Calcio e manovre pseudosportive

Nella prima metà del secolo scorso, un ignoto cantore del regime fascista scolpì, sulle facciate del grande palazzo della civiltà del lavoro, all’EUR, un vero e proprio inno agli italiani, definendoli “un popolo di santi, di poeti, di navigatori” ed altri attributi adulatori del genere.

Certo, un osservatore più attento e più lungimirante non avrebbe trascurato la categoria degli sportivi, perché lo sport, da molto tempo ormai, è entrato a far parte integrante del DNA degli italiani a prescindere dalle differenziazioni generazionali, divenendone la passione comune, senza alcun pregiudizio di censo, di sesso, di età e di credo politico e religioso.

Oggi, infatti, l’attività sportiva nella sua più ampia accezione del termine, è diventata una esigenza molto importante, consigliata e spesso anche prescritta dalla classe medica al fine di conciliare lo stato di salute individuale con il legittimo desiderio di svago e, soprattutto, con le problematiche legate all’allungamento dell’età media della vita in generale.

Questa concezione, essenzialmente razionale e condivisibile, è perfettamente in linea con la sport dilettantistico, termine derivante dal  francese “desport”, che significa, appunto, diporto, diletto, passatempo. Ma le cose si complicano a dismisura non appena si entra nel settore professionistico, perché qui, l’impiego di notevoli risorse economiche e la movimentazione di ingenti capitali, punzecchiano i nervi scoperti di taluni spregiudicati  imprenditori, i quali, attraverso disinvolte manovre speculative, contrabbandano  lucrose operazioni finanziarie con malcelate affezioni e simpatie per lo sport.

La storia, o, meglio, la cronaca di questi ultimi anni, documenta, in maniera  severa e rigorosa,  tantissimi casi di scandalose gestioni societarie, di colossali frodi fiscali, di patti non rispettati, di promesse non mantenute, di falsi bilanci artatamente dissestati e di tanti altri artifizi truffaldini tipici del malaffare, che hanno fortemente offuscato e penalizzato l’immagine del nostro calcio, che, tuttavia, resta ancora il più bello spettacolo del mondo.

I recenti dati statistici indicano chiaramente un netto calo delle presenze degli spettatori negli stadi, una notevole riduzione degli abbonamenti ed una sostanziale pesante disaffezione per le scelte strategiche dei manager e dei presidenti ai vertici delle rispettive società. Ebbene, a me meraviglia la meraviglia di chi si dispera e si “straccia le vesti” per questo fenomeno di “assenteismo” da parte dei tifosi e degli appassionati  per tutta una serie di motivi che ritengo validissimi, ricorrenti e recepibili sull’intero territorio nazionale.

In primo luogo colloco la violenza dissennata degli “ultra”, che incide profondamente e pesantemente sulla sicurezza dentro e fuori degli stadi; poi inserisco lo sperpero di denaro con compensi miliardari ai cosiddetti campioni, o presunti tali, e per ultimo, non certo per importanza, l’ingresso massiccio nel settore, dei magnati della televisione, che con un abbordabile abbonamento o con una modica spesa, ti consentono di vedere. attraverso i decoder tradizionali e quelli digitali terrestri, la partita di tuo gradimento a casa, spaparacchiato sulla tua poltrona al calduccio e con accanto le sigarette o la pipa oltre all’’immancabile bottiglia della bibita preferita.

Qualcuno potrebbe osservare che lo spettacolo visto dal vivo allo stadio sia tutt’altra cosa rispetto a quello offerto dalla televisione di casa, e nessuno lo mette in dubbio, ma non si può disconoscere che  con gli ultimi ritrovati della tecnologia più avanzata, il divario tra i due modi di  seguire una partita sia destinato a ridursi ulteriormente e non mi stupirei più di tanto se tra non molto con i teleschermi giganti scomparisse completamente.

E’ fin troppo evidente che il concetto di “tifo”, inteso come strumento promozionale di feeling tra la società e la propria tifoseria, sta sempre più scemando e rischia un avvilente ridimensionamento.

Oggi, infatti, quello che più conta, pare sia  lo spettacolo fine a sé stesso, indipendentemente dal colore della casacca dei protagonisti che si affrontano sul proscenio del grande rettangolo verde. E così capita sempre più spesso che dovendo scegliere tra un “big match” di alto profilo tecnico e la partita della propria squadra del cuore tecnicamente e notoriamente inferiore  all’avversaria di turno, si finisca ineluttabilmente per privilegiare la prima soluzione, specie se si tratta di buongustai del calcio spettacolo. Ma in questo caso, però, i protagonisti non sono altro che dei  mercenari e dei commedianti che recitano a soggetto, motivati dall’enorme compenso dell’impresario nell’ottica del profitto e dell’affare, due elementi, questi, che hanno ben poco da spartire con quel tipo di calcio nel quale abbiamo sempre creduto e tanto sognato.

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