Roma, 26 settembre – Se fosse stato ancora vivo, oggi il “Vecio” avrebbe compiuto 90 anni. Era nato, in questo giorno del 1927, ad Aiello del Friuli, un giorno dopo quello in cui era nato Sandro Pertini (25 settembre 1896) e un giorno prima di quello in cui ha visto a luce Francesco Totti (27 settembre 1976). Tre grandi della nostra storia sportiva e sociale. Bearzot è poi morto a Milano ad 83 anni il 21 dicembre del 2010, quarantadue anni esatti dopo Vittorio Pozzo, l’altro grande CT della nazionale italiana che, con lui, è stato il più presente di tutti sulla panchina azzurra. Bearzot ci si è seduto 104 volte, dal 27 settembre 1975 al 18 giugno 1986. Pozzo si è fermato a 97 partite.
Nessuno ha guidato più volte l’Italia quanto Enzo Bearzot, l’uomo che seppe riportarla a vincere la Coppa del Mondo dopo le due, storiche, conquistate dalla nazionale di Pozzo in un’altra era, nel 1934 e nel 1938. Gli azzurri di Bearzot la vinsero Madrid nel 1982, alla presenza del Presidente Sandro Pertini anch’egli come lui fumatore della pipa, e quel successo, oltre ai conclamati meriti sportivi che rivestì, ne ebbe tanti anche a livello sociale. Primo tra tutti quello di riportare gli italiani a far festa nelle strade dopo il quasi coprifuoco che avevano vissuto nei duri anni settanta, fatti di attentati, del piombo rosso e nero degli omicidi politici e dei rapimenti a scopo di ricatto per sovvenzionare i gruppi eversivi e le mafie, che da noi non sono mai mancate.
Grazie all’Italia dell’82 il nostro popolo si risentì finalmente unito come, forse, poi non lo è stato più e trovò il coraggio di mettersi tutto alle spalle e di ricominciare a vivere fuori dalle case. E quel successo, che fece anche riscoprire una parola che non bisogna avere paura di dire, Patria, segnò una sorta di linea di demarcazione tra un prima e un dopo. Con il dopo, nella fattispecie gli anni ottanta, che sarebbe stato tanto magnifico e illusorio quanto il decennio precedente era stato cupo e deprimente.
Chi tracciò quella linea di demarcazione fu lui, Enzo Bearzot, detto “il Vecio” (con la V maiuscola in segno del rispetto che tutti gli dobbiamo), che forgiò una nazionale di uomini veri che ancora ripetiamo a memoria come un mantra: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. E mentre la scriviamo ci sembra di risentire nelle orecchie la voce di Nando Martellini che la elenca in televisione prima dell’inizio di quelle partite che non abbiamo mai più dimenticato: Italia-Argentina 2-1, Brasile-Italia 2-3, Italia-Polonia 2-0, Italia-Germania 3-1. Tappe di un sogno azzurro firmato Enzo Bearzot, al quale rimproveriamo solo una cosa: non aver portato in Spagna il due volte capocannoniere del campionato Roberto Pruzzo (che poi lo sarebbe diventato una terza volta nel 1986) preferendogli Franco Selvaggi, che nel ruolo di riserva designata, secondo lui, dava meno fastidio del “bomber” per antonomasia del nostro calcio. Senza nulla togliere a Selvaggi, un onesto attaccante di quei tempi, Pruzzo avrebbe meritato quel titolo per l’importanza che ha avuto nel nostro calcio.
Un piccolo errore di valutazione che, però, non scalfisce di certo la grandezza di Bearzot, della sua pipa, del “Primo non prenderle, secondo è imperativo vincere. Terzo? Non c’è un terzo punto perché i primi due hanno già detto tutto”. Come disse il 5 luglio del 1982, nell’immediata vigilia di Brasile-Italia 2-3 sintetizzando tutto il suo credo calcistico. Un credo assolutamente vincente!