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Petko, è vero che vuoi restare?

L’allenatore bosniaco e la Lazio sembrano essere arrivati ad un capolinea tanto prematuro quanto discutibile.

Roma – Il fatto è che le brave persone non si dovrebbero mai perdere di vista. E’ sulla falsariga di questa frase che vorrei provare a raccontare il mio punto di vista sul rapporto tra la Lazio e su Vladimir Petkovic: un rapporto che, nonostante la storica vittoria della Coppa Italia nel derby con la Roma, pare essere ad un prematuro capolinea. E’ un’opinione tutt’altro che facile da spiegare, soprattutto davanti agli scarni risultati finora ottenuti in questo tragico 2013-14, ma che va comunque condivisa. Quindi proverò ad andare con ordine, per punti.

In primo luogo, Petkovic è un allenatore bravo e competente. Quando è arrivato a Roma, la scorsa stagione, tra bocche storte e scetticismo, si è imposto guadagnando la fiducia di tutti e dando per la prima volta un gioco alla Lazio (per la prima volta da quattro anni a quella parte, se uno ricorda il “primo non prenderle” di Edy Reja ed i disastri di Ballardini). Ok che poi quel gioco si è spento gradualmente da gennaio a maggio, ok che in campionato ha perso in quello stesso periodo numerose posizioni, ma parliamo pur sempre di una squadra senza grandi ricambi ,che ha lottato per tre competizioni portandone due fino in fondo; la Lazio ha vinto la Coppa Italia non tanto nella finale contro una Roma ai minimi termini calcistici, ma nella clamorosa impresa in semifinale , buttando fuori la Juventus, squadra che in Italia da tre anni a questa parte non conosce rivali sotto nessun punto di vista: fisico, tecnico, mentale. Petkovic, in una serata di gala del calcio italiano, e mi riferisco ovviamente al ritorno della semifinale in uno stadio Olimpico strapieno, ha imbrigliato la squadra di Conte come nessuno in quella stagione, alternando pressing alto e basso, fasi difensive a fasi offensive con una personalità ed un’efficienza che la precedente gestione Reja non avrebbe saputo mai. La finale contro la Roma aveva il pronostico sbilanciato decisamente dalla parte della Lazio, vista l’annata deludente della compagine giallorossa, ma si trattava pur sempre di un derby: in una partita condizionata da un clima pesante e quindi brutta come poche altre, è stata ancora una volta la determinazione che l’allenatore bosniaco ha impresso nei suoi giocatori a fare la differenza.

Petkovic ha fatto centro al primo colpo in Italia, portando una Coppa in casa Lazio dopo anni, eppure sarebbe miope fermarsi a questa considerazione: il punto è che la Lazio le cose migliori le ha fatte proprio dove non ha vinto. Mi riferisco ovviamente all’Europa League: sotto la guida di Petkovic, in una competizione insolitamente piena di “big” (Tottenham, Chelsea, Inter, Napoli, Leverkusen, Lione e sicuramente ne dimentico altre di simile blasone), la Lazio si è fatta strada fino ai quarti di finale vincendo un girone tutt’altro che facile e portando Kozak (non proprio un fenomeno) a vincere la classifica marcatori della competizione. Difficile pensare, infatti, che il bistrattato calcio italiano fosse in grado di mettere in fila il Totthenham di Villas Boas, portandolo al secondo posto del girone, ed a regolare due squadre tedesche, facendo respirare il nostro ranking UEFA ,se è vero che la Lazio ha cacciato nei sedicesimi e negli ottavi il Moenchengladbach e lo Stoccarda. Ai quarti l’uscita di scena da parte del Fenerbache, squadra turca aiutata in modo più che evidente dall’arbitro all’andata e dalla squalifica dell’Olimpico nel ritorno. Un fallimento? Tutt’altro! Io metterei non una, ma cento firme per uscire da una competizione con tanto orgoglio! Non so, purtroppo, se le stesse firme le metterebbero quelli che hanno fatto squalificare lo stadio con urli razzisti e poi, in un atto di forza che fa quasi ridere, hanno esposto lo striscione “Scusa maiale se ti chiamo Platini” nella giornata di campionato seguente alla squalifica europea. Una ripicca dall’organo principale del calcio europeo era..non so, probabilmente scontata a quel punto, ed ecco puntuale infatti l’arbitro Collum.

