Roma, 1 febbraio – In un’intervista alla rivista tedesca Kicker Carlo Ancelotti afferma: “Se qualcuno mi dice che lo sport fa bene… Beh, non è vero. Io sono stato professionista per 20 anni e non posso più correre perché ho diversi problemi alla schiena e al ginocchio”.
E noi che abbiamo vissuto tutta la sua parabola di calciatore sappiamo bene perché e gli vogliamo più bene di prima, di quando lo vedemmo arrivare alla Roma quando aveva vent’anni, nel 1979, insieme al ritorno in panchina dell’immenso Nils Liedholm, il suo maestro, che lo volle fortemente con se.
“Lo prendemmo su segnalazione di mio figlio, che lo aveva visto giocare da mezza punta nel Parma nel campionato di C – ci raccontò una volta proprio Liedholm – Quando gli emiliani furono ospiti dell’Alessandria, vicino alla mia abitazione, andai a vederlo e ne rimasi favorevolmente impressionato, anche se in molti mi dissero che per la Roma non poteva andare bene perché era troppo grasso. Ma questo non mi dissuase e mi convinsi che in un ruolo diverso da quello di mezza punta avrebbe potuto fare benissimo. Pensai, dunque, di portarlo con me alla Roma e qui migliorò moltissimo, dimagrì un po’ e divenne un gran mediano. Peccato per quei due brutti infortuni alle ginocchia”.
Gli stessi che ancora oggi fanno soffrire Ancelotti e che, a quel tempo, lo fecero entrare nel cuore dei tifosi giallorossi, che gli stettero sempre vicini nella sofferenza e nei lunghi giorni di ricovero a Villa Bianca. Il primo lo subì all’Olimpico il 25 ottobre 1981 in uno scontro di gioco col fiorentino Casagrande (rottura dei legamenti che lo terrà fuori 357 giorni); il secondo a Torino con la Juve, nel giorno del 2-2 di Pruzzo al 90’ (4 dicembre 1983, 347 giorni di stop). In quella stagione per colpa dovette saltare tutta la seconda parte del campionato (in cui la Roma arrivò seconda gettando al vento la possibilità di rivincere lo scudetto) e della Coppa dei Campioni, compresa la finale col Liverpool. Chissà, forse con la sua abituale concretezza in campo, la bacheca della Roma oggi avrebbe due trofei in più. In quella squadra, infatti, Ancelotti era il carroarmato del centrocampo, dove correva per se e per gli altri senza disdegnare l’impostazione della manovra. La riabilitazione post infortuni, poi, lo aveva reso meno agile ma più robusto, garantendogli una tenuta atletica invidiabile che gli permetteva di essere sempre nel vivo del gioco. E poi già da calciatore era un leader, plasmato dalla saggezza contadina e dal carattere forte e determinato. Lo stesso che poi gli permise di vincere tutto con il Milan, prima da giocatore e poi da allenatore,
Un ruolo, quest’ultimo, nel quale oggi è considerato giustamente uno dei migliori del mondo.