La letteratura ci informa che l’obesità infantile è legata ad un rischio maggiore di sviluppare patologie croniche in età adulta e in età più precoce. Tuttavia, non essendoci stata una definizione di obesità infantile con valori di riferimento internazionalmente validi, è chiaro quanto sia impossibile stabilire, come per gli adulti, dei valori soglia di BMI direttamente correlati con aumentato rischio per la salute.
Il fenomeno dell’obesità infantile, comunque, è in continuo aumento, per cui il WHO ha ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione su questo problema e così la International Obesity Task Force (IOTF) ha stabilito dei valori di riferimento internazionali per il sovrappeso e per l’obesità dai 2 ai 18 anni.
La prevalenza dell’obesità in tutte le fasce di età, e in modo particolare nei bambini, pone un serio problema, tanto che questo fenomeno viene spesso descritto dal WHO come ‘Epidemia Mondiale’ in quanto comincia ad interessare anche paesi sottosviluppati o in via di sviluppo.
In tutto il mondo più di 22 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni di età sono seriamente in una condizione di sovrappeso, così come 155 milioni di bambini in età scolare. Per i bambini e gli adolescenti italiani al di sotto della maggiore età, l’obesità infantile si attesta mediamente intorno al 4%, ma le stime della Società Italiana dell’Obesità anche in questo caso sono preoccupanti: nel 2025, continuando di questo passo, l’obesità infantile in Italia triplicherà, arrivando a più del 12%.
1. Principali fattori di rischio
L’obesità infantile ha una genesi multifattoriale, essendo il risultato di diverse cause più o meno evidenti che interagiscono tra loro; in primo luogo una eccessiva/cattiva alimentazione, legata o meno ad una ridotta attività fisica e a fattori di tipo genetico/familiare; rari i casi di obesità legati ad alterazioni ormonali quali ipotiroidismo o disfunzioni surrenaliche.
Alimentazione – Spesso ci preoccupiamo quando il bambino mangia poco, raramente quando mangia troppo. Se è vero che una dieta insufficiente può portare a deficit di vario tipo (proteine, calcio, ferro, vitamine ed altri nutrienti essenziali alla crescita), di contro, un introito calorico eccessivo determina dapprima un sovrappeso del bambino e poi, nella maggioranza dei casi, una manifesta obesità.
Non dobbiamo dimenticare che un’iperalimentazione nei primi due anni di vita oltre a
causare un aumento di volume delle cellule adipose (ipertrofia), determina anche un aumento del loro numero (iperplasia); da adulti, pertanto, si avrà una maggiore predisposizione all’obesità ed una difficoltà a scendere di peso o a mantenerlo nei limiti, perché sarà possibile ridurre le dimensioni delle cellule, ma non sarà possibile eliminarle. Intervenire durante l’età evolutiva è, quindi, di fondamentale importanza.
Spesso però il forte appetito, che a volte si traduce in una vera e propria voracità, viene interpretato come un segnale di benessere e si tende ad incentivarlo più che a limitarlo, con l’illusione che gli evidenti chili di troppo possano scomparire con lo sviluppo. Il bambino cicciottello, poi, ispira più simpatia di uno magro, che anzi, tende a preoccupare il genitore.
Oltre a mangiare troppo, però, il bambino mangia in maniera sregolata, spesso e male:
merendine e snack, bevande gassate, etc.
Sedentarietà – Oltre all’alimentazione scorretta e squilibrata, non dobbiamo sottovalutare, come fattore di rischio, la ridotta attività fisica o la sedentarietà,
frutto di uno stile di vita sbagliato, ma sempre di più frequente riscontro.
L’esercizio fisico è di fondamentale importanza per il bambino che cresce, in quanto, oltre a farlo dimagrire, lo rende più attivo, contribuendo a ridistribuire le proporzioni tra massa magra (tessuto muscolare) e massa grassa (tessuto adiposo). Tra scuola, svariati impegni extrascolastici e le ore trascorse davanti alla tv, computer e videogiochi, i bambini sono sempre più stressati, dormono poco, mangiano male e soprattutto trascorrono sempre meno tempo giocando all’aperto. Secondo gli esperti queste cattive abitudini, mutuate dalla vita dei grandi, sarebbero le cause principali dell’aumento dell’obesità tra i bambini italiani. La mancanza di sonno spinge infatti a restare di più davanti allo schermo televisivo o a quello del PC. Inoltre, fa aumentare la secrezione di cortisolo, un ormone che favorisce l’accumulo dei grassi nell’organismo. Gli studiosi hanno, infatti, osservato che nei bambini di 3 anni che dormono meno di 10 ore e mezza al giorno il rischio di obesità aumenta di 1,45 volte.
Familiarità – I fattori familiari non sono meno determinanti dei precedenti. L’obesità, sotto certi aspetti, può considerarsi un problema di natura ereditaria e, sotto altri, una conseguenza di fattori ambientali.