L’annata di Petkovic ha quindi dato alla Lazio più lustro di quanto le abbiano dato in un decennio Reja, Ballardini e Rossi: la squadra ha portato a casa un successo nazionale, ed in campo internazionale ha fatto molto parlare di se’. Poco importa, a mio avviso, se la qualificazione per l’Europa League successiva è arrivata dalla Coppa Italia invece che dalla quarta o quinta posizione in campionato, e davvero non ha senso criticare il mancato approdo in Champions League ,che Lotito e Tare sventolano ai quattro venti come obiettivo minimo ogni estate: quel posto è stato sfiorato in situazioni fortunate, come quando è toccato all’Udinese piuttosto che all’Inter o al Napoli, quindi non vedo la minima ragione per ambirlo in situazioni che si vanno normalizzando.

Questo sarebbe a mio avviso già abbastanza per dare ancora tempo e soprattutto fiducia a Petkovic da un punto di vista tecnico, nonostante i pochi risultati di questa prima meta di stagione. Basterebbe, in realtà, pensare alle altre squadre e ai loro investimenti, a come una Fiorentina, scomparsa da un paio d’anni dalle posizioni di vertice del nostro campionato, si è rinforzata con Gomez e Rossi, mentre Lotito e Tare continuano a puntare su attaccanti che complessivamente stentano a raggiungere le venti realizzazioni a stagione.

Potrebbero essere sufficienti queste considerazioni per continuare un rapporto armonioso con Petkovic, ma ce ne sono addirittura altre: quelle umane, su cui da anni si afferma di dover costruire il nuovo corso della Lazio. In questo senso ,Petkovic sembra più di ogni altro la persona giusta per portare avanti tale progetto. La sua mentalità vincente, dapprima dichiarata apertamente (“Dobbiamo scendere in campo sicuri della nostra forza, anzi direi quasi presuntuosi” e “Dobbiamo avere una fame infinita” sono solo due delle sue numerose dichiarazioni in questo senso) e poi sempre sottintesa ,è stata una novità decisamente lieta in un ambiente frustrato come quello laziale dopo i fasti dell’era Cragnotti, mentre più di una volta i suoi atteggiamenti sono stati a favore di una sportività che mai è caduta nel falso buonismo di cui il mondo del calcio pare essere un malato cronico; mi riferisco all’accettazione coerente degli errori arbitrali, sia se a favore sia se contro la sua squadra. Questi, oltretutto, sono solo alcuni dei motivi per cui reputo chiacchiere da bar quelle che lo vedono già sotto contratto per la panchina della Svizzera dal prossimo giugno: semplicemente, Vladimir non è quel tipo di persona.

Insomma, chiudendo il discorso,credo si parli di un uomo tanto impegnato nel suo lavoro quanto equilibrato nel modo di portarlo avanti; ecco perché, nell’ottica di una piazza confusionaria e così volubile come quella romana, arrivare ad una rottura per delle aspettative probabilmente più alte del dovuto e per una assenza di armonia ad esse conseguente mi sembra un errore. Lotito e Tare hanno portato avanti un mercato che faceva chiaramente pensare ad una stagione di passaggio, di crescita dei giovani e di risultati mediocri: questo, credo, è chiaro ad ogni tifoso laziale che si possa definire tale. Qualificarsi per qualche coppa europea attraverso il campionato sarebbe un miracolo tanto per Petkovic quanto per chiunque altro messo al suo posto, mentre il cammino in Europa League ed in Coppa Italia potrebbe riservare qualche piacevole sorpresa, ma il presupposto essenziale per ognuno di questi è una conduzione serena.

Bisognerebbe dare tempo al tempo, quindi, sperando che il cuore non influenzi troppo la testa, e credendo fortemente che le brave persone non dovrebbero perdersi di vista. A dirla tutta, non dovrebbero farlo mai.

 

 

 

 

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