Il 1968 non è solo l’anno delle rivoluzioni studentesche che segnarono profondamente un cambio di mentalità e di cultura nelle società occidentali, principalmente europee. A livello sportivo e di calcio in particolare, la Nazionale azzurra tornò a vincere una competizione dopo 30 anni dal secondo titolo mondiale conseguito in Francia nel ’38, guidati dal mitico Commissario Tecnico Vittorio Pozzo, trionfando nel campionato europeo per nazioni.
“Trionfo” fu il titolo cubitale del Corriere dello Sport all’indomani della finalissima contro la Jugoslavia, vinta all’Olimpico di Roma per 2-0, ma non fù semplice avere ragione degli slavi perché quella del 10 giugno del ’68 fù la seconda partita di finale dopo che la prima, disputata due giorni prima l’8 giugno, si era chiusa faticosamente per noi sul risultato di 1-1.
All’epoca non esisteva ancora la soluzione dei calci di rigore per decretare comunque un vincitore, bensì si ricorreva alla ripetizione della partita di solito a 48 ore di distanza dalla prima gara. La prima finale fù quasi un incubo per la nostra Nazionale che venne messa in grande difficoltà dai talentuosi slavi, in special modo dalla loro punta di diamante l’ala sinistra Dzajic che mise in serissima difficoltà il roccioso Tarcisio Burgnich. Davanti a quasi 70.000 attoniti spettatori gli azzurri erano in svantaggio fino a dieci minuti dalla fine ed avevano più volte rischiato il tracollo sotto i colpi di Dzajic e compagni quando si materializzò lo “stellone azzurro” con una prodezza su calcio di punizione calciata da Angelo Domenghini, il migliore dei nostri, l’unico a non mollare a non darsi per vinto.
Domingo, come veniva soprannominato, tirò una sassata dal limite dell’area che bucò letteralmente la barriera slava e s’insaccò alla destra del sorpreso Pantelic facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti gli italiani.
Due giorni dopo, nella gara di ripetizione, il tecnico Valcareggi ebbe l’intuizione di cambiare ben sei giocatori rispetto alla prima finale mentre con un po’ di presunzione la Jugoslavia confermò in blocco la stessa squadra. L’Italia scese in campo con una determinazione rinnovata e con giocatori con più personalità, tant’è che tranne il centravanti Anastasi fù lo stesso blocco che due anni dopo sfiorò il titolo mondiale nel Mondiale messicano.
Gigi Riva, Rombo di Tuono, ed Anastasi firmarono il 2-0 che sancì la vittoria dell’Europeo ed i 33.000 spettatori dell’Olimpico si esibirono festanti, a pochi minuti dalla fine, in una fiaccolata che fece epoca per la spettacolarità spontanea.
Cinquant’anni fa la Nazionale di calcio ci diede lustro con una generazioni di calciatori fenomenali, in netta e sconvolgente contrapposizione al momento attuale che ci vede fuori dal contesto mondiale dei prossimi giorni.