Tematiche etico-sociali

L’Impero Romano distrutto dagli immigrati

Impero romano distrutto copertinaRoma, 14 luglio – In edicola nei giorni scorsi con il quotidiano “Il Giornale” un libretto molto interessante dal titolo: “L’impero romano distrutto dagli immigrati”, a soli € 2.50. L’autore, il Prof. Giuseppe Valditara, insigne romanista dell’ Università di Torino, scrive che l’orgoglio della propria civiltà fu la ragione del successo di Roma.

L’argomento si inserisce molto bene nell’attuale questione dell’immigrazione-invasione di stranieri che sta divenendo una delle più urgenti da affrontare per tutti gli Stati d’Europa. L’ informazione dominante declama che chi è a favore dell’ immigrazione è buono; chi è contrario è cattivo.

Un luogo comune, un pregiudizio? Gli Italiani non sono certamente razzisti. Lo abbiamo sentito dire molto spesso. Negli ultimi anni non sembra più così Questi i dati: 57 casi nel 2010; 475 nel 2013; 596 nel 2014. Sono i casi di crimini d’odio in Italia, secondo i dati diffusi da Odihr (Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani) nei suoi dossier più recenti. Dei 596 reati del 2014, 413 hanno avuto un movente razzista, 153 religioso, 27 legato all’orientamento sessuale, 3 alla disabilità.

Tra il settembre 2010 e il novembre 2014 l’OSCAD (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, organismo interforze tra Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri) ha ricevuto 1.187 segnalazioni, delle quali 583 sono state riconosciute come reati di odio. Tra questi, il 61.4% ha avuto una matrice razzista e il 19.8%  religiosa.

Secondo il Rapporto Ecri 2016, le statistiche della Polizia Giudiziaria riportano un totale di 123 indagini aperte nel 2012, e di 130 nel 2013, riferite alle violazioni della Legge.

Dal 2006 al 2013 l’Unar ha preso in carico oltre 3.000 casi di discriminazione a sfondo razzista, etnico e religioso. Dai 143 casi del 2006 si è passati ai 763 del 2013 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili).

“Lunaria”, attraverso il suo lavoro quotidiano disponibile on line suwww.cronachediordinariorazzismo.org, ha registrato tra l’1 gennaio 2007 e il 30 giugno 2016,  5.369 casi di discriminazioni, discorsi, propaganda, offese, danni alle proprietà, violenze fisiche e omicidi di matrice razzista.

Lasciando le questioni dell’oggi, tornando a quanto scrive Valditara, apprendiamo che nell’antica Roma come cittadini diventavano anche gli schiavi liberati, sulla base di una semplice e autonoma decisione del loro padrone, il pater familias. Con la “manumissione” dello schiavo anche un sannita, un greco o un celta poteva diventare romano. Alla base dell’istituto della “manumissione” vi era l’intento di premiare quegli schiavi che avessero tenuto un comportamento meritorio. La finalità dell’acquisizione della cittadinanza stava nel fatto di arricchire la comunità di persone degne di farne parte. Una delle prime istituzioni create da Romolo e confermate da Servio Tullio sarebbe stata proprio l’asilo, ovvero il diritto di rifugiarsi in un certo luogo, fuori dalla propria patria di origine, e chiedere protezione. Sbandati e perseguitati venivano accolti a Roma rifugiandosi  sull’Aventino.  Qui  sorgeva  un  grande santuario per ospitarli. A differenza dei Greci, che per troppo orgoglio non erano capaci di tanta apertura, il modello romano dell’integrazione aveva successo ed era la base del suo progressivo dominio del mondo. Alla tendenza  degli Orientali a concepire lo straniero vinto come un suddito di ceto inferiore, si contrapponeva la tendenza romana  all’integrazione. La specificità romana, che presupponeva l’assorbimento per arrivare all’integrazione, comportava spesso la gradualità dell’accoglimento di comunità straniere nell’ ambito cittadino. Prima dovevano assorbire i valori di Roma, possibilmente attraverso un sistema di alleanze che inglobava i socii nell’orbe romano. L’accoglienza di chi possa contribuire al benessere  della comunità veniva vissuta  dai Romani come un principio di saggezza tipicamente nazionale. Estranea a Roma fu sempre, come si è detto, l’idea razziale. Se Seneca giudicava con disprezzo  i costumi di barbari come Celti o Germani, Tacito, per converso, li esaltava, ma in entrambi i casi si trattava di un giudizio sullo sviluppo culturale, non sulla biologia. Il discorso dell’imperatore Claudio per concedere ai maggiorenti della Gallia la cittadinanza romana era esemplare: «I Galli si sono assimilati a noi nei costumi, nelle arti, nei vincoli di sangue». Proprio Claudio sottolineava come Roma toccò l’apice della sua potenza quando vennero aggregati i Celti transpadani e quando, con il pretesto di fondare colonie, venne risollevato l’impero romano ormai indebolito, assimilando i migliori elementi provinciali. Roma raramente distruggeva le comunità nemiche: per infierire sui vinti doveva trattarsi di recidivi o di pericoli gravi per la sicurezza della Res Publica; normalmente li integrava. Ancora una volta per un principio di saggezza politica. Roma, alla fine della repubblica, si era riempita non solo di immigrati che arrivavano da ogni parte dell’impero, ma anche di schiavi “manumessi”.

