Roma, 18 agosto – Il Mondiale d’Argentina, quello che si chiuse per la prima volta con una finale tra nazionali che non avevano mai vinto la Coppa: l’Argentina padrona di casa (poi vittoriosa per 3-1 ai supplementari) e l’Olanda.
Due squadre piene di campioni come i sudamericani Fillol, Tarantini, Ardiles, Bertoni, Kempes, capitan Passarella e gli olandesi Krol, Rensenbrink, Haan ma non Cruijff, che dopo aver condotto l’Olanda nelle qualificazioni non andò in Argentina per protesta contro il regime e perché, come dichiarò qualche tempo fa a Sky, aveva comunque deciso di smettere.
Ma più che per le gesta di questi campioni, quel torneo è rimasto impresso nella memoria collettiva soprattutto per l’uso propagandistico che ne fece la giunta militare che era salita al potere in Argentina appena due anni prima.
Quel Mondiale, infatti, fu voluto da quest’ultima per sublimare se stessa e la sua efficienza, nascondendo al mondo, ovviamente, il dramma dei desaparecidos.
Una storia che molte nazioni non conoscevano anche perché la giunta militare guidata dal generale Videla l’aveva tenuta accuratamente nascosta grazie a connivenze di ogni tipo. Ma in alcuni paesi europei, tra i quali proprio l’Olanda, se ne parlava e anche per questo intorno alla nazionale “orange”, al suo arrivo a Buenos Aires, si creò ad arte un clima di profonda ostilità.
Vincere il Mondiale, per la dittatura, significava glorificare se stessa e creare consenso al suo operato e per riuscirci usò ogni mezzo.
Ecco dunque la famosa “marmellata peruviana” (il clamoroso 6-0 al Perù che servì all’Argentina per andare in finale al posto del Brasile, con le minacce alla famiglia argentina del portiere peruviano Quiroga); ecco le intimidazioni proprio contro quell’Olanda il cui capitano, Ruud Krol, finì addirittura al centro di un caso diplomatico per via di una falsa lettera attribuitagli da un quotidiano di Buenos Aires in cui scriveva alla figlia che “dai fucili dei militari argentini escono fiori”. Cose che Krol, ovviamente, non aveva mai scritto e che erano state inventate di sana pianta, su ordini superiori, da un giornalista del quotidiano in questione. Un fatto così grave che quasi spinse l’Olanda a ritirarsi dal Mondiale, cosa che non fece solo perché arrivò la smentita pubblica che aveva richiesto, con tanto di scuse al suo capitano.
Intanto nella Plaza de Maio le madri continuavano a marciare silenziose per non dimenticare i loro figli e nipoti scomparsi e sui campi si continuava a giocare fino alla finale, disputata nello Stadio Monumental di Buenos Aires e vinta dall’Argentina anche grazie ad un arbitraggio non proprio limpido del nostro Sergio Gonella.
Tutto questo è raccontato nello splendido libro “I Mondiali della vergogna” di Pablo Llonto, che nelle sue pagine non si stanca di ripetere: “Nunca mas” (mai più).
Lui che, al pari di molti suoi connazionali, visse quei giorni con un duro conflitto interiore, diviso com’era tra la gioia del trionfo sportivo e il disgusto per una vittoria che la dittatura sfruttò per consolidare il suo potere, che sarebbe durato ancora un decennio.