Dalle origini all’approdo al grande calcio.
(FOTO: I pionieri dell’O.N.D. Chievo nel 1929, in campo con una maglia scaccata)
Verona, 15 dicembre – Sassi e gemme. Anche così si può interpretare l’avventura sportiva del ChievoVerona, passato in ottantacinque anni da dopolavoristica compagine di paese a consolidata realtà del pallone italiano: sassi – nobili e forti, posati nel tempo per irrobustirne le basi -, gemme – intese come risultati di prestigio o giocatori che ne hanno impreziosito la maglia – raccolte non solo recentemente.
È l’otto novembre del 1931, o per meglio dire, dell’anno X dell’era fascista, che la squadra della Diga fa il suo esordio in una competizione ufficiale: il campionato “Liberi” organizzato dalla Fidal. Già da qualche anno, nella frazione di San Massimo all’Adige, ferve, raccolta sotto l’egida dell’Ordine Nazionale Dopolavoro, l’attività sportiva; nel 1929 podismo, tiro alla fune e tamburello vengono affiancati così dal calcio, grazie ad Antonio Recchia e Severino Dal Pozzo, primi catalizzatori delle pulsioni pedatorie dei clivensi.
Fortunato e controverso è l’esordio: vittorioso sul campo per 1-0 il Chievo si vede invertire il risultato a causa di un reclamo degli avversari, il Domegliara. Gli entusiasmi non sono tuttavia pari ai risultati: nel suo primo campionato il Chievo – in maglia a quarti biancoblù – si classifica terzo su quattro partecipanti ma le oltre 40 gare disputate contribuiscono ad accrescere l’esperienza.
Nelle due successive stagioni il Chievo si classifica al primo posto e nel 1932-’33 approda anche alle finali regionali sfiorando il titolo regionale di un soffio. A premiare il Fiera di Treviso è solo la differenza reti!
In questi anni su tutti si staglia la classe limpida di Umberto Busani. Nato a Parma il primo febbraio 1915, a sedici anni è già nel Chievo dove gioca per due stagioni arrivando poi fino alla Serie A con Lazio e Napoli e vestendo la maglia della Nazionale B.
Dietro l’angolo però tragicamente incombe il secondo conflitto mondiale e i suoi incubi cancellano ogni cosa.
Bisogna attendere il 1948 affinché si torni alla vita normale e allo sport.
È ancora un Recchia, Alessandro, a dare lo spunto per la ripresa dell’attività sportiva ma la guerra ha lasciato il suo segno e i soldi non abbondano. Il campionato di Seconda Divisione viene affrontato vestendo una divisa a righe verticali rossoblù (!), la meno onerosa, ed il terreno di gioco viene ricavato bonificando, grazie all’operato di tutto il paese, un terreno lungo la linea ferroviaria del Brennero; le porte arrivano quelle del dismesso campo del Parona mentre a fungere da spogliatoi sono i locali della vicina osteria ‘Alla busa’.
Pur tuttavia il Ceo (nome dialettale del borgo, N.d.R.) si fa onore, iniziando la sua scalata al grande calcio.
Passano solamente tre anni ed avviene già il salto in ‘Prima’, ottenendo anche il titolo di Campione del Veneto grazie alle vittorie sui rodigini del Costa e sui vicentini del Carmenta. I campionati nella nuova categoria sono sofferti ma via via il Chievo si adatta.
Tra i fatti salienti del periodo la prima cessione di rilievo di un giocatore del Chievo e la realizzazione di un nuovo terreno di gioco. Nell’estate del 1954 Raffaello Biondani passa al Cerea per l’esorbitante cifra di 800 mila lire, il 3 novembre di tre anni dopo viene inaugurato il campo parrocchiale, dedicato al cavaliere Carlantonio Bottagisio, donatore dell’area.
La sede si trasferisce al bar Pantalona, tutt’ora punto di riferimento per i tifosi.
Il decennio si chiude con la riforma dei campionati e il Chievo riparte così dalla Seconda Categoria. Vi rimane però una sola stagione: la squadra, forte anche del contributo dello sponsor Cardi, vince il campionato spareggiando col S. Martino. Similare è l’andamento sul campo negli Anni 60, ma ormai il sodalizio clivense è un consolidato riferimento nel panorama calcistico veronese grazie all’apporto di abili giocatori e validi tecnici. A livello dirigenziale si affaccia nel 1963 – con l’incarico, seppur per una sola stagione, di presidente – una figura destinata a segnare la storia: Luigi Campedelli.
(continua I/II)