, 8 agosto 1927 † Venezia, 5 luglio 1981, è stato un ingegnere e dirigente d’azienda italiano dello stabilimento petrolchimico della Montedison di Marghera, vittima delle Brigate Rosse e insignito postumo della Medaglia d’oro al valor civile) non gliene fregava niente, voleva solo indietro Cirillo”. Non sappiamo se fu ancora Titta ad offrire alle Br anche la rivelazione del luogo segreto in cui era custodito il pentito Patrizio Peci – particolare agghiacciante, visto che il fratello era già nelle loro mani – ma, a questo punto, l’ipotesi non è affatto remota. Era stato proprio Titta, dopo l’iniziale brevissima gestione della trattativa con Cutolo da parte del Sisde, a entrare in gioco e a “rilanciare”. Come dichiarò Cutolo: “Sì, quel Titta. Non ho mai capito se era un generale o un colonnello.””

Sin qui il libro.

Il lavoro in quegli anni nei Servizi era un lavoro di strada non in ufficio con telecamere e alta tecnologia da scrivania come oggi. Altro episodio che mi coinvolse grazie al beneplacito del grande Prefetto Parisi e del mio Capocentro, il Questore Mario Fabbri, è il seguente. Racconto solo per illustrare come si lavorava in quegli anni molto difficili… Faccio riferimento a Giacomo Maria Ugolini, da me conosciuto bene a fine degli anni ’70, quando era Plenipotenziario in Italia del “Patriarcato Greco Melchita Cattolico di Antiochia e di tutto l’Oriente, d’Alessandria e di Gerusalemme“, ovviamente frequentato per motivi istituzionali (diciamo, di carattere squisitamente informativo!!) e limitatamente a quel periodo. Monitorando, all’epoca, l’Aeroporto di Fiumicino, d’intesa con la Polaria, per controllare il flusso di quanti partivano o arrivavano dal vicino Oriente, e in particolar modo dal Libano e dalla Siria (nel Libano, ricordo, dal 1975, c’era stata la guerra civile, e nei campi militari dei Cristiano Maroniti, da quello che risultava, si addestravano giovani della Destra estrema italiana, colorata di eversione, come certamente aveva fatto il terrorista NAR Walter Sordi), constatammo che l’Ugolini, con doppia cittadinanza, Roma e Gerusalemme, era spesso in viaggio. Aveva un tenore di vita elevatissimo, con sontuosa villa all’EUR, con frequentazioni di primissimo piano, sia nel settore politico, istituzionale, affaristico e religioso. Verificato, così, dopo qualche tempo, che il filone iniziale d’indagine non consentiva l’acquisizione di spunti di interesse, su terroristi nostrani che andavano ad addestrarsi in Libano, bensì si evidenziava quello più remunerativo da un punto di vista informativo ad ampio spettro, assicurato da un’ eventuale forma di collaborazione con il personaggio, soprattutto su questioni riguardanti le delicatissime problematiche del Medio Oriente, decisi, d’intesa con i Dirigenti, che sarebbe stato più utile parlarci. Quindi, per avvicinarlo, d’intesa con il mio Capocentro l’ottimo Vice Questore Mario Fabbri, mi avvalsi di un esperto, capace e fidatissimo, attesa la delicatezza dell’operazione, un Maresciallo dei CC., già nei Servizi, quelli veri! Il Maresciallo Maggiore CC. Bruno Filippone, che, con parole appropriate, stabilì il contatto. Ciò fu per me e per l’Ufficio di appartenenza, particolarmente proficuo, sia perchè ci pose in condizione di conoscere personalmente un mondo davvero straordinario, sia per i contenuti delle informazioni nel tempo acquisite (in quattro anni) alle quali l’interlocutore sembrò molto interessato… Pensare, che avemmo la ventura di conoscere il Patriarca d’Oriente, Sua Beatitudine Massimo V, come altri illustri Alti Prelati, quali Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Abou MooK, Arcivescovo Vicario Generale Patriarcale e S.E.R. Mons. Edelbhj , Vescovo di Aleppo di Siria, ed altri ancora, durante la loro permanenza in Italia, ospiti dell’Ugolini che, come riferito, in quegli anni, era Referendario Patriarcale. Al riguardo, si pensi, che Monsignor Hilarion Capucci (classe 1922), Arcivescovo, Vicario Generale Patriarcale Melchita di Gerusalemme, che venne arrestato il 18 settembre 1974 perchè, perquisito dal controllo israeliano alla frontiera, nel portabagagli della sua Mercedes vennero rinvenuti dinamite, mitra, granate e munizioni varie destinate ai terroristi di Al Fatah per attentati contro i civili in Israele. Certamente, quello non era il primo trasporto di armi dell’ alto Prelato che, come tutti gli esponenti religiosi, godeva in Israele di una immunità diplomatica. Arrestato, venne processato nel dicembre ’74 e condannato a 12 anni di reclusione. Tre anni dopo, il 31 ottobre 1977, Papa Paolo VI chiese con una lettera al Presidente dello Stato di Israele, Katzir, di far uso delle sue prerogative e di far liberare Mons. Capucci, date le sue condizioni di salute. Il 4 novembre 1977, il Presidente Katzir risponde al Papa accogliendo la domanda. Il 6 novembre 1977, il Presule venne liberato e giunse a Roma. Negli accordi diplomatici che si presero a Roma, Israele pose due condizioni precise che la S. Sede accettò, e cioè che Mons. Capucci non tornasse più nel Medio Oriente e che si astenesse da ogni attività politica. Altro campo in cui i Vescovi Orientali erano, all’epoca, impegnati, era quello delle intermediazioni tra Stati su problematiche rilevanti, ovviamente molto ben remunerate, quali l’”Internazionalizzazione di Gerusalemme”, il “Gasdotto” di Malta, con contatti intrattenuti direttamente con il Presidente Don Mintoff, etc.

