Roma, 7 giugno 2017 – Negli ultimi 16 campionati, la Roma è arrivata 9 volte seconda. Segno di un qualcosa che le manca sempre per vincere quello scudetto che sogna, ma anche di una continuità di rendimento che le consente di stare sempre dove diceva il grande presidente Dino Viola. Tra le prime tre della classifica. Perché, se stai sempre lì, prima o poi vinci e comunque sei una delle grandi del calcio italiano.
Ecco, questa è la dimensione giusta per la Roma, la squadra che porta il nome della Capitale e che Venditti, nell’inno più bello che è stato scritto per una squadra di calcio, ricorda ogni volta. “Tu sei nata grande e grande hai da resta’…”.
Esattamente come la sognò nel 1927 Italo Foschi, l’uomo che la fondò novanta anni fa in Via Forlì 16, per contrapporre una forte formazione della Capitale agli squadroni del nord. E quello studio di casa Foschi nel quale venne firmata la fusione tra le tre società che dettero vita al sodalizio giallorosso (l’Alba, la Fortitudo e il Roman) è stato esattamente ricreato come era nel piccolo Museo allestito a L’Aquila dai pronipoti di Foschi, i fratelli Zingarelli. E c’è molta emozione nel toccare la scrivania sulla quale vennero firmati i documenti dai quali tutto ebbe inizio.
Una lunga storia giallorossa fatta di presidenti indimenticabili (lo stesso Foschi, Renato Sacerdoti, Dino Viola, Franco Sensi i primi che ci vengono in mente), allenatori all’avanguardia e sempre considerati tra i migliori (l’inglese Garbutt, il primo e poi Schaffer, quello del primo scudetto, l’impareggiabile Nils Liedholm, il tenace Fabio Capello, il romano e romanista Ranieri e lo stesso Spalletti) e campioni conclamati e osannati non solo a Roma, ma anche altrove. Pensiamo a Bernardini e Ferraris IV, a Bruno Conti e Falçao, a Toninho Cerezo e Pruzzo, a Giannini e Aldair, ma soprattutto a Francesco Totti, l’uomo dei record della storia giallorossa, che con il suo addio ha fatto commuovere non solo i suoi tifosi, ma anche quelli delle altre squadre.
Totti a parte, però, ci sono altri due giocatori che abbiamo conosciuto nel corso della nostra vita professionale e che, più di ogni altro, a nostro giudizio, incarnano il vero romanismo: Agostino Di Bartolomei, il capitano del secondo scudetto e di un’intera generazione di tifosi e Daniele De Rossi, il capitano di oggi. L’uomo che ha ereditato la fascia dal più grande numero 10 del nostro calcio. Due leader assoluti, romani veraci e romanisti de più. Due che sono “gialli come il sole e rossi come il core mio” e che soffrono quando la squadra perde e toccano il cielo con un dito quando vince.
E scusateci se anche per Agostino usiamo il presente. Lo facciamo perché lui è sempre vivo nei nostri cuori, dai quali non se ne è mai andato, neanche quando seguì Liedholm per giocare nel Milan.
Loro, come tanti altri grandi capitani del passato (lo stesso Ferraris IV, Losi, Santarini, tanto per citarne alcuni) sono stati e sono la Roma. Alla quale, nel giorno del suo novantesimo compleanno, non possiamo che augurare di conquistare finalmente quei trofei che i suoi tifosi sognano e che da troppo tempo le sfuggono.