La scoperta consentirà di comprendere le interazioni sociali e le patologie che comportano un’alterazione della capacità di interazione, come per esempio l’autismo.
Genova e Torino, 25 giugno 2014 – Un uomo è in piedi sul marciapiede e solleva la mano destra. Semplicemente guardando quell’uomo, senza altri indizi, saremmo in grado di capire cosa intende fare?
In accordo con una posizione dominante nell’ambito della ricerca neuroscientifica e della psicologia cognitiva, avremmo dovuto rispondere a questa domanda con un secco no. Inoltre, avremmo dovuto specificare che, in assenza di informazioni contestuali – quali ad esempio la presenza di un taxi in arrivo – è impossibile capire cosa una persona stia per fare semplicemente osservando come si muove.
Tuttavia, una recente ricerca condotta dai ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’Università di Torino mette in dubbio questa posizione aprendo un nuovo scenario: secondo i risultati dello studio, descritti nell’articolo “Intentions in the Brain: the Unveiling of Mister Hyde” pubblicato sulla rivista internazionale The Neuroscientist, il significato che attribuiamo a un’azione compiuta da un individuo dipende dal modo in cui essa viene eseguita più che dal contesto in cui si svolge, perché l’intenzione è “nascosta” nel movimento stesso.
Nell’esempio iniziale, quindi, il modo in cui l’uomo alza la mano sarà diverso a seconda della ragione ultima che lo ha spinto a farlo. Non solo, se ci trovassimo ad assistere alla stessa scena in una stanza vuota, saremmo comunque in grado di cogliere questa ragione ultima – come, appunto, chiamare un taxi – poiché siamo sensibili all’intenzione sottesa al tipo di movimento eseguito da quell’uomo.
Nel loro lavoro, i ricercatori dell’IIT e dell’Università di Torino partono dall’analisi delle più recenti ricerche nel campo delle neuroscienze, focalizzate sull’interpretazione dei movimenti che gli esseri umani compiono per raggiungere uno scopo.
“Tradizionalmente il problema della comprensione delle intenzioni è stato impostato come un problema di accesso agli stati mentali ‘nascosti’ nella mente delle altre persone” spiega Cristina Becchio, professore associato dell’Università di Torino e ricercatore presso l’Istituto Italiano di Tecnologia. “Le evidenze che abbiamo raccolto mostrano tuttavia come le intenzioni siano visibili nella cinematica, in altre parole, nelle caratteristiche specifiche del movimento.”
Ogni gesto, cioè, porta con sé il proprio significato e questo significato è strettamente legato all’intenzione sottesa nel movimento. Ne segue che esisterebbe una sorta di “linguaggio delle intenzioni” che è incorporato nel movimento stesso e che è comune a tutte le persone.
Per capire come le intenzioni diventino “visibili” nei movimenti, uno degli esperimenti condotti dai ricercatori ha riguardato l’analisi cinematica del movimento di persone cui veniva richiesto di afferrare uno stesso oggetto, ma per scopi diversi. In particolare si trattava di afferrare una bottiglia o per bere, o per versare il suo contenuto in un bicchiere, o per passarla a un’altra persona. Le variazioni nel movimento dell’afferrare nei diversi momenti, ha mostrato i segni delle differenti intenzioni.
“Quando le persone osservano gli altri compiere azioni, sono sensibili a differenze molto piccole nella cinematica del loro movimento”, spiega la dott.ssa Caterina Ansuini, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia, “E appaiono anche in grado di utilizzare queste differenze per capire con quale intenzione l’azione osservata è stata eseguita”.
La scoperta apre nuovi scenari nella comprensione delle interazioni sociali e delle patologie che comportano un’alterazione della capacità di interazione, come per esempio l’autismo. L’ipotesi, infatti, è che alcune patologie portino all’alterazione del vocabolario azione-intenzione che utilizziamo normalmente, rendendo le persone non in grado di leggere gli scopi del movimento altrui.