Bene, tornando alla nostra storia, va riferito che Giacomo Maria Ugolini, negli anni successivi, crebbe in prerogative e importanza… Si è scoperto, ancora, che era diventato addirittura il Capo della Massoneria di San Marino (noto paradiso fiscale!!) dove, con la sua morte, avvenuta il 5 gennaio 2006, ha lasciato un gran vuoto nella piccola Repubblica del Titano, dove era ritenuto una delle personalità più importanti e influenti, proprio in virtù delle sue funzioni di “Ambasciatore Itinerante della Repubblica del Titano per il Medio Oriente”.

Bene!; in relazione alle vicende del famoso Cristo ligneo, devo dire che ho avuto personalmente il privilegio di vederlo in tempi non sospetti. Infatti, sarà stato il 1980, nella Casa-Reggia di Ugolini, ebbi modo di ammirarlo, deposto su un divano, avvolto in un drappo di velluto rosso. Alla mia ovvia domanda sull’origine di quella bella scultura, il padrone di casa, non dissimulando una certa soddisfazione, rispose trattarsi, semplicemente, di opera del… sommo “Michelangelo”…, non aggiungendo altro. Passato a miglior vita, Ugolini ha devoluto i suoi immobili e una serie importante di opere d’arte, compreso “Il Cristo” di Michelangelo, a una Fondazione gestita dal suo segretario, il prima citato Angelo Boccardelli.

Continuando, il 22 dicembre del 2009, quando i Carabinieri del Ros entrarono nella sede della “Fondazione Giacomo Maria Ugolini, Ambasciatore”, nel lussuoso albergo “Villa Vecchia” di Monte Porzio Catone, sui Castelli Romani, arrestarono Cosimo Di Virgilio, legato, per i Magistrati dell’Antimafia, alle cosche della Piana di Gioia Tauro. Scattarono le manette anche per Angelo Boccardelli, mentre Giorgio Hugo Balestrieri si rese irreperibile, rimanendo senza molti problemi Presidente del Rotary Club di New York. Per tutti, l’accusa fu pesante, cioè “Associazione per delinquere di stampo mafioso” (art. 416 bis CP), in piena sinergia con la ’Ndrangheta. Per la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, la Fondazione era uno dei terminali imprenditoriali della ‘Ndrina dei Molé di Gioia Tauro. E, tra l’altro, facilitava il riciclaggio dei soldi arrivati dall’importazione clandestina di merce cinese nel porto calabrese. Tra i beni che i Carabinieri sequestrarono nella sede della Fondazione non c’era, però, la statuetta del Cristo. Al riguardo, il Pubblico Ministero della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, confermò ai giornali che anche la Giustizia si era messa alla caccia del Crocefisso…

Concludendo, ci tengo a ricordare che dopo il quadriennio all’ antiterrorismo del Ministero dell’Interno tornai per mia personale decisione ad operare nell’Arma territoriale venendo destinato al Comando della Compagnia di Napoli Stella nel pieno centro della camorra. (Questo articolo su Attualità.it, Direttore Salvatore Veltri, fa la sintesi di quel triste e difficile periodo https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/mafie-storia-della-criminalita-organizzata-la-camorra-58239/).

Ora s’impone una riflessione; riflessione che espongo nei miei scritti.

Vero, vengono arrestati centinaia di mafiosi delle varie aree d’Italia, e subito nascono nuovi capi e nuove bande… Quindi, non è sufficiente l’arma della repressione, arma necessaria ma non bastevole; non ne usciremo se le situazioni economiche, la scuola, la società intera e la morale restano “aperte” alla riproduzione della mala pianta!

Un Nuovo Umanesimo, quindi, è necessario… Un problema che investa tutti, ma soprattutto la politica, quella vera e nobile, quella scritta con la P maiuscola! Una Politica che significhi servire gli altri con senso dello Stato, spirito di servizio, lealtà verso le Istituzioni. Non certamente la politica degli ultimi 30 anni… sino ad oggi!!

Concludendo, diciamo che siamo rammaricati e delusi, certamente sì, come preoccupati, soprattutto per figli e nipoti; meravigliati forse un po’ meno, in quanto ben conosciamo i limiti di una politica corrotta e corruttibile che nulla ha fatto per i cittadini da alcuni decenni. Però, vinti e sconfitti, giammai, perché pronti a contribuire, con la forza delle idee e gli ideali di libertà, democrazia e giustizia alla costruzione di uno Stato etico in un’Italia migliore!

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