Roma, 18 aprile – Quel giorno c’erano settantamila spettatori sugli spalti del vecchio Stadio Olimpico, che era ancora scoperto e con le panchine in legno dipinte di verde (già, proprio come quelle dei giardini comunali).
Il sole splendeva alto nel cielo, ma i cuori giallorossi erano in tumulto. La penultima giornata di un campionato disgraziato poteva decidere i destini della loro Roma nel bene (salvezza) o nel male (retrocessione), visto che in programma c’era uno scontro diretto con l’Atalanta, anch’essa invischiata nella lotta per restare in A insieme all’Ascoli, all’Avellino, al Bologna e al Lanerossi Vicenza.
Il Verona, ultimo in classifica, era già andato.
Restavano da assegnare il penultimo e il terz’ultimo posto per l’Inferno e quella delle due che quel giorno avesse perso la sfida dell’Olimpico sarebbe stata fortemente indiziata di occupare uno dei due.
A differenza dei bergamaschi, che dovevano vincere per scavalcare la Roma in classifica, ai giallorossi, vestiti con la maglia a ghiacciolo della Pouchain, poteva bastare anche il pari, grazie a tutta una serie di calcoli matematici che, in caso di arrivo a pari punti, li avrebbero salvati per differenza reti. E le cose sembrarono mettersi subito bene, visto che al 5’ l’atalantino Vavassori si fece il più classico degli autogol. Festa sugli spalti, gioia e canti.
Era fatta, pensarono i più e invece iniziò l’incubo.
Dopo diciassette minuti, al 22’, l’Atalanta pareggiò con Bertuzzo (uno che faceva la punta ma che non segnava tanti gol) e dopo altri nove minuti segnò il 2-1. Indovinate con chi? Con Cesare Prandelli, allora giovane mediano dal radioso avvenire che superò Paolo Conti con un gol bello e fortunato.
Lo stadio precipitò nel dramma collettivo: con la sconfitta la Roma sarebbe retrocessa e la presidenza Anzalone, arrivata ai suoi ultimi giorni, avrebbe lasciato solo macerie alla nuova proprietà (anche se erano ancora in pochi a sapere che sarebbe arrivato Viola).
In panchina la coppia Valcareggi-Bravi, subentrata a Giagnoni alla settima giornata, non sapeva più che pesci prendere e nell’intervallo chiese a tutti di dare il massimo. O la va o la spacca. E per fortuna andò, con Pruzzo (al suo primo anno da romanista) che segnò il 2-2 di testa al 16’ della ripresa facendo esplodere lo stadio in un boato che raramente abbiamo risentito in futuro, anche in occasione delle vittorie più importanti.
Finì 2-2 e, in pratica, quel giorno la Roma si salvò, visto che all’ultima di campionato fece uno scialbo 0-0 ad Ascoli, risultato che serviva ad entrambe le squadre.
In B, oltre al Verona, andarono il Vicenza e proprio l’Atalanta, mentre per i giallorossi si aprì una nuova era, quella dei trionfi firmati Dino Viola.
A chiudere vogliamo ricordare un particolare che pochi ricordano: contro l’Atalanta i giocatori della Roma scesero in campo con la barba incolta e non fatta per una promessa che si erano reciprocamente fatti. Quella di non radersi più fino a salvezza raggiunta. Per questo quella salvezza è spesso ricordata come quella dei “barbudos”.