Spettacolo

L’oro di Napoli.

Capolavoro della coppia De Sica-Zavattini.

Roma, 3 dicembre 2024.

 

Compie settant’anni, oggi, uno dei capolavori della cinematografia italiana: L’oro di Napoli.

Tratto dalla raccolta omonima di Giuseppe Marotta, che collabora alla sceneggiatura insieme a Cesare Zavattini unitamente a Vittorio De Sica, regista, la pellicola è un’amabile serie di acuti bozzetti.

Uno spaccato della Napoli del dopoguerra attraverso storie e personaggi tipici del luogo, con le loro debolezze e le loro virtù.

Sei episodi: “Il guappo, Pizze a credito, Il funeralino, I giocatori, Teresa, Il professore”.

Il periodo non è proprio coincidente ma a buon diritto i padri del neorealismo, De Sica e Zavattini, cominciano ad entrare nel grande filone della commedia all’italiana.

A distanza di decenni il film conserva un alto livello di lettura di una città dai diversi contesti sociali, che trasuda una vitalità non comune.

La differenza con il cinema neorealistico è nei protagonisti, interpreti tutti di primissimo piano, come Totò ne Il guappo, Sophia Loren in Pizze a credito, Vittorio De Sica ne I giocatori, Silvana Mangano in Teresa, Eduardo De Filippo ne Il professore.

Unica eccezione ne Il funeralino, con attori sconosciuti.

Alte vette di recitazione sono raggiunte da Totò, impareggiabile anche in un ruolo triste, e da Silvana Mangano, che mette da parte l’orgoglio personale pur di non rimanere sola e costretta alla vita precedente.

Lo stesso De Sica, che interpreta la parte di un nobile soffocato da una moglie ossessiva che lo ha fatto interdire a causa del suo vizio del gioco, e un grande Paolo Stoppa che contrasta, nell’episodio Pizze a credito, una prorompente Sophia Loren che nasconde al tremebondo marito la tresca con il suo amante.

Dulcis in fundo il famoso corto con Eduardo De Filippo, dispensatore di consigli a buon mercato, che insegna ad una piccola comunità di un rione di Napoli a reagire ad una condizione di malessere esistenziale con l’uso di un “pernacchio”.

Un’ultima chiosa relativa al personaggio di De Sica che, come regista, in un primo momento aveva pensato ad una figura di alto lignaggio come il noto penalista napoletano Alfredo Jelardi.

Costui però non ne volle sapere di prestare la sua figura per il ruolo del giocatore incallito, perdente e umiliato da un bambino di dieci anni.

Quindi De Sica diresse se stesso, tra l’altro ribadendo il comportamento di un vizioso del gioco che gli era proprio nella vita normale.

I protagonisti di queste storie riescono a compiere delle scelte di valore o di sopravvivenza e per questo Vittorio De Sica definisce tale mondo come “Oro”.

 

 

FOTO:  Coming Soon  L’oro di Napoli  1954    

 

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