Se Roma non fu mai razzista, accogliendo chiunque, senza distinzione del colore della pelle, ebbe tuttavia sempre ben chiara la superiorità della propria cultura nei confronti di quelle barbariche. La politica di estensione della cittadinanza e di inclusione raggiunge il suo apogeo nel 212 d.C.

In quell’anno accade un fatto destinato a segnare il corso della storia: l’emanazione dell’editto di Caracalla. Da quel momento coloro che vivevano entro i confini dell’impero diventarono cittadini. Milioni di Egiziani o di Germani diventarono cittadini di Roma. Non proprio tutti, però. L’impero era troppo vasto e troppo costosa la sua difesa. In assenza di mezzi che consentissero rapidi spostamenti, muovere truppe da una parte all’altra dell’impero Roma rischiava di scoprire i confini. Quando nel 405/406 Stilicone si trovò ad affrontare il goto Radagaiso dovette chiamare una parte dell’esercito stanziato in Gallia e ciò facilitò l’invasione di Vandali, Alani, Svevi che dilagarono in Francia fino ad insediarsi in Spagna e Portogallo, creando enclavi autonome.

Ma un contributo importante alla disgregazione dell’impero venne dato da un atto di debolezza verso i migranti che si ammassavano ai confini dell’impero e da un cambiamento della politica romana sull’immigrazione.

Nel 376 d.C. si presentò sulle rive del Danubio un grosso gruppo di profughi Goti in cerca di asilo. Per calcoli di corto respiro, l’imperatore Valente non solo permise loro di entrare entro i confini dell’impero senza prima averli sottomessi, caso del tutto eccezionale nella politica estera romana, ma arrivò addirittura a promettere loro cibo e terre da coltivare. La penuria dei viveri e la scarsità di terre per così tante genti spinse alla ribellione: entro due anni i Goti vinsero e uccisero lo stesso imperatore Valente nella battaglia di Adrianopoli. Era l’anno 378. Negli anni successivi i Goti, senza incontrare una resistenza decisiva da parte delle truppe imperiali, devastarono la Tracia, quindi si spostarono nell’Illirico, dilagarono nella Mesia. Finalmente vennero respinti dalle truppe imperiali in Tracia e lì si firmò un trattato di pace che fu la causa dei disastri futuri. Ai Goti, per la prima volta nella storia di Roma, fu consentito di vivere all’interno dell’impero senza sottomettersi, rimanendo un’entità autonoma, con proprie leggi, proprie tradizioni, un’autonoma politica «pro o contro lo stato romano».

Sin qui il Prof. Valditara.

Noi aggiungiamo, in breve, ricordando la storia, che al disfacimento della grande Roma imperiale conseguì la grandezza della Roma cristiana guidata dai Pontefici e il suo nuovo Sacro Romano Impero con l’incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale dell’ anno Ottocento (d.C.).

Una rinascita così, in questa epoca, dobbiamo dirlo con franchezza, sarebbe molto difficile per mancanza di quadri politici internazionali  forti, preparati, con ideali ferrei e nobili.

 

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