Giuseppe “Peppiniello” Massa, napoletano, è il primo che se ne è andato la sera del 17 ottobre proprio mentre rientrava a casa per vedere la partita del “suo” Napoli in Champions, per un attacco cardiaco, mentre Marino Perani, della provincia di Bergamo ma bolognese di adozione e più anziano di otto anni rispetto a Massa, ci ha lasciato il 18.
La strana coincidenza delle due scomparse nel breve arco di un giorno è rappresentata dal ruolo che hanno interpretato nella loro carriera, l’essere ali destre col rigoroso numero 7 sulle maglie.
Massa e Perani sono stati ottimi calciatori a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 ed hanno giocato in squadre che a sprazzi contesero lo strapotere delle istituzionali Juventus, Inter e Milan; Perani, sotto la guida di Fulvio Bernardini, nel giugno del ’64 si laureò Campione d’Italia col Bologna, nell’unico spareggio che nel campionato a girone unico si sia mai disputato, contro la grande Inter di Herrera e fu anche convocato nella disgraziata spedizione azzurra del ’66 giocando l’infausta partita contro la Corea del Nord, mentre Massa esordì nel calcio professionistico con la Lazio nel campionato di serie B del ‘67/’68, sotto la sapiente guida di Bob Lovati.
Peppiniello rimase in biancoceleste fino al ’72, contribuendo con 12 reti alla risalita dei capitolini in serie A sotto la guida di Maestrelli e fu protagonista, in un certo senso, della nascita della grande Lazio, che arrivò poi allo Scudetto del ’74, perché dalla sua cessione all’Inter nella campagna acquisti dell’estate del ’72 i biancocelesti presero Frustalupi e 300 milioni, un’enormità per l’epoca, con cui acquistarono Garlaschelli e Re Cecconi. In sostanza con la sua cessione la Lazio costituì l’ossatura per la grande squadra che Maestrelli portò al trionfo due anni dopo.
Perani e Massa, accomunati da un destino cinico e baro per l’incredibile sorte toccata loro nel giro di un giorno, li ricordiamo con affetto e nostalgia per un calcio che non c’è più, per la filastrocca che recitavamo da bambini: “Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti” dal 7 al 11, ricordata su “Leggende” in “C’era una volta”, e per la gioia di un ragazzino di dodici anni che sognava nel vedere in biancoceleste uno scugnizzo poco più grande di lui.