Roma, 12 novembre 2021 – La notizia della scomparsa di Giampiero Galeazzi, di anni 75, ci ha provocato una tristezza profonda.
E crediamo che l’abbia provocata a tutti noi che lo abbiamo ammirato, visto, ascoltato negli anni d’oro della televisione, grazie alla quale era diventato quasi uno di famiglia.
Con le sue telecronache appassionate che ci proiettavano dentro l’evento o con le sue interviste a bordo campo, che per tutti noi che poi abbiamo fatto questo mestiere sono state esempio e anche motivo di studio.
Perché Galeazzi le aveva praticamente inventate. E le faceva con il suo stile ineguagliabile.
Lui si avvicinava ad ogni protagonista delle nostre domeniche pallonare, che fosse l’Avvocato Agnelli, il grande Maradona o un altro mito come Agostino Di Bartolomei e gli metteva il braccione sulle spalle o lo prendeva a braccetto per non farlo andar via.
E gli faceva domande a braccio. Mai banali, sempre incisive.
Tanto che molte risposte che gli sono state date sono rimaste scritte a lettere d’oro nella storia del nostro calcio e del nostro giornalismo sportivo.
“Galeazzi c’è lei per la Domenica Sportiva. Allora si tratta di una partita importante” gli disse una volta l’Avvocato Agnelli.
“In porto dobbiamo arrivarci con il vessillo” gli rispose Di Bartolomei dopo che gli aveva chiesto se la Roma sarebbe arrivata in porto. Cioè se avrebbe vinto lo scudetto.
Galeazzi emerse in quegli anni di giornalismo libero, possibilista, non incancrenito dal rituale delle conferenze stampa, ma permissivo nel lasciare che i bordocampisti entrassero anche negli spogliatoi.
Lui c’era mentre i calciatori uscivano dal campo stanchi e sudati, allegri o delusi. E c’era nei festeggiamenti per uno scudetto appena vinto.
Vicino alla panchina di Liedholm a Marassi nell’83 (poco prima che il Barone fosse sollevato al cielo dai tifosi giallorossi). Negli spogliatoi del Napoli di Maradona, con tanto di gavettone compreso.
E i calciatori o i tennisti (c’era lui a bordo campo nella Coppa Davis di Roma del ’76, con Guido Oddo a fare la telecronaca) gli rispondevano sempre.
Per rispetto, certo. Ma anche perché lui non era mai volgare nelle domande e perché aveva una simpatia innata, che metteva in questo lavoro che faceva con tanta passione.
Quella stessa passione che ha messo in tutte le cose della sua vita. Lo sport, il lavoro, il tempo libero, il circolo, le mangiate, le amicizie. In tutto.
Galeazzi è stato un mito della nostra gioventù. E quando i miti se ne vanno, in realtà, non se ne vanno mai. Perché saranno ricordati per sempre. Sennò che miti sarebbero.
Ciao “Bisteccone”. Siamo sicuri che in Paradiso stai già provando ad intervistare Dio.