Un’indagine multiscopo dell’ISTAT dimostra che circa il 25% dei bambini ed adolescenti in sovrappeso ha un genitore obeso o in sovrappeso, mentre la percentuale dei bambini sale a circa il 34% quando sono obesi o in sovrappeso entrambi i genitori. L’esempio della famiglia è fondamentale: non si può parlare di educazione alimentare se i genitori non iniziano per primi a seguire una dieta equilibrata; allo stesso modo non è pensabile che il piccolo sia l’unica persona della famiglia a mangiare un contorno di insalata quando tutti gli altri preferiscono le patate al forno. Per quanto riguarda la natura ereditaria dell’obesità sono state evidenziate alterazioni di alcuni geni aventi un ruolo nella produzione delle cellule adipose, ma gli studi sono tutt’ora in corso.
2. Conseguenze dell’obesità infantile
L’obesità infantile aumenta il rischio di incorrere in problematiche sia di carattere medico, acute o croniche, sia di carattere psicologico, problemi che poi persistono nell’età adulta causando effetti avversi sulla qualità della vita. I bambini obesi possono incorrere in patologie di tipo cronico degenerativo, come la ‘Sindrome metabolica’, caratterizzata da alterazioni multifattoriali dell’assetto lipidico, della ‘pressione arteriosa’ e del ‘compenso glicemico’. Inoltre, l’obesità infantile può essere alla base di problemi di natura osteo-articolare che in età adulta potrebbero avere conseguenze di entità invalidante. Non trascurabile risulta essere l’effetto dell’obesità sullo status psicologico del giovane individuo, il quale nell’età adulta potrà, nella peggiore delle ipotesi, essere causa di disturbi di interesse neuro-psichiatrico. La sindrome metabolica predispone il bambino nell’età adulta a sviluppare malattie cardiache, ischemie cerebrali e diabete. L’eziologia non è nota, ma evidenze scientifiche sostengono l’ipotesi di una multifattorialità simile a quella della obesità, tra le quali viene menzionata una componente genetica, una eccessiva adiposità viscerale e uno stile di vita improntato alla sedentarietà.
Un’eccessiva ingestione di alimenti ad elevato contenuto energetico e soprattutto di alimenti raffinati e di zuccheri semplici comporta elevati livelli di glicemia dopo il pasto; parallelamente alla crescita dei livelli di glicemia consegue un aumento dell’insulinemia. A lungo andare ciò comporta una situazione di insulino-resistenza che è responsabile della ridotta tolleranza ai glucidi, dell’aumento di peso con accumulo di adiposità di tipo androide e successivamente, con l’avanzare dell’età, a seconda del substrato genetico, lo sviluppo di un Diabete conclamato.
L’aumento della quota lipidica in circolo comporta un’elevazione dei valori di colesterolo totale ed LDL e dei trigliceridi. Le lipoproteine a bassa densità sono molecole ad elevato carattere aterogenico, e le conseguenze a livello vasale di accumulo di placche ateromatose predispone allo sviluppo di patologie cardiovascolari.
L’introito di cibi ad elevato contenuto di sale, come gli snack e i prodotti dei fast food, predispone all’insorgenza di un’ipertensione già in età giovanile. L’ipertensione può portare allo sviluppo di un’ipertrofia ventricolare e allo sviluppo di un quadro di insufficienza cardiaca. L’elevato peso cui vengono sottoposte le articolazioni sin dall’epoca dell’accrescimento, predispone il bambino allo sviluppo in età adulta di patologie di tipo degenerativo a livello articolare, con la prospettiva di sviluppare artrosi soprattutto a livello delle articolazioni degli arti inferiori.
L’approccio terapeutico prevede una correzione delle abitudini alimentari, un supporto psicoterapico ed una terapia farmacologia o chirurgica. Questi ultimi due approcci sono, al momento, utilizzati solo nel trattamento dell’obesità in età adulta.
3. La prevenzione dell’obesità infantile
Il trattamento dei ragazzi obesi o in sovrappeso è un’importante strategia per il controllo del problema a livello individuale, ma il successo di questo tipo di approccio è limitato e nel tempo poco efficace. E’ quindi necessario adottare un approccio che, tenendo conto dei fattori responsabili, coinvolga ampie fasce della popolazione ed effettui interventi di prevenzione già durante l’infanzia e l’adolescenza, età in cui si assumono abitudini e stili di vita che caratterizzeranno l’individuo nel corso della sua esistenza e che, una volta acquisiti, è difficile correggere. La prevenzione dell’obesità in età pediatrica rappresenta, pertanto, una priorità nei piani di salute pubblica nazionali, anche per l’alta probabilità che il bambino obeso ha di rimanere tale anche da giovane e nell’età adulta.
Dr.ssa Daniela De Nitto – INFO QUI
Specialista in Scienze dell’Alimentazione
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