Anzitutto va detto che è stato uno dei più forti numeri 10 della storia del nostro calcio, anche se un po’ fuori dalle righe. Un genio, per dirla tutta, ma a modo suo. Un anarchico del campo, che usava come fa il pittore con la tavolozza. Mescolava i colori della fantasia e poi ci disegnava traiettorie impossibili e arabeschi impensabili grazie a due piedi eccezionali. Di natura era sinistro, ma anche il destro non era niente male. All’inizio giocava con il Brescia, nel 1978 venne preso dall’Inter, un anno dopo che in nerazzurro era arrivato il suo compagno di giocate nella squadra d’origine, “Spillo” Altobelli. Insieme, a Milano, fecero faville, vinsero lo scudetto del 1979-80 con “il sergente” Eugenio Bersellini in panchina e un derby, nel quale il “Beck”, come lo chiamava Beppe Viola, segnò due gol, entrambi di destro. Chi era Beppe Viola? Il numero dieci dei giornalisti sportivi italiani, oltre che un autore di canzoni, spettacoli umoristici e un genio della macchina da scrivere, perché a quei tempi non c’era ancora il computer. Dicono fosse milanista (purtroppo ci ha lasciato nell’82, troppo presto), ma con l’Evaristo si intendeva alla grande, perché fra geni, si sa, tutto viene naturale.
“Le sole due reti che ho segnato al Milan le ho fatte tutte assieme, regalando la vittoria all’Inter, che poi avrebbe vinto lo scudetto – disse una volta il “Beck” – Quei due gol mi consacrarono presso i tifosi, io che ero un ragazzino appena arrivato da Brescia. Entrambe di destro, poi, il piede che ho perfezionato con gli allenamenti. La prima al 14’, la seconda all’84’. La prima su corner da sinistra: Altobelli per Pasinato, cross e in mezzo all’area il mio tocco di piatto, facile in sé, però ero in mischia e ho messo la palla bene sul secondo palo. E lì lo stadio ha iniziato a ribollire. Che bello, non dimenticherò mai quella sensazione e quel momento. La seconda al termine di un contropiede di Muraro. Io sono stato bravo a stargli dietro anche se non so come ho fatto vista la differenza di velocità tra di noi. Poi me l’ha passata a due metri dalla linea di porta, dove metterla fuori era davvero difficile”.
Il mito Beccalossi in sei anni di nerazzurro divenne anche fenomeno sociale, tanto che nel 1983 il cantautore Mauro Minelli gli ha dedicato il brano ‘Scusa se insisto, mi chiamo Evaristo’, nel 1997 il cantautore Enrico Ruggeri ha dedicato a Beccalossi, Gigi Meroni, George Best, Diego Armando Maradona e in generale agli “sregolati” del calcio, il brano ‘Il fantasista’, inserito nell’album ‘Domani è un altro giorno’.
In ambito teatrale, nel 1992 l’attore comico Paolo Rossi inscenò una pièce intitolata ‘Lode a Evaristo Beccalossi’ rifacendosi ai tragicomici fatti della gara Inter-Slovan Bratislava (2-0) del 15 settembre 1982, andata dei sedicesimi di finale di Coppa delle Coppe, nella quale il calciatore fallì a pochi minuti di distanza due calci di rigore. Un monologo da applausi e risate assicurate, ma di grande rispetto per quello che è stato davvero il mito di una generazione di tifosi interisti, oggi presidente del Lecco e opinionista di successo in tante trasmissioni televisive.