Livio Berruti e le Olimpiadi del 1960

Roma, 3 settembre 2020. Le ultime Olimpiadi dell’era romantica vengono ricordate e celebrate in questi giorni che vanno dal 24 agosto fino al 11 settembre. Diciotto giorni che consacrarono Roma per i giochi della XVII Olimpiade e di conseguenza il 1960 come vetrina internazionale del boom economico italiano.

Non solo, ad appena quindici anni dal disastroso conflitto mondiale l’Italia mostrò un modello di efficienza organizzativa di primissimo ordine. La diretta in Mondovisione della Rai, che profuse sul campo uno sforzo tecnico ragguardevole, miscelò gli aspetti tecnici delle gare con l’abbagliante bellezza della Città Eterna; su tutti il suggestivo arrivo della Maratona sotto l’Arco di Costantino, a tramonto inoltrato, con l’incredibile trionfo dell’etiope Abebe Bikila, il maratoneta scalzo, che fu l’indiscussa icona della manifestazione insieme al diciottenne Cassius Clay.

La data di oggi per i colori italiani rappresenta il trionfo più prestigioso nell’atletica leggera e cioè l’ORO nei 200 mt. di Livio Berruti. Nessun italiano e nessun europeo aveva mai vinto il titolo in questa specialità, dominata da sempre da americani e canadesi. Berruti a 21 anni spezzò quel tabù correndo nello spazio di sole due ore, prima la semifinale alle ore 16 e poi la finale alle ore 18, al ritmo del record del mondo detronizzando i favoriti statunitensi.

Livio Berruti, torinese del 1939 laureando in chimica, classe ed eleganza innate, ha l’aria dell’intellettuale prestato quasi per caso allo sport. Si allena due-tre volte a settimana, corre con degli occhiali scuri non per vezzo ma per miopia, maestro nell’affrontare la prima parte di gara nel rettilineo curvo, affronta le competizioni con apparente distacco, niente a che vedere con gli allenamenti esasperati e l’atteggiamento in perenne conflitto col mondo del suo successore Pietro Mennea con cui, non a caso, non ha mai avuto un buon rapporto.

Prova ne fu che durante le due ore che precedevano la finale si mise sotto una delle statue dell’attiguo Stadio dei Marmi a studiare per un prossimo esame di chimica, mentre i suoi avversari sprecavano risorse in ripetuti esercizi di riscaldamento.

La prova in se fu un crescendo con Berruti in testa già all’ingresso degli ultimi cento metri, sostenuto da un volo di colombe che misticamente lo accompagnarono al trionfo.

La pattuglia azzurra conseguì il miglior risultato, ad oggi, nei giochi arrivando terza nel medagliere dietro l’Unione Sovietica e gli Usa. Oltre a Berruti, tra tutti i medagliati, un ricordo particolare va a Nino Benvenuti per l’oro nel pugilato categoria Welter, prologo ad una grande carriera nel professionismo col mondiale qualche anno dopo nei pesi Medi, al Settebello di Pallanuoto e ai ciclisti su pista Gaiardoni, velocità, Beghetto e Bianchetto, tandem.

Sessant’anni fa dunque, come abbiamo intitolato, le ultime Olimpiadi romantiche prima che una spirale di sospetti di doping, boicottaggi politici vari le imbarbarissero almeno fino a Barcellona ’92. Diritti dei neri, delle donne, a Roma capeggiate dalla gazzella Wilma Rudolph, cominciarono a venir fuori con all’orizzonte la nefasta costruzione del muro di Berlino che divise le due Germanie ancora unite nella kermesse romana.

La sera del 11 settembre gli 83 paesi in gara salutarono la nostra città, con tanta speranza e nostalgia. Ma noi romani ed italiani li rivedremo più i Giochi Olimpici?

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