Racconti di sport. La vittoria di “Madiba”
Quando gli Springbocks, grazie al rugby, unificarono il Sudafrica.
Roma, 27 giugno – Nel giugno 1995, il Sudafrica vinse il Mondiale di rugby che aveva organizzato e giocato in casa.
Ma quel giorno, più che per il trofeo conquistato, è passato alla storia perché sancì definitivamente il definitivo addio all’apartheid e la riappacificazione nazionale. Tutto grazie allo sport, che spesso riesce laddove la politica fallisce: stimolare il buon senso della gente e il suo spirito nazionale per unire le forze e raggiungere il bene comune.
Ma oltre alla bellezza dello sport e alla ricerca del successo sugli “odiati” avversari di sempre, i neozelandesi degli “All Blacks”, nel popolo sudafricano, bianco e nero, questi sentimenti furono stimolati anche dall’immensità della figura di Nelson Mandela, fresco presidente della nazione sudafricana dopo la fine di quella segregazione razziale che lo aveva tenuto in una prigione di 2 metri per 2,5 per 27, lunghi, anni, di cui 18 in isolamento. Lui, quel giorno, ebbe la grande intuizione di presentarsi sul prato dell’Ellis Park di Johannesburg indossando la maglietta verde degli “Springbocks” e il cappellino della sua nazionale che gli erano stati donati alla vigilia del match dal capitano Pienaar, che fino ad un anno prima era il simbolo di quella comunità bianca sudafricana che aveva detenuto il potere del paese segregando i neri e che si identificava in tutto e per tutto con la “sua” nazionale di rugby.
Una squadra che, da quel giorno di venti anni fa, diventò, al contrario, quella di tutto un popolo, come ha magistralmente raccontato anni dopo Clint Eastwood nel suo bellissimo film “Invictus”.