Racconti di sport- CICLISMO – EPO, bugie e Tour de France
“The program”, film sulla parabola umana e sportiva del ciclista Lance Armstrong.
Roma, 18 Ottobre – Niente di meglio per questa rubrica che un racconto di sport (e non solo), oggetto di un film in questi giorni nelle sale.
Il regista irlandese Stephen Frears offre un’ennesima prova d’autore con “The program”, biopic sul ciclista texano Lance Armstrong, trionfatore per sette volte consecutive al Tour de France tra il 1999 e il 2005. Come noto, a seguito dell’indagine dell’Agenzia antidoping statunitense (USADA) che accertò il sistematico ricorso a pratiche mediche illecite, tali primati sono stati cancellati dalla giustizia sportiva internazionale tra il 2012 e il 2013, contestualmente alla radiazione a vita dell’atleta.
Il film narra, con una sapiente alternanza di immagini di repertorio e di spettacolari ricostruzioni delle tappe alpine della Grande Boucle, il percorso umano e sportivo di Armstrong: dagli avvii della carriera professionistica, passando per la battaglia vinta contro il cancro, all’incontro con i cattivi maestri, il medico sportivo ferrarese Michele Ferrari e il fiammingo Johan Bruyneel, ex corridore e poi direttore sportivo del team U.S. Postal. Il ruolo di Lance è stato affidato al bostoniano Ben Foster, convincente nella sua prima vera prova da protagonista dopo diversi action movies e serie televisive.
Come il personaggio Raskol’nikov di Dostoevskij, anche Armstrong ha un suo alter ego, un giudice Porfirij Petrovič che lo incalza nel proprio percorso di “delitto e castigo”: nella vicenda ciclistica a fungere da “coscienza esterna” del protagonista è il giornalista del Sunday Times David Walsh (ben interpretato da un altro irlandese, Chris O’Dowd), al cui libro il film si ispira. Il cronista, avendo seguito dagli inizi la carriera di Lance, ne intuisce dapprima le potenzialità di buon corridore e, poi, la repentina e sospetta trasformazione in dominatore assoluto. Dalla sua denuncia, inizialmente inascoltata e contrastata, viene poi a galla la verità. Memorabile una frase che il suo personaggio pronuncia: “Non voglio salire in montagna per seguire una corsa di farmacisti!”.
Effettivamente nel film, al pari delle bici, abbondano, più che in una puntata di E.R., le flebo, i lacci emostatici e le siringhe. L’assunzione di eritropoietina, corticosteroidi e testosterone sarà una costante nella carriera del texano, in maniera autonoma prima della malattia e poi in modo scientifico in attuazione del “Programma” che dà il titolo alla pellicola.
La particolarità della storia è perciò la contraddizione vivente incarnata dal personaggio che da simbolo della lotta al cancro, tramite la sua fondazione benefica e il famoso braccialetto giallo Livestrong, diviene icona negativa, per aver mentito sul doping – da ex malato – al mondo intero.
Il peccato è imperdonabile per un personaggio pubblico nella cultura anglosassone (dovrebbe esserlo dovunque, ndr) e comporta la totale perdita di credibilità del suo esempio e la vanificazione degli effetti positivi. È così cancellato il sogno americano di un giovanotto in bicicletta che voleva sfidare i corridori europei (altra citazione cinematografica è d’obbligo per “All american boys” di Peter Yates del 1979, in cui gli idoli dei ciclisti dilettanti dell’Indiana erano i professionisti italiani della Cinzano).
Il film si chiude con la confessione e le lacrime (ovviamente in televisione, non in un’aula di giustizia) nell’intervista con Ophrah Wimphrey, preceduta nella finzione cinematografica da un catartico tuffo di Lance in un laghetto vicino casa (è un sinkhole, una di quelle particolari strutture geologiche che in Messico chiamano cenotes e che i Maya utilizzavano per i sacrifici – anche umani – agli dei).
La morale che si può trarre da questa storia, e da quella ancor più tragica dell’indimenticato “pirata” Marco Pantani, è che negli sport come il ciclismo, in cui l’uomo compie le imprese più epiche, emerge drammaticamente la fragilità degli eroi, portati dall’ambizione a tradire irrimediabilmente loro stessi prima che i propri tifosi.