55 anni fa, il 2 gennaio del 1960, ci lasciava Fausto Coppi, simbolo della rinascita italiana dopo la seconda guerra mondiale insieme a Bartali, Enzo Ferrari ed al Grande Torino.
(foto di Amedeo Santicchia)
Roma, 1 gennaio – Carissimi lettori non è uno scherzo, Fausto Coppi, il Campionissimo, è vivo. Si perché dopo 55 anni da quel terribile 2 gennaio 1960 il mito, i ricordi, le gesta del “grande Airone” sono ancora fulgidi nelle testimonianze di chi lo ha conosciuto.
Personalmente l’ho “studiato” nel corso della mia crescita non avendo avuto, nato nel 1956, la possibilità di seguirlo dal vivo.
Immaginate, in quegli anni dell’immediato dopoguerra, l’emozione di poter ascoltare in radio le cronache sportive dei cantori dell’epoca.
Il mitico Mario Ferretti spesso apriva i collegamenti radiofonici così: “amici sportivi un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi!”.
Lo sport è una grande palestra di vita che ti fa consumare sul momento le passioni, le emozioni e le idolatrie verso gli eroi siano essi calciatori o ciclisti o di qualsiasi altra disciplina. Però è anche ricordo e studio del passato ed è appunto questo che mi ha spinto, in età più matura, a scoprire il “mito” di Coppi, l’Airone maledetto.
Baciato dalla grazia, sapeva vincere dovunque, dai picchi alpini alle classiche del Nord. Fu scoperto per caso dal massaggiatore cieco Biagio Cavanna, che solo toccandogli le gambe ed ascoltandone i battiti cardiaci capì di avere a che fare con un fenomeno.
Possiamo ben dire che è stato il simbolo della rinascita italiana dopo i disastri della seconda guerra mondiale insieme all’acerrimo nemico Bartali, ad Enzo Ferrari ed al Grande Torino.
Coppi è stato il più grande ed il più sfortunato, un eroe omerico con i suoi slanci, le sue vittorie ma anche le sue fragilità e le sue debolezze.
Al di là degli indiscussi meriti sportivi è stato senza dubbio l’aspetto umano del personaggio Coppi che mi ha colpito in un epoca dove poco era concesso: pensiamo al colpo di fulmine per la Dama Bianca, lui e lei entrambi sposati che, come scrisse Gianni Brera, “non è rimasta a casa, ma è fuggita”. In un’Italia profondamente bacchettona e bigotta, Coppi si trovò suo malgrado a gestire un’esistenza da persona normale estremamente complicata. Da mito Fausto diventa un uomo come tutti gli altri che per affermarsi deve “battere” il nemico che è in ognuno di noi. La bicicletta era una sola cosa, quasi una protesi per Coppi e come tale veniva usata se pensiamo che ancora correva, ormai solo per nome non certamente per competizione, a quarant’anni suonati. Proprio per rispondere ad un invito in Africa, insieme ad altri big del suo tempo per partecipare ad un circuito e ad una battuta di caccia grossa, quasi a voler sfuggire i suoi impegni di vita normale, che Coppi contrae la malaria.
Al ritorno in Italia, poco prima del Natale 1959, Fausto si sente spossato, un senso di fatica strano lo avvolge, ha difficoltà persino a scartare i regali natalizi che aveva acquistato per suo figlio Faustino. “Broncopolmonite virale”, diagnosticano i medici, ma dalla Francia telefonano all’ospedale per dire che all’istituto Pasteur al suo amico Geminiani, con lui nella trasferta africana, hanno riscontrato la malaria, per cui un po’ di chinino ed il problema è risolto.
Macchè, gli “scienziati” nostrani rispondono piccati che alla malattia di Coppi avrebbero pensato loro.
Invece, all’alba del 2 gennaio 1960, l’Airone ripiega le sue ali dopo un’assurda agonia.
Una morte persino grottesca di un uomo forte, quasi invincibile, un eroe ma allo stesso tempo, come scritto, un personaggio fragile e contraddittorio.
Credo anch’io, come sostenne in un memorabile romanzo il grande Gianni Brera, che Fausto Coppi abbia voluto morire.
Troppa l’intensità di vita vissuta per poter reggere ancora alla vita stessa. In quarant’anni ha sofferto la povertà, trovato l’agiatezza, ha inventato il ciclismo moderno e forse non è mai nato, né mai esistito Fausto Coppi. Il destino cinicamente gli ha evitato il suicidio.
Grande Airone da Castellania, riposa in pace.