Moses, l’imbattibile.
Trentacinque anni fa alle Olimpiadi di Seul l'ultima gara di una leggenda dell'atletica.
Roma, 25 settembre 2023.
Le date spesso possono sembrare fredde, puramente statistiche, quando invece rappresentano, in alcune circostanze, dei veri spartiacque consegnate alla storia.
Lo Sport ci presenta, da questo punto di vista, dei riferimenti fantastici come il periodo che va dal 26 agosto 1977 al 4 giugno 1987, esattamente 9 anni, 9 mesi e 9 giorni.
In questo periodo Edward Corley “Edwin” Moses, americano dell’Ohio, è imbattuto per ben 122 gare consecutive, in atletica leggera, nella specialità dei 400 ostacoli.
Proprio la sera del 26 agosto 1977 a Berlino Ovest, dopo la sconfitta subita ad opera del tedesco Harald Schmid, dichiara: <Ho commesso un errore. Prometto che non ripeterò>.
L’errore è un inciampo all’ultima barriera quando perde terreno e spiana la strada alla vittoria di Schmid.
Moses ha appena 22 anni e l’anno prima conquista la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Montreal nella sua specialità, battendo il record del mondo del leggendario ugandese Akii Bua (che abbiamo ricordato lo scorso 2 settembre 2022 su queste colonne).
Tuttavia la dichiarazione appena rilasciata sembra più una spacconata a giustificare l’insuccesso nel meeting di Berlino Ovest.
Invece Moses inizia un percorso tra i più fulgidi in una disciplina brutale, il famoso giro della morte per di più complicato dalla presenza degli ostacoli.
Dieci ostacoli, alti poco meno di un metro, dislocati sull’intera pista, che gli atleti nella normalità affrontano correndo in 15 passi tra una barriera e l’altra affrontando gli ultimi 40 metri in piena velocità, prima del traguardo.
Una specialità bastarda con l’acido lattico che si forma nei muscoli e ti entra nel cervello già dal settimo ostacolo, con conseguenti problemi d’equilibrio e come diceva il rag. Fantozzi con la salivazione azzerata…
Moses, ingegnere aerospaziale, riesce a correre la distanza in 13 passi, tra un ostacolo e l’altro, frutto di una preparazione meticolosa che svolge da solo in continuo aggiornamento.
E’ appassionato di tecnica e di biomeccanica, studia al meglio come sfruttare il suo fisico e le sue lunghissime gambe.
Durante la sua carriera ha il rammarico della non partecipazione ai giochi di Mosca nel 1980, per il boicottaggio statunitense verso il regime sovietico che ha invaso l’Afghanistan, in mezzo ai due trionfi di Montreal nel 1976 e Los Angeles nel 1984.
Si fa paladino degli interessi degli atleti di colore che in quel periodo sono costretti a rinunciare a contratti di sponsorizzazioni, già fortemente orientati verso atleti bianchi.
Fonda anche un sindacato per aiutare gli atleti a mantenersi e a gareggiare dopo il college, contestualmente ad un impegno sempre più massiccio nella lotta al doping.
Il suo carisma gli consente di accusare la maggior parte dei tecnici Usa di scarsa professionalità, presunzione, poca voglia di aggiornarsi e in alcuni casi di affidarsi alla scorciatoia di pratiche proibite.
Moses, intelligente, pacato, deciso, si affranca dalla diceria che gli atleti neri sono incapaci di gestirsi.
Anche la sera del 4 giugno 1987, in un’afosa Madrid, quando perde da Harris commette lo stesso errore sull’ultima barriera fermando il suo incredibile record a 122 gare d’imbattibilità.
Poco male perché in settembre a Roma conquista il suo secondo Mondiale, bissando Helsinki del 1983.
E’ l’ultimo squillo d’oro, perché l’anno dopo alle Olimpiadi di Seul conquista il bronzo.
A 33 anni e con qualche acciacco chiude con l’atletica ma non con lo sport perché si cimenta nel bob, portando in dote le sue formidabili doti di spinta in velocità, sfiorando la convocazione per l’Olimpiade invernale di Albertville del 1992.
Moses con i suoi 13 passi e le sue 122 gare d’imbattibilità stabilisce uno dei domini più longevi, in assoluto nella storia dello sport.
Da manager sportivo ribadirà a più riprese:< Nessuno corre veloce senza un impegno massimale negli allenamenti>.