Roma, 17 dicembre 2018 – “Ma ce la fate a ritornare a Roma con questa trappoletta di macchina?” Così Felice Pulici si rivolge a quattro sbarbati il 19 maggio del ’74 verso le 18,30, in pieno traffico sulla tangenziale in uscita da Bologna per raggiungere l’autostrada verso la Capitale. Tra quei ragazzi ci sono anch’io e la vettura incriminata è un A112 già vecchiotta e la domenica in questione è successiva alla domenica in cui la Lazio conquista il suo primo scudetto. Un esodo massiccio per i tifosi laziali che accompagnano i neo-campioni d’Italia e la partita, seppur senza alcun valore, risulta essere spettacolare con alcune grandi parate di Pulici che inchiodano il risultato sul 2-2.
Felice ci fa quella battuta perché nel maxi-traffico a passo d’uomo sulla tangenziale bolognese, coi finestrini aperti in una giornata di caldo estivo, sente delle battute che inneggiano alla sua grande prestazione e vi assicuro che in un paio di circostanze parliamo di miracoli; così entra in confidenza con noi, che appena lo vediamo non crediamo ai nostri occhi, regalandoci alcuni momenti di grande simpatia ed umanità prima dell’approdo autostradale.
Molti anni dopo, in un convegno legato al mondo Lazio, ricordo il particolare a Felice così tanto per approcciare e con mio sommo stupore lui rammenta ogni frammento di quell’incontro, rivelando ulteriormente grande disponibilità e sensibilità.
A seguire vi evidenzio uno stralcio del racconto “Felice, il soprannaturale” pubblicato su “attualita.it”, circa tre anni fa a ridosso del suo 70° compleanno, e l’anno successivo nel libro “Leggende”.
“Qualche tempo fa, nel festeggiare il ventennale dell’esordio in serie A di Buffon, la Gazzetta dello Sport pubblica una classifica con i cinque portieri più forti di sempre, inserendo l’ex titolare della nostra Nazionale; nello scorrere i nomi associo nella mia mente alcuni ricordi di parate celebri di questi fenomeni.
C’è Zoff, con la mitica parata contro il Brasile ai mondiali del ’82 allo scadere della gara, c’è Jascin, unico numero uno a vincere il pallone d’oro, c’è Banks, autore della “parata del secolo” su Pelè ai mondiali di Mexico’70, ma personalmente non mi tornano i conti perché per me la “parata della vita” è compiuta da Felice Pulici, portiere del primo scudetto della Lazio del ’74, il 28 novembre 1976 in un derby contro la Roma.
Quel giorno piove all’Olimpico e con tutta onestà non ho mai visto più occasioni da goal non concretizzate da una squadra rispetto all’altra; se quel giorno i giallorossi concretizzano un terzo delle palle-goal prodotte vincono con uno scarto di almeno tre reti!
Felice, a metà primo tempo, compie uno straordinario intervento su un colpo di testa del romanista Pellegrini e toglie letteralmente dall’incrocio dei pali, alla sua sinistra, il pallone. Lì per lì non ci si rende conto del gesto “soprannaturale” del portiere della Lazio perché per tutta la gara è un continuo ribattere e parare qualsiasi attacco della Roma.
La Lazio vince immeritatamente quel derby ed alla fine della partita mi reco a Piazza Mancini per il solito appuntamento del dopo stadio con la mia fidanzata, oggi mia moglie; le gare, all’epoca, finiscono verso le 16,15 ed il mio incontro è fissato per le 17. Nell’attesa accendo la radio che ho in macchina per sentire i commenti su Domenica Sport, canale Rai, ed in collegamento dall’Olimpico insieme al giornalista Claudio Ferretti c’è proprio Pulici, protagonista indiscusso della giornata. Alla domanda di Ferretti che chiede a Felice della sua magistrale prestazione il numero uno biancoceleste scoppia a piangere dedicando la vittoria e la sua personale performance a Tommaso Maestrelli, ricoverato alla clinica Paideia in gravissime condizioni.
E’ un pugno nello stomaco e l’euforia per la vittoria di colpo svanisce, anche perché da tempo non si hanno notizie delle condizioni del “maestro” e nessun organo di stampa ha fatto trapelare l’aggravarsi delle condizioni di Tommaso.
Ripenso di colpo alla partita appena conclusa e nel ripassare mentalmente le varie fasi capisco il motivo di quella/e parata/e. Non voglio apparire blasfemo e non voglio minimamente confondere alti valori religiosi con le bieche e prosaiche questioni sportive, ma vi assicuro che la “parata” di Pulici in quel derby, rivista più volte negli anni in tutte le salse, è qualcosa di mistico, di celestiale, di soprannaturale probabilmente il degno saluto in vita nei confronti di Maestrelli che poi scompare quattro giorni dopo”.
Nel salutare idealmente Felice Pulici, scomparso ieri a pochi giorni dal suo 73° anniversario, mi piace ricordarlo come un gran signore, oltre che come un grande portiere, che pur non essendo romano ha incarnato in maniera massimale lo spirito ed il senso d’appartenenza del mondo Lazio e poi la sua eleganza, sia con la maglia nera che con quella grigia, coi calzettoni rigorosamente bianchi.