Oggi il “Toscanaccio” avrebbe compiuto cento anni.
Nei giorni del Tour de France dominato dal nostro Nibali cade il centenario della nascita di uno dei più grandi ciclisti italiani di tutti i tempi, Gino Bartali. L’uomo che più di ogni altro, nel secondo dopo guerra, dimostrò ai francesi e al mondo che l’Italia c’era ancora.
Con la sua vittoria al Tour del 1948 risvegliò l’amor patrio di tanti connazionali depressi dalle vicende belliche e contribuì ad allentare la tensione che si era generata nel Paese dopo l’attentato al leader comunista Palmiro Togliatti. Un episodio che rischiava di far scoppiare un’altra guerra civile dopo quella che si era avuta nell’ambito del conflitto mondiale e intorno al quale girano molte leggende. La più conosciuta è quella della telefonata dei leader democristiani Alcide De Gasperi e Giulio Andreotti allo stesso Bartali, al quale spiegarono che nel Paese la situazione si era fatta delicata e che per questo doveva vincere il Tour. Anzi, pare che glielo ordinarono proprio. “Devi vincere” gli dissero e lui rispose “Ci proverò”. Poi, ovviamente, ci riuscì, perché era forte davvero e in cambio di quel successo, che rasserenò gli animi di tutti gli italiani, chiese di non pagare le tasse per un po’ di tempo.
Gino Bartali era nato a Ponte a Ema, in provincia di Firenze, il 18 luglio 1914 e a Firenze è morto nel 2000, il 5 maggio, lo stesso giorno della scomparsa di Napoleone. L’imperatore di quei francesi che nel loro Tour, proprio Bartali, fece “incazzare” più di una volta con le sue vittorie, per dirla con i versi della canzone che gli dedicò il cantautore Paolo Conte. E chissà se anche per questo oggi si sono dimenticati di celebrare il centenario della nascita di quel campione “dal naso triste come una salita” ma “con gli occhi allegri da italiano in gita” che festeggiò il suo compleanno con una vittoria di tappa al Tour in ben tre occasioni: nel1938 a Marsiglia, nel 1948 a Losanna e nel 1949 a Briançon, in quest’ultimo caso davanti a Coppi, il suo grande rivale di sempre.