Nereo Rocco, “El Paron”.
Ricordo di uno straordinario personaggio del mondo del calcio.
Roma, 20 febbraio 2024
Nel variegato mondo del calcio manca terribilmente da quarantacinque anni, oggi la ricorrenza, uno dei personaggi più carismatici della storia del calcio: Nereo Rocco, “El Paròn”.
Non ho circoscritto il personaggio ai nostri confini perché Rocco, oltre che per i successi internazionali, è stata una figura di altissimo spessore mondiale.
Un uomo d’altri tempi che oggi farebbe una fatica del diavolo a rapportarsi con il calcio moderno, dotato di estremo buon senso oltre che di sapienza tecnica.
Triestino verace, i suoi inizi da calciatore ed i suoi successi da tecnico partono dalle sue radici provinciali fortificate dall’esperienza con il Padova che portò a risultati memorabili nella seconda metà degli anni cinquanta.
I biancoscudati lottano alla pari con i soliti squadroni del nord, con punte di diamante come lo svedese Hamrin ed il centrattacco Brighenti, proponendo il metodo di gioco a “catenaccio”.
E’ un marchio con il quale Rocco convivrà per quasi tutta la carriera, a volte anche etichettato malignamente come “catenacciaro”, ma alla fine fu copiato e ripreso da molti.
<Solo noi femo el catenacio, i altri fa calcio prudente>, ripeteva spesso col suo parlare in un misto fra dialetto triestino ed italiano.
Faceva più fatica ad esprimersi nelle varie interviste radio-televisive che ad allenare.
Il suo era un rapporto schietto, pulito, con i suoi giocatori ai quali non inondava la testa con cervellotici schemi convinto che il calcio fosse più semplice di quello che si volesse far credere.
Primo allenatore a far vincere la Coppa dei Campioni con il Milan nel 1963, bissata poi nel 1969, con protagonista il non ancora ventenne Gianni Rivera.
Quando Rocco lo vide la prima volta nel 1958, nell’incontro Padova-Alessandria, Rivera aveva appena 15 anni e giocava con i piemontesi.
“El Paròn” a fine gara sentenziò: <Meio de lui g’ho visto giocar solo Meazza>.
Rocco, sin dai tempi del Padova, amava giocare con calciatori fisici e dotati di una certa esperienza e curava molto i rapporti di spogliatoio incentivando la frequentazione degli stessi atleti tra loro con il coinvolgimento delle rispettive famiglie.
Fa sorridere riflettere sul connotato di Rocco “catenacciaro” quando nel Milan di fine anni sessanta giocava contemporaneamente con Hamrin, Sormani e Prati in attacco, con Rivera rifinitore.
Oggi si farebbero trasmissioni sulla mancanza di equilibrio, non vedendo più, o quasi, giocare formazioni con due attaccanti.
Il segreto era avere un centrocampo di lotta, Trapattoni e Lodetti su tutti, ed una difesa di ferro con gente come Rosato, Anquilletti, Schnellinger con in porta il “Ragno nero”, al secolo Fabio Cudicini.
La simpatia e la bonomia di Rocco lo hanno reso celebre anche per alcuni detti passati alla storia.
Davanti ad un pronostico quasi proibitivo gli chiesero: “Mister che vinca il migliore” e lui di rimando: “sperem de no…”.
Nel caricare ulteriormente qualche giocatore in vista di una marcatura particolare: “non preoccuparti spazza e calcia tutto ciò che è rasoterra, se ci fosse la palla va bene lo stesso”.
Nereo Rocco, da allenatore pluridecorato, ha praticato un calcio pane e salame e se n’è andato, seppur ancora giovane, poco prima della massiccia trasformazione di uno sport che, come detto, avrebbe faticato a frequentare.