Gianni Minà ha presentato il suo libro su Cassius Clay: “Il mio Alì”. Cogliamo lo spunto per celebrare il campione, che il 17 gennaio compirà 73 anni.
Minà, giornalista di lunghissimo corso, ha raccolto, col determinante contributo della moglie, tutti gli articoli che aveva scritto dal 1971 in poi su Alì confezionandone un libro interessante e romantico.
A questo proposito cogliamo l’occasione per celebrare in anticipo l’ormai imminente 73° compleanno di Cassius Clay-Muhammad Alì. Festeggiare è un modo di dire, una forzatura, visto lo stato di salute dell’ex pugile, costretto da più di trent’anni a lottare contro l’infido morbo di Parkinson. Tuttavia rendiamo omaggio all’uomo prima e all’atleta poi che tanto ci ha entusiasmato dal ’64 all’81.
Cassius Marcellus Clay cambiò il proprio nome in Muhammad Alì, convertendosi alla fede islamica all’indomani della conquista del titolo mondiale dei pesi massimi contro Sonny Liston nel 1964, a 22 anni appena compiuti, capovolgendo un pronostico orientato quasi tutto sul
detentore. Cambiò nome per dare voce ad un popolo, quello degli afroamericani, che faticava a far valere i propri diritti e che non aveva ancora conquistato una vera emancipazione. Approfittò naturalmente della sua fama, influenzato inizialmente dal leader Malcom X e successivamente “l’uomo” Alì si rifiutò, perché ministro di culto, di andare a far la guerra in Vietnam e per questo fu privato del titolo mondiale.
Immaginate nel 1967 cosa poteva significare in un paese come gli Stati Uniti una presa di posizione come quella di Alì. I neri subivano ancora in molti Stati americani discriminazioni inaccettabili ed in alcuni casi venivano ferocemente assassinati come Martin Luther King o lo stesso Malcom X.
Mi sono sempre domandato quale “stellone” abbia sempre protetto Alì ed il coraggio dello stesso nel rinunciare a milioni di dollari nei tre anni di squalifica e la perdita del titolo. Clay-Alì ha rischiato in prima persona, senza fare calcoli, in virtù di un sano principio, di un ideale di giustizia provocando il cambiamento, da parte del governo statunitense, della legge sull’obiezione di coscienza!
Il pugile è stato anch’esso rivoluzionario.
Mai nessuno aveva interpretato la boxe come Lui in una categoria come quella dei Massimi. Sembrava un peso Medio per la leggerezza e la classe cristallina dei movimenti e dei colpi che sapeva portare. La “Noble Art” con Lui era davvero tale, un bagaglio tecnico inarrivabile e con l’avanzare dell’età anche un maestro di tattica.
Il pugilato per Alì non era solo il combattimento in se, ma anche e soprattutto il contorno, fatto di un “prima” e di un “dopo” dove la faceva da padrone nei confronti dei media. Ha inventato il marketing sfruttando la comunicazione per lanciare i “suoi” messaggi che non erano solo di stampo sportivo. Nel marzo 1971 nella conferenza stampa che presentava il primo dei tre incontri con Frazier, tirò fuori una busta dove dentro c’era un foglio con scritto quando il match sarebbe finito! Aveva scritto che avrebbe vinto per K.O. al 5° round, fu invece la sua prima sconfitta ai punti in 15 riprese!
A tal proposito l’incontro fu trasmesso “in diretta” via-satellite alle 4 di notte, prima volta in assoluto in Italia.
Oltre a quello con Frazier, resta leggendario lo scontro con Foreman nell’ottobre del 1974, quando Alì riconquistò il titolo mondiale dei Massimi a dispetto di tutti i pronostici. Furono 8 riprese di grande sagacia tattica, perché non potendo più a 32 anni danzare sul ring come agli esordi si fece martellare dal detentore senza però avere conseguenze negative; opportunamente coperto fece in modo di far consumare energie preziose al suo rivale in un ambiente molto caldo, carico di umidità nella notte africana dell’allora Zaire. Alla fine dell’ottavo round dopo averlo frequentemente bersagliato col suo colpo migliore, il “jab” sinistro, Alì colpì di precisione Foreman mandandolo al tappeto con un tonfo che fu udito da tutta l’Africa! Ricordo inoltre che fu il primo, nella sua categoria, a “riconquistare” la corona dei Massimi per tre volte, l’ultima nel 1978 contro Leon Spinks.
Concludendo sull’uomo, due annotazioni finali: la prima certifica la sua infinità dignità nel portare avanti il suo percorso col fardello del Parkinson!
Chi mai avrebbe dichiarato: “Il mio Dio mi ha dato tanto nei primi 40 anni di vita che se anche adesso mi toglie qualcosa con la malattia, sempre grazie gli devo rispetto a chi è stato più sfortunato di me”.
La seconda ribadisce la sua schiettezza ed il suo modo di atteggiarsi a “finto arrogante” quando disse: “Se incontrassi in un vicolo cieco Frazier, Foreman o Norton mi farebbero a pezzi, ma fino a quando li incontrerò su un ring, con regole precise, vincerò sempre io”.
Allora caro, vecchio, Clay-Alì prova ancora a “danzare come una farfalla e pungere come un’ape!”.