Racconti di sport: “Ancora su Pantani”
Roma, 24 marzo – Vi confesso che prima di scrivere questo pezzo c’ho pensato e ripensato, perché nello sport come nella vita i “se” ed i “ma” lasciano sempre il tempo che trovano.
La vicenda a cui alludo è la storia di Marco Pantani, ma non la storia delle sue gesta bensì il racconto della sua fine che non è proprio un racconto di sport.
Capisco le esigenze giornalistiche che in questo caso trovano un doppio legame tra un grande personaggio sportivo e le sue vicissitudini giudiziarie col tragico ed inaspettato epilogo.
Tuttavia credo che debba esserci un comune senso del pudore e del rispetto per chi è scomparso da dodici anni, in special modo nei confronti dei genitori che ogni giorno rinnovano lo strazio del figlio prematuramente scomparso.
Dal punto di vista di mamma Tonina e papà Paolo è giusto che si vada alla ricerca della verità assoluta senza se e senza ma, però fuori dai riflettori mediatici, in silenzio, perché un genitore che perde un figlio è qualcosa di aberrante.
Posso capire se tutta questa vicenda avesse riguardato Pantani alle prese, da vivo, con la “prova” della sua innocenza, in relazione ai fatti del famoso doping di Madonna di Campiglio, perché in quel caso anche un lungo periodo temporale può giustificare comunque il conseguimento della verità; senza essere blasfemo un po’ quello che successe col “caso Tortora”.
Marco Pantani è stato un’atleta, un personaggio straordinario che ha ri-avvicinato la gente al fascino del ciclismo. E’ probabile che non tutto abbia funzionato al meglio nell’ambito della sua “corte” perché se oggi si fanno ammissioni esplicite di ingerenze camorristiche è chiaro che qualcosa ci sia stato.
Molto più prosaicamente credo che un errore Pantani lo abbia commesso proprio all’indomani dell’esame alterato di ematocrito che lo escluse da un Giro d’Italia, quello del 1999, già vinto.
Esattamente trent’anni prima fu “beccato” in una insignificante tappa di pianura Eddy Mercks per positività ad un anfetaminico e, grande clamore, fu escluso dal Giro con la maglia rosa addosso; in attesa delle contro-analisi il belga venne sospeso per una mesata ed avrebbe così perso la possibilità di andare al Tour. La mediazione dell’allora presidente UCI Adriano Rodoni, in virtù anche di un successivo controllo personale fatto dal belga che risultò negativo, ridusse la sospensione ed “il cannibale” corse e stravinse il primo dei suoi cinque Tour.
Ho sempre creduto che la stessa cosa poteva farla Pantani perché c’erano tutti gli ingredienti per disconoscere quell’esame di ematocrito a 50,1, limite da non superare 50!, con tutte le riserve tecniche relative alle provette utilizzate che successivamente le indagini hanno dimostrato non consone.
Quel livello di superamento dell’ematocrito non era “doping” e Pantani, opportunamente sostenuto, avrebbe potuto ottenere gli stessi diritti che tutelarono Mercks trent’anni prima, visto il personaggio e visto anche il comportamento dell’anno prima al Tour del ’98 quando nell’affaire Festina il “pirata” si fece portavoce delle istanze di tutto il gruppo garantendo il regolare svolgimento della corsa, devastata dallo scandalo doping della squadra francese.
Ripeto è un mio personalissimo convincimento, una singolare coincidenza che però ha marcato le debolezze e le fragilità caratteriali di un uomo, a dispetto dei sacrifici e dei trionfi avuti con la bici, paragonato alla feroce risolutezza di Mercks.
In questi giorni sulla Gazzetta dello Sport, per i 120 anni della stessa, ci saranno le votazioni per la leggenda delle leggende e chissà che il “Pirata” non trovi una certa, giusta …collocazione!