Racconti di sport

23 novembre 1980: il terremoto dell’Irpinia

Quaranta anni fa il terribile terremoto che sconvolse l’Irpinia, la Basilicata e tutti noi.

Roma, 20 novembre 2020 – Il 23 novembre del 1980 era domenica.

E come tutte le domeniche, alle 19.34, ero seduto alla tavola della cucina insieme al mio papà per aspettare la cena e vedere il canonico tempo di una delle partite del campionato che erano state giocate al pomeriggio.

Non ricordo, quale fosse. Forse Juventus-Inter. La più importante della giornata.

A quei tempi, infatti, le partite non venivano trasmesse in diretta Tv come oggi, ma si giocavano tutte nel primo pomeriggio e si ascoltavano alla radio, grazie a “Tutto il calcio minuto per minuto”.

Per vedere i gol si dovevano aspettare le 18.00 e “90 minuto”, dopo il quale, alle 19.00, la Rai trasmetteva in differita solo un tempo di una di esse.

In quel momento, alle 19.34, si mosse il tavolo e mio padre pensava che fossi io, con il mio moto perpetuo, a farlo ballare.

Mi disse di stare fermo, perché questo gli dava fastidio.

Ma io, che avevo tredici anni, gli risposi che stavo fermo.

Allora lui alzò gli occhi verso il lampadario e vide che ondeggiava. “C’è il terremoto!” esclamò e la paura ci prese a tutti.

Fu una scossa forte, la prima che ho sentito nella mia vita. Era la scossa di un terremoto lontano da noi, ma che sentimmo vicino come se fosse sotto casa nostra.

Era il terremoto che stava sconvolgendo l’Irpinia, la Basilicata e le regioni vicine.

Un terremoto così forte che si sentì benissimo anche a Roma, dove stavamo noi e in tante altre parti d’Italia.

Un terremoto devastante, che sconvolse l’Italia di quarant’anni fa, lasciando un’impronta su tutti noi che, pure, lo vivemmo di riflesso e, per fortuna, senza conseguenze.

I giorni seguenti furono drammatici, come la conta dei morti.

Il presidente Pertini (nella foto) andò nelle zone colpite e si scagliò contro i ritardi dei soccorsi.

Salvatore Di Somma, il capitano dell’Avellino, che era in Serie A e che quella domenica aveva battuto 4-2 l’Ascoli in casa, al Partenio, subito dopo la scossa, come tutti i suoi concittadini, scese per le strade della città.

In Piazza delle Libertà una donna, sconvolta, lo riconobbe, lo fermò e gli disse: “Salvatò, hai visto che disastro. Però oggi che bella vittoria che abbiamo fatto …”.

Tanto per dire quanto il calcio, anche in quella occasione così terribile, fosse nella testa e nel cuore di quella gente che, nei mesi seguenti, anche grazie al calcio e al suo Avellino in A riuscì a superare la tragedia.

Oggi che stiamo vivendo un’altra tragedia, quella del Covid, il calcio assolve alla stessa funzione di allora: aiutare gli appassionati a pensare ad altro, a divagare la mente, almeno in quelle due ore della partita.

E una vittoria della propria squadra dà la carica per ricominciare a combattere.

Chi non è tifoso o appassionato di calcio non lo capirà mai. Inutile stare lì a spiegarglielo.

Perché questo è uno dei misteri del successo planetario di questo che non è solo uno sport.

Ma una grande passione popolare e un fenomeno sociale.

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